Sulla Costituzione della Terra
Marco Papetti

29.08.2022

«La Terra è un pianeta vivente. Essa appartiene, come casa comune, a tutti gli esseri viventi: agli esseri umani, agli animali e alle piante. Appartiene anche alle generazioni future [...]»: così recita, in apertura, l’Articolo 1 della proposta di Costituzione della Terra presentata da Luigi Ferrajoli in Per una Costituzione della Terra. L’umanità al bivio (Feltrinelli, Milano 2022). Una proposta motivata, com’è facilmente intuibile, dall’urgenza di rispondere al disastro ambientale a cui l’umanità ha condotto il pianeta, un disastro che, assieme alla minaccia nucleare sempre più intensa, rende ogni giorno meno improbabile la possibilità dell’estinzione totale della vita. Un’eventualità rispetto alla quale la questione post-moderna sulla fine della storia ha lasciato il posto a un’inquietudine differente: il problema principale, oggi, non è più quello di capire se la storia sia o meno finita, ma di agire perché non finisca, come titola l’appello di Ferrajoli e Raniero La Valle apparso sul “manifesto” per annunciare il progetto di una Costituzione della Terra (Perché la storia continui. Appello-proposta per una Costituzione della Terra, “il manifesto”, 27 dicembre 2019).

Non è tuttavia solo il rischio, mai presentatosi prima, che l’umanità distrugga sé stessa e ogni specie vivente a rendere necessaria per Ferrajoli la stesura di una Carta fondamentale del Pianeta. Lo sono anche tutte quelle storture sistematiche del nostro tempo che della vita violano la dignità, rivelando quella ‘malattia’ del mondo a cui fa costante riferimento papa Francesco: le guerre e le tensioni militari diffuse in ogni parte del globo, le continue violazioni dei diritti fondamentali, le disparità economiche, sociali e igienico-sanitarie tra paesi ricchi e paesi ‘in via di sviluppo’, acuite in quest’ultimo biennio dalla pandemia di Covid-19 (Ivi, p. 40).

Tutto ciò, dalla crisi ambientale alle diseguaglianze globali, è l’effetto di quella che Ferrajoli definisce una «macro-criminalità di sistema» (Ivi, p. 52) che, essendo riconducibile alle azioni di «una pluralità indeterminata di soggetti» e di stili di vita (Ivi, p. 41), è per sua natura priva dei requisiti garantisti minimi per essere perseguita penalmente come crimine (quale soggetto giuridico, infatti, potrebbe venire considerato penalmente responsabile del cambiamento climatico in accordo con il principio garantista della connessione evidente tra azione e danno?). Tuttavia, per Ferrajoli è evidente la matrice unica di questa criminalità di sistema: si tratta dell’«anarco-capitalismo globale» (Ivi, p. 42), la cui logica cieca del profitto, da un lato, e l’estensione globale e la libertà quasi illimitata di cui gode, dall’altro, stanno congiuntamente devastando la Terra, gli ambienti, l’esistenza di milioni di persone, nell’impotenza dei governi degli stati nazionali.

È proprio questa impotenza degli stati a limitare disastri ecologici e tragedie umanitarie provocate da poteri e interessi sovrastatali a manifestare, secondo l’autore, la limitatezza dell’applicazione nazionale del costituzionalismo e a spingere verso una sua estensione su scala globale. A suo dire, sarebbe ormai giunto il momento di ‘inverare’ il paradigma costituzionale con una sua attuazione universale o cosmopolitica (Ivi, p. 58), con la redazione e il riconoscimento da parte di tutti gli stati del mondo di un Costituzione della Terra, quale unico mezzo per «assicurare la sopravvivenza dell’umanità» (Ivi, p. 62).

