The war is a stage. Sull’appropriazione dell’immagine bellica
Alberto Brodesco

14.05.2022

I meccanismi di propaganda legata all’immagine hanno sempre a che fare con dinamiche di appropriazione. Si prende possesso di un’immagine per dire “questa è mia”, o per costringerla a dire “sono sua”. L’immagine, da documento, diventa proprietà, vessillo. Di fronte al dato grezzo, indessicale, dell’impronta fotografica o cinefotografica, l’appropriazione lavora attraverso vari tipi di intervento, che hanno a che fare con la sottolineatura, l’ingrandimento, l’aggiunta di una didascalia, la messa in relazione di quell’immagine con altre immagini. Di un’immagine, fissa o in movimento, vengono selezionati dei dettagli o dei passaggi atti a evidenziare delle tesi. Guardare un’immagine significa di fatto muoversi fra più immagini, confrontarle, affiancarne una ad un’altra.

L’immagine di guerra non è mai sola, ma sempre accompagnata da uno sguardo che se ne impossessa. Un video girato dall’interno di un’automobile a inizio aprile a Bucha, Ucraina, mostra dei cadaveri civili abbandonati per le strade di una città devastata. Un primo sguardo può preoccuparsi di quell’immagine, ma non rimane solo a lungo, perché viene presto seguito da un altro genere di sguardo: l’occhio complottista si occupa di quell’immagine, facendo notare che un cadavere, in apparenza, si muove e si rimette a sedere; che un altro cadavere, in apparenza, sposta un braccio.

Dobbiamo attendere l’intervento di un terzo sguardo, quello del cosiddetto debunker, che si ri-occupa di quell’immagine, per accertare che l’apparente resurrezione è dovuta a un riflesso nel parabrezza creato da una goccia d’acqua. In tre veloci passaggi si passa dall’innocenza al sospetto alla verifica, cui spetta un pur precario compito sanzionatorio.

Queste stesse riprese sono state oggetto di un dibattito nello studio televisivo di Sky News UK. Il confronto vedeva di fronte il giornalista Mark Austin e, in videocollegamento dal Cremlino, il portavoce di Putin Dmitry Peskov. Il video integrale del dialogo, Mark Austin interviews Vladimir Putin's press secretary Dmitry Peskov (55’), è stato caricato sul canale YouTube “SkyNews” il 7 aprile 2022. “Lasci che le mostri delle immagini satellitari di Bucha”, afferma Austin, con il semplice, piano intento di sottoporre l’evidenza della guerra al rappresentante del governo russo.

Il servizio di Sky News monta in parallelo, in split screen, le immagini riprese dalla macchina (“camera car”) e altre immagini fisse riprese dal satellite (una sorta di God’s-eye-view, e il nome dell’inquadratura la dice lunga sulla fede che riponiamo in questo tipo di immagini), messe in movimento per dimostrare la sincronia spaziale con le prime: i cadaveri inquadrati nel video dall’automobile corrispondono con quelli identificati dal satellite.

Sky News si appropria di quelle immagini a scopo dimostrativo, per mostrare e dimostrare l’orrore degli eccidi compiuti dai russi. Ciò che è interessante nella reazione di Peskov non è tanto la negazione dell’evidenza fotografica, cosa che avrebbe a che fare semplicemente con il registro della menzogna, ma il suo tentativo di ri-impossessarsi di quelle immagini per far loro dire qualcosa d’altro. Peskov sostiene che quelle immagini sono “staged”, pura messa in scena, che le truppe russe si erano già ritirate dall’area nella data in cui le immagini sono state raccolte. Aggiunge dei sospetti sui meccanismi di produzione dell’immagine, insinuando che la compagnia che fornisce le immagini satellitari sia legata al Pentagono. Peskov si appropria dell’immagine per rivelare i veri proprietari dell’immagine.

Mark Austin propone a questo punto un altro video: la ripresa dall’alto, da lontano (campo lunghissimo), di una donna in bicicletta che gira l’angolo di una strada per essere colpita da un proiettile sparato da un carro armato. Dopo il campo lunghissimo viene montata un’inquadratura ravvicinata che mostra la bicicletta e il cadavere (nascosto tramite effetto di offuscamento). Il montaggio produce un effetto causale. Il delegato stampa russo, in risposta, propone un’altra evidenza. Peskov insiste sull’impossibilità di legare effetto (morte) e causa (carro armato russo), benché si veda un carro armato esplodere il colpo (fumo dal cannone) e una colonna di fumo alzarsi nel punto in cui si trovava la donna.

Peskov si aggrappa a un piccolo difetto nella ricostruzione di Sky News: quando si tratta di dimostrare che a sparare erano stati dei carri armati russi, i due ingrandimenti mostrati a schermo non riguardano il tank che avrebbe effettivamente sparato alla donna (che rimane parzialmente coperto da un tetto), ma due carri armati che lo accompagnano, seguendolo a qualche decina di metri di distanza.

Questa piccola inesattezza è quanto basta a Peskov per parlare di errore. Il rappresentante del governo russo si appropria della ricostruzione di Sky News per costruire, su quella stessa base indessicale, un’ipotesi che smentisce la verità di Mark Austin. “We have to doubt sometimes”, afferma testualmente Peskov. È una frase in cui risuonano echi dei “maestri del dubbio” novecenteschi, dell’indecidibilità post-moderna e del cospirazionismo contemporaneo.

Davanti a ogni pratica di appropriazione di un’immagine ci siamo abituati ad andare in cerca di intenti manipolatori. Peskov lo sa, per questo sembra dire di continuo, cambiando qualche lettera a Shakespeare, “the war is a stage”. L’adesione a tale deriva à la Baudrillard per cui non esiste più la realtà ma solo la sua rappresentazione può apparire inaspettata da parte di un portavoce di Putin, ma è piuttosto coerente con il tentativo di creare un certo tipo di messa in forma linguistica del conflitto (“operazione speciale” e non guerra; “denazificare l’Ucraina”), in modo da sfruttare, anche inconsciamente, i dubbi, le malizie, lo scetticismo e le incertezze che ormai fanno parte del nostro modo di pensare.