Husserl e l’utopia comunitaria del protogeometra
Manlio Iofrida

28.06.2021

È l’ora che dedichiamo un po’ d’attenzione all’altro grande ebreo che, nello stesso tragico periodo di Auerbach, sviluppò un potente discorso sulla storia: Edmund Husserl. Correva l’anno 1936, il nazifascismo imperversava per l’Europa, il suo ex-allievo Heidegger aveva tenuto, nel 1933, il suo famigerato discorso di rettorato, ed è certamente pensando a lui, oltre che a questa situazione politica, che Husserl sviluppa la fenomenologia in direzione fortemente storica. In quell’anno, in particolare, egli verga una parte della sua Crisi delle scienze europee che avrà un grande avvenire: si tratta del testo sull’Origine della geometria (E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, tr. it. Il Saggiatore, Milano, 1961, Appendice III, pp. 380 e sgg., d’ora in poi indicata con la sigla OG).

In cosa consiste l’originalità di questo testo? Innanzitutto nel fatto che Husserl spiazza completamente la separazione di scienze dello spirito e scienze della natura su cui si era edificato lo storicismo, non solo a partire da Dilthey, ma, in fondo, già dal XIX secolo, ivi compresi Nietzsche e Burckhardt. Non c’è da una parte la storia, come storia delle res gestae dell’umanità e dall’altra la verità eterna delle scienze: al contrario, è la scienza a essere il motore della storia, è la geometria, in particolare, a essere il contenuto fondamentale della tradizione, di questo concetto che la Restaurazione aveva voluto opporre alla ragione illuministica, mentre con Husserl scopriamo che la scienza come istituzione del vero e la storia come sua tradizione sono tutt’uno.

Il protagonista del suo discorso è un personaggio immaginario con un nome che fa pensare a un tempo allo scenario del Timeo di Platone, al Genesi biblico e a qualche utopia rinascimentale fra Tommaso Moro e Tommaso Campanella: il protogeometra, quel greco (il discorso di Husserl sui Greci è inverso e complementare a quello di Auerbach) che, con gesto creatore, istituisce la geometria. Non è che gli Egiziani, in questo campo, non avessero fatto nulla: le gigantesche realizzazioni pratiche della loro civiltà erano già supportate da pratiche tecniche di misurazione che estendevano e prolungavano con grande maestria le capacità che ha il nostro corpo di muoversi, orientarsi e manipolare il mondo.

Ma questo insieme di pratiche rimanevano sempre legate ai contesti empirici immediati a cui si applicavano: nessuna visione universale della struttura dello spazio, nessuna generalizzazione di quei rapporti in equivalenze più generali: il logos egiziano, con tutti i suoi enormi successi, rimaneva vincolato, incarnato: è qui che si inserisce l’azione istitutrice del protogeometra, protagonista del miracolo greco, che per primo libera uno spazio generale e un logos universale. Sottolineiamo alcuni aspetti fondamentali di questa azione del nostro personaggio: Husserl non è un platonico, non pensa che il protogeometra abbia scoperto il vero, questo viene creato: la scienza, il logos, il vero sono un’istituzione storica; di conseguenza, non solo non sono immutabili, ma sono qualcosa che per sua natura chiama al mutamento, al rinnovamento, alla trasformazione (“Queste scienze non costituiscono un'eredità compiuta, nella forma di proposizioni documentate, bensì una formazione di senso vivente e produttivamente progressiva”, OG, p. 392).

La seconda conseguenza è che non solo scienza e storia non sono estranee o contrapposte, ma sono l’una la faccia dell’altra: la natura più profonda del gesto universalizzante del protogeometra è infatti di sottrarre la verità ai suoi limiti spaziali e temporali, agli uomini empirici qui e ora presenti, e di farne un appello all’umanità intera, di tutti i tempi e di tutti i luoghi: il logos non consiste in una morta e astratta universalità, ma in un coinvolgimento e una chiamata, un appello a un’azione e a un dialogo collettivi, a un grande confronto, oltre la barriera dei luoghi e dei tempi, fra gli uomini più diversi e le culture più diverse:

[…] fin dall’inizio la storia non è altro che il movimento della comunanza e della vicendevole implicazione delle formazioni originarie di senso e delle sedimentazioni di senso. […] È questo l’a-priori storico concreto che abbraccia tutto l’essente [...] il suo essere essenziale in quanto tradizione e in quanto costitutivo di una tradizione. (OG, pp.398-9)

E il soggetto di una storicità così intesa è “ l’umanità personale operante” (OG, p. 399).

La geometria diventa così un grande progetto utopico di trasformazione degli uomini e della società, che si tramanda nei secoli come una tradizione che chiama al risveglio e al rinnovamento. Una terza conseguenza del gesto del protogeometra investe la struttura stessa del concetto di storia che esso mette in campo: la storia non è né un progresso né un circolo: essa è innanzitutto un’esplosione nel presente; allorché io mi metto in opera per riprendere e continuare il lavoro dei miei predecessori, essi sono ora e qui; la storia è dunque un seguito di avvolgimenti di linea e circolo, una serie di riprese e di ritorni vichiani, in cui non tanto il passato si ripete nell’oggi, ma il presente, come nella Recherche di Proust, si ripercuote all’indietro, creando il proprio passato e i propri antecedenti. In questo modo Husserl – e non è davvero il meno importante dei risultati della sua impostazione - assorbiva e superava d’un balzo, accettandone la sostanza, le critiche che Nietzsche aveva rivolto alla storia nella sua II Inattuale.

