Sul partito della pseudo-natura
Ubaldo Fadini

14.06.2021

Alcuni dei “classici” di riferimento della ecologia critica, da André Gorz a Félix Guattari, hanno spesso sottolineato come si perda appunto la valenza critica dell'ecologia se non si parte da una analisi del capitalismo. Ad esempio, Gorz scrive con chiarezza – nel suo L'ecologia politica, un'etica della liberazione – che soltanto partendo da una critica del capitalismo, del suo presente, si può arrivare proficuamente all'ecologia politica, a ciò “che, con la sua indispensabile teoria critica dei bisogni”, consente di ritornare, approfondendola e radicalizzandola, alla critica del modo di produzione dominante: in questo senso, l'ecologia politica si concretizza come una dimensione decisiva della critica teorica e pratica di quest'ultimo.

E ancora: “Se si parte, al contrario, dall'imperativo ecologico, si può arrivare tanto a un anticapitalismo radicale quanto a un pétainismo verde, a un ecofascismo o a un comunitarismo naturalista” (A. Gorz, Ecologica, Jaca Book, Milano, 2009, p.18). Per l'autore di L'Immatériel, l'ecologia corre il pericolo di perdere la sua valenza essenzialmente critica ed etico-politica “se le devastazioni della Terra, la distruzione delle basi naturali della vita non sono comprese come le conseguenze di un modo di produzione; se non si comprende che questo modo di produzione esige la massimizzazione dei rendimenti e ricorre a delle tecniche che violano gli equilibri biologici” (idem).

Da tali premesse risulta l'importanza della cosiddetta “tecnocritica”, in grado di distinguere le tecniche “conviviali”, per dirla con Ivan Illich, che favoriscono con le loro aperture un più di collaborazione e autonomia, da quelle “eteronome”, che restringono gli spazi di cooperazione e di possibile emancipazione dai vincoli posti dalla legge del plusvalore.

Si tratta di posizioni abbastanza note ma che pare opportuno ripresentare, ribadendo l'importanza di una stagione di pensiero critico non troppo lontana e che ultimamente viene di nuovo considerata anche grazie alla preziosa ripubblicazione di alcune delle sue espressioni più significative. Qui penso a Dario Paccino e al suo Imbroglio ecologico. L'ideologia della natura (del 1972 e riportato ora di nuovo in libreria grazie a Ombre corte e alla cura di Gennaro Avallone, Lucia Giulia Fassini e Sirio Paccino), oltre che a James O'Connor e al suo eco-marxismo (ripresentato, sempre per Ombre corte, attraverso la raccolta di due saggi: La seconda contraddizione del capitalismo. Introduzione a una teoria e storia dell'ecologia, a cura di Jacopo Nicola Bergamo ed Emanuele Leonardi). Ma altro dovrei aggiungere, ad esempio Isabelle Stengers e il suo Nel tempo delle catastrofi. Resistere alla barbarie a venire (del 2008 e recentemente pubblicato in italiano a cura di Nicola Manghi), a cui affiancherei, della stessa autrice, le ultime attenzioni al pensiero di Alfred N. Whitehead e al compito ineludibile di operare al fine di una “riattivazione” non banale e di segno comunque critico/creativo del “senso comune”.

Non voglio però procedere nella direzione di una elencazione, fortunatamente abbastanza lunga, di testi e autori/autrici che concorrono a renderci sempre più consapevoli del carattere indispensabile di tutte le campagne possibili e immaginabili contro i vari “monumenti”, incessantemente ri-edificati, della dominazione della natura ad ogni costo (si parla di “dominio”...). Ritorno invece al pericolo dell'“ecofascismo” o del “comunitarismo naturalista”, indicato da Gorz, che fa capolino nelle spinte ricorrenti a mettere in piedi una sorta di “partito della natura”, con la riproposizione di steccati e di chiusure per me insopportabili, che rivelano in definitiva una incapacità a pensare/fare politica nel senso della intersezionalità o della costruzione di nuove e promettenti alleanze (per rimandare, su un altro piano, diverso da quello qui approssimato, al titolo di un vecchio libro giustamente fortunato di Stengers e Ilya Prigogine, del 1979).

E' così che mi viene in mente una sorta di precedente storico di tale pericolo, che voglio ricordare, ovviamente conscio delle distanze temporali (non dico abissali, ma quasi...) e quindi avvertito del limite del richiamo, limite che impedisce qualsiasi proiezione/sovrapposizione “piena”. In un testo su Nietzsche, di qualche decennio fa, Ernst Nolte contrapponeva strumentalmente e con fini di rivalutazione di determinate vicende storiche, passate sempre e comunque attraverso il filtro di una colpevolizzazione senza sconti (per lo storico tedesco invece dovuti), il “partito della vita”, così come si è manifestato nel Novecento, al “partito della classe”, quello della rivoluzione comunista. Il “partito della vita”, riabilitato quindi anche nelle sue manifestazioni estreme, certo (!) condannabili ma non tali da intaccare l'impresa a cui è legata la ragion d'essere di quel “partito”, impedire cioè lo sviluppo del processo rivoluzionario anti-capitalista.

Ricordi di movenze ideologiche fortemente condizionate e incessantemente riproposte, memorie di uno studioso come me legato anche alla presa d'atto del fatto che a volte la stupidità, come affermano Adorno e Horkheimer, si trasforma in vera e propria bassezza d'animo, nei confronti della quale si può semplicemente parafrasare Rimbaud dicendo che se ne deve stare lontani così come sono sempre lontane le unghie delle mie mani dai miei occhi. Posso però esprimermi sinteticamente, in definitiva e non semplicemente per il gusto della provocazione, cogliendo nell'“ecofascismo” o nel “comunitarismo naturalista” il profilarsi di un partito della “pseudo-natura” ben lontano dal bisogno concreto di coltivare un'etica e una politica “anarco-comunista”, per dirla ancora con Gorz, o, in ogni modo, un' arte di esistere diversamente da come (tele)comandato, rivolta cioè ad articolare “pratiche di altri rapporti individuali e sociali”, a ricercare “strade per uscire dal capitalismo e per liberare infine dalla sua presa i nostri modi di pensare, di sentire, di desiderare” (A. G., Ecologica, p.24). Si tratta di cercare, sempre, di non smettere di farlo, ritrovando, se possibile, delle “suole di vento” in grado di fare i conti con quella tensione inesauribile che non consente di “trovare un punto definitivo per determinare un ambiente” (Luigi Ghirri): tanto meno una..., la “natura”.