Tania Bruguera
L’arte come esperienza della realtà
Angelica Bertoli
Tania Bruguera, Sin Título (Habana, 2021), 2021, installazione e performance. Courtesy l’artista, ph. Claudia Capelli

19.02.2022

Inscrivibili all’interno di uno sviluppo in chiave concettuale dell’opera d’arte, le operazioni di Tania Bruguera (L’Avana, 1968) si caratterizzano per un aspetto trans-disciplinare che si pone in posizione di rottura nei confronti dei confini tradizionali dei media artistici — pittura, scultura e performance. Prendono così forma delle installazioni esperienziali, potremmo dire, che a strutture solide, plastiche, affiancano il ruolo performativo sia dell’artista stessa, sia dello spettatore, rendendolo partecipante attivo.

Nonostante la pratica performativa sia sempre stata al centro dei progetti di Bruguera, nel corso del tempo si sono delineati due aspetti, conviventi e allo stesso tempo distinti, a caratterizzarla: se da una parte l’atto performativo nasce come strumento di indagine di un’estetica del potere che sottende la produzione artistica di Tania, dall’altra l’artista ha gradualmente abbandonato l’esposizione del proprio corpo, che la vedeva protagonista in opere come El peso de la culpa (1997), per evitare il rischio di vedersi riconoscere come icona (inteso anche nella valenza politica del termine).

È da questa riflessione intorno al corpo come medium linguistico che l'artista ha iniziato a lavorare a performance dall’aspetto installativo, assegnando all’oggetto un peso simbolico specifico.

Il corpo performativo su cui lavora impersona metaforicamente il corpo sociale in un’ottica di polemica politica, caratterizzata da un forte impegno nell’attivismo che nella maggior parte dei casi si rivolge al suo paese natale, Cuba, e al suo popolo.

L’intento è quello di mostrarsi come testimonianza della storia, della crisi della realtà politica contemporanea e della democrazia occidentale che, letta con le parole di Agamben, vive in una sorta di stato di eccezione che «permette l’eliminazione fisica non solo degli avversari politici, ma di intere categorie di cittadini che per qualche ragione risultino non integrabili nel sistema politico». Alla luce di questa affermazione, ci rendiamo conto che quella di cui ci parla Tania non è la Storia con la esse maiuscola, quella scritta cioè dai vincitori, poiché l’intento è di raccontare il punto di vista di chi non detiene alcun potere.

Queste considerazioni teoriche e pratiche sono l’esito delle riflessioni di Bruguera intorno all’atto performativo, confluite poi nella definizione di “Arte de Conducta” (Arte del Comportamento): si tratta di un’analisi, a livello sociale ma anche linguistico, che ruota attorno alla possibilità dell’arte di diventare strumento attivo di cambiamento all’interno della società, in grado di costruire una nuova struttura di vita e di relazione per l’uomo.

Arte de Conducta è un gesto sociale che racchiude un messaggio da consegnare alla collettività attraverso una relazione che l’artista intende instaurare con la nostra presenza, cercando di attivare la sfera dei comportamenti e delle attitudini umane. Coinvolgere il pubblico significa, per Bruguera, tentare di provocare riflessioni che mettano in dubbio le proprie posizioni ideologiche, invitandoci a una rivalutazione personale e a una possibile trasformazione comportamentale.

È importante sottolineare come queste considerazioni nascano in e per un contesto culturale specifico, che come detto poco più sopra riguarda, in primis, Cuba e i suoi abitanti, estendendosi successivamente a tutto il mondo occidentale. Pertanto, anche la scelta di una terminologia in lingua spagnola ha un suo peso specifico all’interno della pratica artistica, rappresentando quello che la stessa artista definisce un “atto decolonizzante”, un modo cioè per sostenere che alcuni termini «non saranno mai completamente compresi se non li abitiamo» e se non li viviamo. Scartando il passaggio di traduzione, l’atto di Tania costringe in qualche modo la critica a leggere la sua posizione artistica come azione etica e a comprenderne l’aspetto trans-disciplinare.

Questo processo linguistico, che ha indubbiamente intrapreso una sfida allo status quo dell’autoritarismo politico, ha anche interrogato la funzione e i limiti dell’arte per evidenziare come non preesistano delle definizioni adatte a descrivere i processi di trasformazione dell’arte contemporanea fino a oggi. Il linguaggio, dunque, diventa uno strumento di potere grazie al quale Bruguera tenta di porsi in dialogo con critici e teorici provenienti non solo dal mondo dell’arte, ma anche da altre aree di interesse, interfacciandosi dunque con il carattere sociale dei suoi lavori.