Tutto questo era il versante positivo del discorso svolto nell’ Origine della geometria; ma quello negativo, quello della crisi possibile, anzi pressoché necessaria, era altrettanto fondamentale: se il vero è creazione e istituzione, se esso è chiamata di tutti alla lucidità della coscienza e alla responsabilità, come difendersi dalla sua meccanizzazione, dalla sua passivizzazione, dall’ oblio del momento fondante e istituente, che lo riduce a mero possesso, a strumento che si usa ciecamente, separato dalle radici vitali che ne avevano costituto la genesi, la spinta creativa? È qui che il discorso di Husserl si apriva alla contemporaneità e ai drammatici eventi storici che in essa si verificavano; diamogli di nuovo brevemente la parola.

Innanzitutto, mantener viva l’evidenza originaria del gesto del protogeometra non era facile:

Che tutti i nuovi prodotti esprimano una reale verità geometrica è certo a priori, a condizione che i fondamenti della costruzione deduttiva siano stati realmente prodotti in un'evidenza originaria, che siano stati obiettivati e quindi siano diventati un prodotto accessibile a tutti. Deve essersi prodotta una continuità da persona a persona, da tempo a tempo. [...] La geometria poteva mantenere il suo autentico senso originario di scienza deduttiva, lungo tutto il processo delle formazioni logiche, soltanto se soddisfaceva, e se faceva in modo di poter soddisfare nel futuro, a questa condizione. (OG, pp. 392-3)

La nostra situazione contemporanea è la conferma della facilità, della quasi necessità di questa crisi:

[...] senza la facoltà effettiva e reale del riattivamento delle attività originarie rinchiuse nei concetti fondamentali, e quindi anche del che cosa e del come dei loro materiali pre-scientifici, la geometria sarebbe una tradizione svuotata del suo senso; se a nostra volta fossimo privi di questa facoltà, non potremmo nemmeno sapere se essa abbia, o abbia mai avuto, un senso autentico, effettivamente reperibile.
Disgraziatamente è proprio questa la nostra situazione, nostra e di tutta l’epoca moderna (OG, p. 393).

Dunque, gli accenti utopistici, millenaristici in senso laico, di una storia come progetto comune dell’umanità intera, che accomunano Husserl a Auerbach, in lui come nell’autore di Mimesis non comportano nessuna garanzia di uno sviluppo della storia in senso razionale: Husserl, come Auerbach, non è Hegel, anche se molto di Hegel si può ritrovare nel suo discorso.

Quella medesima tensione, quel medesimo appello alla collaborazione e alla fraternità, che è la sostanza del gesto del protogeometra, apre alla possibilità della riattivazione come a quella della ricaduta nell’oblio; d’altra parte, abbiamo già chiarito che il logos di Husserl non è l’idea platonica: è una creazione storica, dunque è pur sempre un impasto di senso e non senso; la tensione all’universalizzazione implicita nel logos greco non ne può nascondere i limiti in quanto logos occidentale, la sua perenne parzialità (non si darà mai, né sarebbe opportuno che si dia, un logos totale), i suoi aspetti di dominio e di esclusione, l’esigenza che esso dia luogo ad altri tipi di logos, ma anche la possibilità che esso stesso ricada nel non senso e nella barbarie, che diventi strumento di violenza e di sterminio, ecc.; e si potrebbe dire che la radice della Kultur e della Civilisation (i due termini essendo da Husserl non contrapposti, ma essenzialmente collegati) è anche la possibilità della barbarie - e qui si vede anche come di fatto egli qui convergesse (al di là delle apparenti distanze culturali e politiche che sembrano separarlo da quella prospettiva) con l’analisi che altri due ebrei esuli, Adorno e Horkheimer, stavano conducendo nella loro Dialettica dell’illuminismo.

Tirando qualche conclusione: Husserl legava essenzialmente scienza e storia, verità e genesi, ed entrambe a una relazione intersoggettiva di collaborazione, di socialità e cocostruzione reciproca di se stessi e del mondo da parte degli uomini: una tensione etica e veritativa veniva a percorrere, a partire dalla Grecità, il mondo e la storia, ma ciò avveniva sfidando il negativo senza mai abolirlo, anzi, presupponendone la drammatica e non abolibile presenza.

Ma mi preme anche ricordare come il l’Origine della geometria avrebbe dominato pressoché l’intero campo delle discussioni francesi sulla storia dopo la seconda guerra mondiale: da Merleau-Ponty a Foucault, da Tran-Duc-Thao a Derrida, nelle discussioni su struttura e archeologia, in modi e con conseguenze diverse, si sarebbe costantemente ritornati a riflettere sul gesto del protogeometra. La prossima volta, sarà appunto a Merleau-Ponty, che di tutto il mio discorso rappresenta il culmine, che dedicherò il mio discorso.