Uno sguardo argomentato su Arte, ambiente, ecologia di Gaia Bindi
Carmen Lorenzetti

28.08.2021

Il libro, uscito per Postmediabooks nel 2019, è costituito da un collage di interventi che attraversano l’arco di poco più di un decennio di studi e di collaborazioni soprattutto con il Parco d’Arte Vivente di Torino, il cui nume tutelare è Pietro Gilardi.

La ricchezza dell’impostazione è assicurata dalla rete di conoscenze attraverso cui si dipana il discorso, che attinge alla scienza e alla tecnologia come alla filosofia e l’arte, alla politica e alla sociologia. Quindi si innerva profondamente nell’attualità e nella realtà delle questioni ecologiche con ampiezza di vedute e pluralità di esempi.

I riferimenti teorici preferiti da Bindi sono citati nella prefazione intitolata sintomaticamente Coltivare l’utopia sono in primis scientifici e metodologici, ma anche filosofici come Karen Barad, sociologici come Bruno Latour, Isabelle Stengers e Anna Tsing, attiviste come Donna Haraway e Lucy Lippard e naturalmente artistici e di critica d’arte come Gyorgy Kepes e Paul Ardenne oppure T. J. Demos.

Il primo capitolo intitolato Arte e ecologia ritrova in alcuni interventi di Land Art un possibile punto di partenza di un nuovo atteggiamento consapevole, interessante la mostra Earthworks: Land reclamation as sculpture, 1979, promossa da Robert Morris per la quale l’artista ideò il poetico Johnson Pit #30, con alcuni tronchi capovolti che ricordano uno scempio ambientale.

Altro riferimento citato è Joseph Beuys. Forse poteva essere meglio problematizzato il concetto passe-partout di “sviluppo sostenibile”. I diversi interventi artistici portati avanti da Marc Dion, Superlex, Piero Gilardi, Michel Blazy e infine Leone Contini, tra gli altri, illustrano le possibili interazioni tra arte e società attraverso pratiche innovative che riconfigurano il rapporto dell’uomo con il mondo in modo consapevole, interattivo, collaborativo e integrato, arrivando a proporre nuove forme per antichi sistemi come orti e piantagioni o momenti di recupero di aree dismesse e lasciate all’incuria o all’insufficienza ed inefficienza ambientali.

Il secondo capitolo Sognare il mondo. Gilles Clément e l’arte, riguarda la poliedrica figura di “paesaggista, botanico, entomologo e scrittore” rappresentata da Clément. Il recupero di un concetto di natura residuale, selvatica, da rispettare, catalogare e includere in un ecosistema esteso e armonico costituisce il centro degli scritti e degli interventi artistici di Clément, considerati appunto arte in “senso allargato”, poiché riconfigurano il rapporto dell’uomo con il mondo sotto il segno di una coscienza euritmica con l’universo naturale.

Il concetto di “terzo paesaggio” nasce da una mostra a Parigi del 2007 curata da Daniel Birnbaum al Centre Pompidou, dove Clément cataloga 200 campioni di erbe e di insetti disposti lungo un asse viario importante di Parigi, la natura considerata di scarto viene recuperata, invece nel 2018 partecipa alla Manifesta di Palermo intitolata, seguendo proprio le idee di Clément, Giardino Planetario, lo studioso propone un intervento di recupero nel degradato quartiere dello ZEN di Palermo con la creazione di un giardino con la collaborazione degli abitanti del luogo.

Il terzo capitolo è dedicato agli insetti nell’arte contemporanea e scorrendo gli esempi di artisti da Damien Hirst a Tessa Farmer a Jan Fabre a Hubert Duprat a Kuai Shen, si passa ad un mutamento di paradigma riguardo agli insetti, che da simbolo di morte diventano esseri con cui costruire delle affascinanti collaborazioni, infatti, come ben illustrato da Bindi con dati scientifici, assistiamo ormai all’incredibile moria degli insetti e, tra questi, anche delle api necessarie per la nostra sopravvivenza, sempre più esigue a causa di inquinamento, pesticidi e incuria.

Ancora una volta è stato Beuys a dedicare per primo un’opera a questo insetto nel 1977 con Pompa del miele al lavoro. Il quarto capitolo riguarda il clima attraverso il rapporto tra arte e scienza, che sfugge da un’impostazione troppo determinista. Diverso spazio è stato dedicato al lavoro dell’artista americana Andrea Polli e al suo tentativo di comunicare al pubblico attraverso le sue opere le problematiche riguardo al clima e al riscaldamento globale.

L’artista lavora attraverso la ricerca sui dati scientifici, la loro traduzione sonora, la correlazione tra dati e la collaborazione con diversi artisti, ma opera anche facendo interviste agli scienziati sconfinando nell’antropologia e nella psicologia collettiva. Il quinto capitolo Piero Gilardi e l’estetica dell’Antropocene nasce in occasione della mostra curata dall’autrice all’Accademica di Belle Arti di Carrara che mostrava i Tappeti-Natura realizzati dall’artista tra il 1967 e il 2002.

Bindi recupera il contesto storico e politico in cui sono nati le opere negli anni 60: le proteste, la critica all’industrializzazione, i prodromi di uno sguardo ecologico e il rapporto con Pinot Gallizio e l’atteggiamento “situazionista”, ma anche l’apertura mentale di Gilardi che nel 1957 va negli Stati Uniti, l’amicizia con Paolo Icaro, la loro corrispondenza con Flash Art e Arts Magazine, i loro viaggi a Londra e in Germania dove conoscono Joseph Beuys, la partecipazione a When Attidudes Become Formes, che iscrivono l’artista in una dimensione internazionale e aggiornata.

Gilardi partecipa a manifestazioni e proteste ambientaliste con maschere, striscioni, performance di teatro di strada. I suoi Tappeti-Natura negli anni Ottanta e Novanta diventano interattivi, in sintonia con i tempi e cercano quindi di coinvolgere in maniera diretta lo spettatore. Il lavoro di Gilardi viene quindi iscritto all’interno del dibattito sull’Antropocene e definizioni affini, di cui Bindi dipana la storia

 Il sesto e ultimo capitolo è L’immagine dell’Antropocene tra arte e scienza ed è anche uno degli ultimi ad essere stato scritto; infatti riassume in modo affascinante le problematiche degli altri capitoli. Inizia con una disamina del concetto di Antropocene, adottando la proposta di T.J Demos di usare il termine Capitalocene.

Esamina i diversi tipi di immagini a cui noi siamo ormai assuefatti, analizza le diverse impostazioni sulla catastrofe ecologica odierna, criticando l’ottimismo di Bruno Latour, illustra la divulgazione scientifica dell’Antopocene con il progetto realizzato da Globaia, mette in guardia dall’illustrazione fotografica spettacolare delle catastrofi ecologiche con operazioni ad esempio come quella di Edward Burtynsky, che abbiamo visto due anni fa al MAST di Bologna, che propongono una visione sublime distaccata da dati e ricerche sul campo, dando l’illusione che il semplice vedere possa cambiare le cose.

Fanno da contraltare i sistemi di ricerca artistica di figure come Armin Linke e Terike Haapoja con la scrittrice Laura Gustaffson. Arriva in conclusione agli esperimenti di neuro estetica di Carsten Höller in collaborazione con Stefano Mancuso a Palazzo Strozzi a Firenze (2018).