Tania Bruguera, 22,853 (Crying Room), 2018-2021, installazione interattiva. Courtesy l’artista, ph. Lorenzo Palmieri

In questo contesto, un’opera come Sin Título (Habana, 2021) rappresenta una svolta concettuale importante nel lavoro di Bruguera e soprattutto ne rafforza la capacità evocativa. Recuperando l’installazione presentata alla Biennale de La Havana nel 2000 e censurata dal governo cubano, l’opera è stata ri-azionata in una versione attualizzata per gli spazi del PAC di Milano in occasione della prima mostra personale dell’artista in Italia, La verità anche a scapito del mondo. 

Tania ha deciso di riproporla all’interno del PAC per denunciare un evento che ha colpito il popolo cubano recentemente: a seguito delle proteste per le insufficienti risorse sanitarie contro il Covid-19, molti manifestanti sono stati incarcerati e quest’opera si pone come tentativo di difesa della libertà di espressione a Cuba.

Simbolicamente, i tre performer che ci accolgono nello spazio buio mentre sono intenti a elencare i nomi degli oltre cinquecento prigionieri, dotano questi ultimi di una identità pubblica, per il mondo. La nostra presenza ci rende partecipanti attivi di un processo che riprende, e forse prosegue in questi spazi, la manifestazione cubana. Sin Título (Habana) è uno dei lavori che, a partire dagli anni Duemila, ha segnato uno spostamento del concetto stesso di performance, abbandonando l’idea del proprio corpo come medium e coinvolgendo lo spettatore quasi fosse un co-attore, a cui viene delegato un ruolo attivo di interpretazione e di costruzione dell’opera. Letto sotto questa lente, l’abbandono del corpo corrisponde a una riflessione intorno al ruolo dell’artista che non si riconosce più nei panni di autore dell’opera.

In termini di ricezione del lavoro, Bruguera ha iniziato a riflettere su come l’uso del proprio corpo ne implicasse in realtà un limite: da una parte, perché alcuni consideravano importante e rilevante la connotazione sessuale dell’artista e il fatto che questo aspetto potesse influenzare il messaggio dell’opera. Dall’altra perché lo spettatore, pur potendo osservare e partecipare alla performance, non vi era coinvolto in maniera diretta; il rischio era dunque quello di fruire passivamente l’opera, senza che alcuna emotività venisse attivata.

Ha inizio così un lavoro che interpella ed entra in connessione con lo spazio, dentro il quale lo spettatore si trova ad assistere a delle “situazioni sociali”, per usare le parole di Claire Bishop, o a vivere una vera e propria esperienza. Si tratta di progetti pensati per essere di pubblica utilità e nei quali allo spettatore viene assegnato il ruolo di società civile. Il valore di queste pratiche risiede dunque nel loro aspetto collettivo ed esperienziale che si cuce sulla pelle di chi partecipa o attraversa lo spazio performativo, rendendo l’opera un momento di vissuto collettivo.

A queste riflessioni socio-politiche e al carattere partecipativo dell’opera, Bruguera affianca un altro elemento fondamentale: il coinvolgimento della memoria. Si tratta non della memoria personale dell’artista, e nemmeno di una memoria storica, quanto di quella di ogni singolo spettatore che, vivendo un sentimento collettivo di empatia all’interno dell’opera, riesce a cogliere un determinato momento e a portarlo con sé per sempre.

Ne è un esempio 22,853 (Crying Room), 2018-2021, anch’essa in mostra al PAC: riproponendo l’installazione presentata nel 2018 nella Turbine Hall della Tate Modern di Londra, Bruguera ci immette in un’esperienza immersiva all’interno di una stanza completamente sterile e spoglia, eccezione fatta per alcune fessure nelle pareti che rilasciano un vapore organico al mentolo. Qui il visitatore non è solo, ma si trova a condividere spazio e tempo con degli sconosciuti e a mostrare la propria emotività fisicamente, piangendo forzatamente per effetto del composto vaporizzato.

In questo senso, l’artista ha creato una macchina performativa che attraversa le dimensioni di spazio e tempo, ma anche quella dell’esperienza partecipativa. Pur calandoci in una sorta di non-luogo augeriano e innescando una trappola, Bruguera è riuscita a isolarci da una routine mediatica e a creare un’emotività collettiva autentica. L’unico legame con il mondo, che conclude l’esperienza di cui porteremo memoria, è segnato dal numero impresso sul dorso della nostra mano e che leggiamo anche nel titolo dell’opera: si tratta di tutte le persone che hanno attraversato il Mediterraneo quest’anno, compreso chi ha perso la vita in questa impresa.

Tania Bruguera, in questa installazione come in ogni suo progetto, ci ha accompagnati in una dimensione riflessiva che, come conseguenza, ha implicato anche delle responsabilità. Vivendo e non solo guardando gli accadimenti che si svolgono nello spazio partecipativo, abbiamo messo in discussione noi stessi e i nostri comportamenti di fronte a storie di scomode verità del mondo. Così, siamo infine diventati coscienti di noi, della propria realtà e, forse, abbiamo tentato di cambiarla.