Siamo noi o il mondo che cambia?
Sull’educare, oggi
Valentina Chianura

14.05.2022

A volte ci si domanda cosa sta cambiando, se siamo noi o il mondo intorno. Domande e risposte che si sono posti molti autori del passato e che sono ovviamente ancora attuali.

Un evento diverso dalla solita routine è spesso la chiave di un cambiamento, di quel “diverso” che ci destabilizza/disorienta ma che apre invece nuovi orizzonti o più semplicemente fa capire chi, solo in fondo, siamo. La relazione autentica del “noi” all’interno di un mondo in continuo mutamento diventa sempre più difficile da ricercare. Se volessimo far riferimento al pensiero di un famoso filosofo, Martin Buber, sorgerebbe spontanea la domanda: come si pone l’essere umano di fronte al mondo e alle sue relazioni?

Spesso non siamo altro che un mezzo per arrivare ad un fine. Non accogliamo e non ci prendiamo cura dell’altro, siamo quella parte del “noi” che manipola l’altro per fini di potere. Dimentichiamo che intorno a “noi” c’è l’altro che ci può aiutare, che può, malgrado sia difficile comprenderlo, accompagnarci… e perché no anche con un semplice sorriso incoraggiarci, per attraversare un mondo sconosciuto. Sono poche le persone che ci orientano e conducono attraverso nuove strade, al nostro nuovo obiettivo. Tante invece sono le promesse, le iniziative, le idee, ma pochi sono coloro che sanno far riscoprire qualcosa di “autentico” in ognuno di noi e con il quale ci relazioniamo. Nel mondo, oltre ad essere posizionalmente soli, siamo con gli altri, diversi ma uguali in questo nostro essere di relazione.

Ci relazioniamo all’altro sperando di costruire qualcosa ma accade che non sempre lo consideriamo come “individuo”, cercando invece di prevalere su di esso. Quante volte però ci si sofferma a pensare realmente se si sta facendo la cosa giusta per me e per l’altro? Non solo a livello educativo ma anche sociale, il soggetto riesce ad essere così “egoista” e poco attento verso l’altro e verso il mondo che non si accorge chi o cosa sta cambiando.

Lo scenario sociale “inaspettato” che si è presentato in questi ultimi anni ha fatto emergere maggiormente, sotto alcuni punti di vista, proprio questo aspetto. Ecco affiorare da una parte le “paure dell’individuo” e dall’altro sprofondare, venire meno, le “relazioni”. Nella società odierna e sempre più complessa è automatico il riferimento a Edgar Morin, laddove vige appunto l’esposizione al rischio che viene accostato al principio di protezione piuttosto che all’incontro.

Aldilà di tutto, il rapporto dell’ “io” con la collettività sociale manca di quella relazione e di quella cura che in primis l’individuo non riesce più a trovare nei confronti di se stesso. Potrei far riferimento al pensiero di Vittorio Lingiardi, il quale esaltava questo senso di “relazione” ormai perso e evidenziava l’aumento delle incertezze, che potrebbero farci ripensare al “cambiamento", sotto un’ottica troppo variegata e disorientante.

Perché allora non rimettere in luce i punti di riferimento/criteri d'indirizzo che hanno subito enormi mutamenti nello scorrere del tempo e far in modo che ognuno mostri il proprio senso di responsabilità e di reciprocità, al fine di tutelare il “noi” e “l’altro” e costruire un futuro migliore?

La società formata da singoli individui costitutivamente differenti appartiene, come diceva il già citato Morin, ad una complessità ormai sempre più incalzante e semplicemente tornare indietro, in maniera appunto reattiva, non avrebbe poi così tanti risvolti positivi. Eppure, se volessimo costruire un’indagine empirica sui contenuti culturali/materiali del cosiddetto “vecchio” e del “nuovo”, del passato e del presente, troveremo a volte affinità che potrebbero essere fonte di ricchezza, di una originale messa a valore.

Se solo ci soffermassimo di più a pensare al “noi” e provassimo davvero a costruire un’educazione autentica in modo da “incontrarci”, forse avremmo una strada migliore da poter percorrere.

Certo è che l’educazione è un tassello altrettanto fondamentale in noi – insieme con l’ “altro” – proprio perché con le pratiche formative riusciamo a inventare, crescere, riformulare incessantemente il nostro stare nel mondo, situazione, quest'ultima, che appare oggi particolarmente intricata. Insieme a tutte queste sfaccettature non possiamo certamente dimenticare che il singolo porta avanti ogni giorno il suo “cammino o viaggio” auto-educandosi e relazionandosi, pure empaticamente, con l’altro: lo dobbiamo ricordare ad ogni costo, contro tutto ciò che mira invece a cristallizzare la rete di rapporti dentro la quale siamo collocati.

Se volessimo fare un salto in un passato teorico non troppo lontano, già la riflessione attenta di George H. Mead rimarcava come il soggetto attraversi un rapporto autoriflessivo con il proprio sé e riesca a determinare condizioni e sviluppare un processo di consolidamento del suo rapporto con il mondo. Ciononostante, le diverse contingenze storiche hanno invece portato alla formulazione di pensieri di carattere indubbiamente conforme rispetto alla logica di funzionamento delle nostre società, modi di pensare che hanno rallentato, per non dire impedito, il perseguimento/conseguimento di una più aperta e quindi condivisibile conoscenza del nostro essere nel mondo, in relazione continua con il suo variare.

E ancora, se solo provassimo sia pure per poco a mettere da parte gli errori e riuscissimo ad essere “noi – l’altro”, cosa cambierebbe?

Tornando all’idea-chiave di Buber e tenendo viva l’importanza dell’educazione come base per creare un legame sociale elastico, proficuo, la prospettiva di apertura delle potenzialità dell’ “io” nel mondo possono e devono essere rimarcate in relazione a “principi” specifici, in particolare a quello dialogico, affinché si possa dare avvio ad un vero e proprio corrispondere in quella complessità che emerge in tutte le sfere della vita sociale

Consapevoli che l’educazione è un’esperienza altamente delicata e difficile, che ogni soggetto faticherà sempre a realizzare al meglio il proprio itinerario educativo, possiamo provare a ripartire con maggiore consapevolezza delle nostre “mancanze” e proiettarci verso una direzione più promettente, spingendoci progressivamente verso nuove mete, dialogando e condividendo con l’altro il nostro cammino. Ma certamente allora si dovrà avere a che fare con intelligenza e sensibilità con la variabile del tempo, quel fattore dell'esistere che mi verrebbe da associare ad un’ “altalena” su cui dondolarsi tra passato e futuro, attraverso il presente, esponendoci a cambiamenti che porteranno con sé il valore dellincontro possibile con l’incognito.

Avendo, dunque, un ventaglio sempre più ampio di occasioni di relazione non scontata, bisognerebbe provare a riflettere su ogni piccola “questione”, con la sua valenza formatrice, per analizzarla dettagliatamente (e, in prima battuta, a cosaltro serve il sistema dellistruzione se non a porci in tale ottica dindagine?) e riuscire ad affrontare almeno parzialmente la domanda iniziale: come cercare/tentare di vivere nel mondo, per riprendere Tim Ingold, in una maniera non avvilente, che non mortifichi cioè l'altro come partner relazionale e dunque la nostra stessa persona, il nostro essere soggetto?