Se Ferrajoli parla di inveramento a proposito di un’estensione sovranazionale del paradigma costituzionale è soprattutto perché solo così si potrebbero compiutamente realizzare i principi di tutela del pluralismo, della diversità e dei diritti fondamentali che, benché proclamati come universali da ogni patto costituente, nel circuito chiuso dello stato nazionale vedono il proprio riconoscimento limitato dal requisito del possesso della cittadinanza (Ivi, p. 55). Un costituzionalismo universale darebbe inoltre piena espressione a quell’aspirazione alla pace che lo stato-nazione non è in grado di garantire, in quanto, per sua essenza, è sempre potenzialmente in conflitto con le altre entità statali (Ibid.).

Riprendendo il sogno kantiano di una federazione tra i popoli del mondo a garanzia della pace perpetua, una Costituzione della Terra garantirebbe la sopravvivenza del genere umano e della vita attraverso quattro espansioni del paradigma costituzionale volte a colmarne le mancanze rispetto ai problemi della contemporaneità. Secondo Ferrajoli, una Costituzione universale dovrebbe, in primo luogo, superare la logica della nazionalità che lega il possesso dei diritti a quello della cittadinanza, per garantire questi ultimi a tutti e con essi la pace (espansione come costituzionalismo sovranazionale). In secondo luogo, dovrebbe limitare non solo i poteri pubblici ma anche quelli ‘privati’ dei mercati e delle grandi aziende multinazionali, che godono oggi di margini di azione pressoché sconfinati (espansione come costituzionalismo di diritto privato). Infine dovrebbe tutelare, insieme ai diritti fondamentali individuali, anche i «beni fondamentali» collettivi indispensabili alla vita (espansione come costituzionalismo dei beni fondamentali) e mettere al bando, invece, i «beni micidiali», come le armi o le emissioni di gas serra, che, al contrario, per la vita rappresentano una minaccia (espansione come costituzionalismo dei beni illeciti) (Ivi, p. 94).

Tra i beni fondamentali, a cui l’abbozzo di Costituzione proposto da Ferrajoli nelle ultime pagine del libro dedica un intero Titolo (cfr. Ivi, pp. 171-73), compaiono anche quelli che l’autore definisce «beni vitali naturali» (Ivi, p. 171), ossia l’insieme di tutto ciò che costituisce o influenza il nostro ambiente vitale: «l’aria, l’acqua potabile e le sue fonti, i fiumi, i mari, i grandi ghiacciai, la biodiversità, i fondi marini, l’Antartide, gli spazi aerei, le onde elettromagnetiche», gli «spazi extra-atmosferici», la Luna e gli altri corpi celesti (Ibid.). Il riferimento a questa categoria di beni introduce nel campo giuridico una novità filosoficamente importante.

All’interno della Costituzione della Terra, questi beni vitali naturali possiedono una forma completamente diversa da quella dei tradizionali diritti fondamentali personali: essi allargano, infatti, la sfera della tutela costituzionale all’insieme di tutto ciò in cui il soggetto è immerso, che sostiene materialmente la sua esistenza e forma il suo orizzonte di senso e il suo ‘mondo della vita’. Un insieme di elementi, di spazi, di paesaggi e di sistemi vitali che, per la propria concretezza, eccede quella «logica della presupposizione» (R. Esposito, Pensiero vivente. Origine e attualità della filosofia italiana, Einaudi, Torino 2010, p. 30), tipica della modernità, che informa la categoria giuridica di persona e opera separando il soggetto dal suo «sostrato biologico» (Ibid.) e materiale, dal suo ambiente di vita.

L’attenzione a questi beni vitali naturali sembra andare in direzione di una ‘ri-mondanizzazione’ del soggetto, invitando la filosofia del diritto alla difficile sfida di tenere insieme l’universalità e la mondanità, aprendo il soggetto al mondo senza farlo scomparire come concetto filosofico, e dando piena legittimazione giuridica a ciò che l’attributo – terrestre – di questa ormai improcrastinabile Costituzione presuppone: il nostro abitare e appartenere alla Terra, in una molteplicità di esperienze.