28.02.2021

Strategie di resistenza: immagine pittorica e tra(s)duzione digitale

Raffaele Santoro

La realtà pandemica che ormai da un anno condividiamo ci sta portando, giorno dopo giorno, a relazionarci e confrontarci con un ampio ventaglio di problematicità i cui effetti si riflettono, direttamente o indirettamente, dalla sfera politico-sociale a quella artistica. Non è difficile notare come la complessità di questo panorama stia agendo almeno su due fronti così sintetizzabili: da un lato, si rintracciano ricerche e sperimentazioni visive che meditano e interrogano la situazione attuale ponendola al centro dell’atto creativo. Confermando, sin dall’inizio della situazione emergenziale, gli inesauribili scambi tra testo e contesto sia sul piano del contenuto che su quello dell’espressione.

Dall’altro, le procedure anti-contagio finiscono per impattare su questioni strettamente legate allo statuto dell’immagine e alla sua fruizione, rendendo la pittura costantemente obbligata ad un processo di tra(s)duzione e ri-mediazione digitale. Data la natura strutturale del linguaggio pittorico e il valore antitetico che tradizionalmente questo medium riveste rispetto all’immagine digitale e computerizzata, circoscriverò le mie riflessioni unicamente a questa pratica artistica.

Senza entrare nel merito delle scelte e delle misure di contenimento del virus, è necessario constatare come la chiusura degli spazi espositivi e la conseguente conversione degli eventi artistici in manifestazioni da remoto, abbia soltanto accelerato tale processo tecnologico di tra(s)duzione dell’immagine. Un passaggio seducente, soprattutto per il mercato dell’arte, e in auge già prima dell’emergenza sanitaria. Si pensi non soltanto ai tour guidati organizzati dai musei ma alle piattaforme di e-commerce oppure alle viewing room cui aderiscono – per ovvie ragioni – specialmente gallerie d’arte private.

La costruzione di questi spazi virtuali, seppur abbia permesso ai musei di continuare l’attività espositiva e alle gallerie di proseguire la vendita anche nei mesi più stingenti della pandemia, modifica inevitabilmente il rapporto tra opera e osservatore interponendovi un terzo elemento del tutto assente durante la fruizione diretta dell’oggetto pittorico. L’immagine pittorica post-pandemica sembra rapportarsi allo spettatore solamente previa riproduzione e riduzione: unicamente dopo una perdita di tangibilità che non si esaurisce nel solo abbandono della dimensione corporale dell’oggetto artistico in sé ma si manifesta, specialmente, come metamorfosi delle strutture mediali. È in questo senso che l’immagine pittorica è coinvolta, oggi, in un processo di tra(s)duzione attraverso cui si attua una ri-mediazione dello stesso medium artistico.

In altri termini, all’interno del processo di metamorfosi dal pittorico al digitale, la fruizione non è più il momento in cui l’osservatore posa il proprio sguardo sull’oggetto artistico; bensì il luogo in cui si compiono due operazioni differenti ma complementari. In primis, la presenza dello spettatore porta a termine il processo di tra(s)duzione da reale a virtuale, che apparirebbe invece incompleto senza l’apporto dell’occhio guardante. In secondo luogo, l’azione scopica sull’oggetto d’arte viene assoggettata e filtrata da un medium ulteriore – superfluo, eppure efficiente – in grado, appunto, di ri-mediare il momento fruitivo stesso.

Da qui, possiamo notare come la pandemia stia estendendo il proprio dominio su un ampio raggio di rapporti che investono anche l’ambito visuale e percettivo dell’artistico. Costringendoci, nel momento in cui ci rapportiamo all’immagine pittorica, a confrontarci tanto con le problematiche legate al medium artistico e ai dispositivi di rappresentazione, quanto con fenomeni di ri-mediazione della rappresentazione artistica e del suo farne esperienza.

Una necessità, questa, che si fa maggiormente stringente a causa della situazione pandemica, dell’impossibilità di avere un contatto non-mediato con le opere e, pertanto, dell’utilizzo ormai diffuso del virtuale come unico termine di fruizione artistica. Va tenuto conto, inoltre, del fatto che i citati casi di viewing room o di piattaforme di e-commerce non verranno meno con la fine dell’emergenza sanitaria. Ma, al contrario, continueranno ad imprimere costanti accelerazioni in tal senso, connaturando il processo di tra(s)duzione dell’opera pittorica in digitale quale provvedimento – prima ancora che straordinario – politico.

Non è difficile comprendere come la situazione odierna sia estremamente mutata rispetto al contesto in cui agiscono le riflessioni di Paul Valéry su La conquête de l’ubiquité della musica e da cui prendono le mosse, successivamente, le intuizioni di Walter Benjamin sulla riproducibilità tecnica dell’opera d’arte; entrambi, peraltro, importantissimi contributi all’affermazione di una scienza dei linguaggi mediali. Una situazione, si diceva, ben diversa non soltanto a causa dello scarto temporale che ci divide dai due autori e per l’esponenziale transizione tecnologica che ci vede protagonisti; bensì per l’impossibilità – imposta dalla pandemia, oggi, e da politiche economiche, domani – di intrattenere sempre più un dialogo immediato con l’opera e privo di qualsiasi ri-mediazione. Infatti, a ben vedere, quanto stiamo vivendo è in assoluto il primo periodo della storia umana in cui la relazione tra opera e spettatore si sbilancia, sensibilmente, dal tangibile al digitale: dal reale al virtuale.

Risulta complesso dire oggi se l’obbligata digitalizzazione della pittura produrrà conseguenze importanti dal punto di vista della pratica artistica; di certo, adottando uno sguardo retrospettivo, possiamo affermare con sicurezza che l’atto creativo sia sempre stato attratto dalle nuove tecnologie, soprattutto se riguardano fenomeni visuali. inoltre, non si possono escludere ricerche espressive che accedano ad un confronto diretto con le problematiche della ri-mediazione, forse, in maniera ancora più radicale di quanto già non sia stato fatto nei confronti della fotografia e della computer grafica.

Al netto di quanto detto sinora, prestare attenzione alla struttura attraverso cui il pittorico si presenta può essere d’aiuto per individuare alcuni caratteri intrinseci che ostacolano questi processi di tra(s)duzione. La pittura, più di altri linguaggi artistici, si offre all’osservatore servendosi di un regime scopico in grado di far emergere due differenti e, per certi versi, antitetici meccanismi espressivi: la presentazione di se stessa, nel momento stesso in cui rappresenta qualcosa d’altro. Un rapporto dialettico, questo, che Louis Marin definisce rispettivamente nei termini di opacità e trasparenza della pittura.

Tali strategie autonome e automatiche ci permettono di individuare oltre all’aspetto transitivo, cioè la possibilità di veicolare ed esprimere un messaggio diverso da sé, anche un apparato riflessivo: ovvero la capacità, offerta dalla pittura, di mostrare – in modo più o meno esplicito – quei meccanismi finzionali su cui si regge l’intera macchina rappresentativa. Pertanto, elementi come la cornice, il supporto o la densità materica e cromatica del pigmento tradiscono la loro natura di mise en abîme permettendo al linguaggio pittorico di ribadire, con forza, il proprio essere medium.

Sono proprio questi dispositivi che presentano la rappresentazione a funzionare quali agenti, seppur inconsapevoli, di resistenza alle politiche di ri-mediazione e di tra(s)duzione in digitale del pittorico.