Senza titolo (La Pittura 3)
Carmen Lorenzetti
Peter Halley, Galleria Massimo Minini, 2021. Courtesy: artist - Galleria Massimo Minini. Ph: A. Gilb

16.04.2021

Louis Marin nel saggio La cornice della rappresentazione e alcune delle sue figure (1987, in Id, Della Rappresentazione 2014) evidenzia il valore di presentazione, la funzione del mostrare del dispositivo della cornice: il suo indicare l’interno della rappresentazione del quadro. Questo mette in comunicazione la rappresentazione con lo spettatore che viene coinvolto e interpellato, un po’ come facevano anticamente quelle figure che, rivolgendosi allo spettatore, con il dito della mano indicavano la storia che si svolgeva all’interno del quadro. E’ una funzione deittica, dimostrativa e dialogica che se in prima battuta coinvolge la visione, in seconda istanza trasforma il quadro in un fatto mentale e teorico. Che la pittura sia un fatto mentale è testimoniato anche da quanto scriveva Poussin a proposito del quadro e alla sua “trasformazione” da “aspetto, semplice percezione delle cose, in prospetto, ossia ufficio di ragione”. Per fare questo il dispositivo deve rendersi evidente ed “opaco” e perdere quella “trasparenza” che ci fa aderire alla rappresentazione senza filtri ed entrare direttamente nel quadro e nella storia. Il quadro a questo punto diventa il luogo privilegiato in cui confluiscono narrazioni e conflitti di forze, gerarchie di potere, istanze e storie che vanno ben al di là della semplice visione. Il quadro è costituito allora da un insieme di dispositivi (cornice, superficie e sfondo definiti così da Marin) che mettono in gioco attraverso il medium della pittura il mondo.

Fa riferimento proprio a questa dialettica di forze che mettono in connessione la rappresentazione e il mondo la mostra di Giulio Paolini alla galleria Alfonso Artiaco di Napoli (2021) intitolata Fuori quadro, dove si trovano ben due opere composte di cornici e una dove viene rappresentato il retro di una tela.

Pierpaolo Campanini, Senza Titolo, 2016, olio su tela, Collezione Privata. Ph: C. Pascale Guidotti M

Paolini, con la costruzione di queste allegorie complesse, parla della pittura, dei suoi strumenti, tramite i quali l’artista coinvolge lo spettatore in una dimensione teatrale: oggetti e spettatore abitano lo spazio della pittura. Un’altra mostra parla, attraverso le cornici, di una problematica che si estende al concetto di identità, di esotico e di turismo di massa: le cornici comprate in Perù di Sol Calero, che diventano un feticcio e un souvenir dietro al quale in senso puramente decorativo passa il concetto di pittura (Cfr. la mostra Expanded Painting, 2020, Galleria Massimo Minini). Anche l’ultima mostra di Massimo Minini dedicata a Peter Halley gioca con i dispositivi del quadro e si riallaccia in maniera intrigante al saggio citato di Marin. Infatti i quadri-oggetto dell’artista, che chiamano in causa il bordo e il (ri)quadro, riprendono sin dalla loro prima formulazione negli anni Ottanta i quadri costituiti di pure ripetizioni di bordi-cornice di Frank Stella. Marin alla fine del suo saggio scrive del quadro “fatto di cornici” (una dentro l’altra) Gran Cairo, 1962, Whitney Museum, della mise-en-abyme della cornice di Stella, e Halley scrive di Stella in un articolo per Flash Art del 1986 (n. 126).

Ettore Spalletti, Così com’è, nero, 2009. Courtesy: Vistamare / Vistamarestudio. Ph: Roberto Sala

Partendo dalla propria pittura, fatta di linee e riquadri che simula i circuiti del computer della nuova società dell’informazione e della circolazione delle merci, interpreta in senso simulacrale anche i quadri fatti di “cornici” di Stella. Da una parte quindi i bordi evidenziati con il materiale granuloso e grezzo del Roll-A-Tex che incorniciano i (ri)quadri con superfici perfettamente lisce e riflettenti di Halley, dall’altra i quadri fatti di cornici (anche sagomate) che riprendono, secondo Halley, l’astrazione dell’informatica e dei numeri di Stella.

La cornice quindi come dispositivo che ha la funzione discorsiva del linguaggio direbbe Gottfried Bohem (La svolta iconica, Meltemi, 2009), che dialoga e mostra. Ritornando al sistema del quadro mi vengono in mente certe opere di cui Pierpaolo Campanini dipinge il bordo; ad esempio in Senza Titolo, 2016, Collezione Privata, il bordo (che presenta la rappresentazione) è dipinto con una scansione geometrica in bianco e nero afferendo allo stile astratto e minimalista, ma poi l’interno del quadro è dipinto usando un registro mimetico e iperrealista, sembra che l’artista così faccia quasi un viaggio a ritroso nella storia della pittura. Molto importanti sono i bordi in foglia d’oro delle opere di Ettore Spalletti, dove l’oro si trova spesso sui bordi dei suoi quadri-oggetto e anche – con una funzione di cerniera – lungo le colonne. Il bordo d’oro ha una serie infinita di risonanze con la storia della pittura e nello stesso tempo accelera ed esalta lo statuto luminoso, la materia pittorica in quanto luce impalpabile, delle opere di Spalletti.

Paolo Bufalini e Daniele Pulze, Grande Slime, 2017-2018, GAFF dabasso. Ph: Filippo Cecconi

A questo punto del discorso sulla cornice e i dispositivi del quadro siamo maturi per fare il salto, fare quello che dice Brian O’ Doherty in Inside the white cube, 1986: “se entrassimo dentro al dipinto dalla parte del retro vedremmo lo spazio e lo spettatore”. Cioè la cornice è un Giano bifronte, fa parte dello spazio reale e finzionale, è un intermediario, e noi possiamo venire chiamati in causa e partecipare alla scena. Se riprendiamo l’esempio di Untitled (Withdrawal of US troops from Afghanistan), 2013, di Luca Bertolo, la linea rossa data da una bomboletta spray è il gesto del manifestante, ma è anche il gesto dello spettatore che sta lì dietro al quadro, interfaccia tra il mondo reale e il mondo dell’arte. Se poi il dispositivo si amplia, il gesto dell’artista si produrrà sulle pareti del white cube, come succede nell’opera di Andrea Nacciarriti Natura Morta. Dim. variabile #0001 [a] (2015): l’artista ha gettato un barattolo di pittura rossa contro la parete intonsa della galleria, l’ha rabbiosamente sporcata. La pittura è uscita dai confini del quadro, l’intero mondo diventa il luogo della scena. La pittura si deposita negli spazi reali con gli schizzi maliziosi che crescono negli interstizi e fuori dai quadri di Giuliana Rosso oppure produce una pozzanghera verde, densa ed appiccicosa sul pavimento come in Grande Slime (2017/18) di Paolo Bufalini e Daniele Pulze a GAFF dabasso, Milano. Infine lo spettatore può condividere uno spazio poetico e fragile come nell’opera di Eva Marisaldi, Asia Lacis (2015). Asia, l’amica lettone di Walter Benjamin, nei suoi scritti ricorda le sfilate del teatro dei bambini della sua terra, durante le quali la gente buttava dalle finestre sassolini e lacerti di stoffa rossa. Sparsi nello spazio condiviso dallo spettatore, quegli scampoli di stoffa richiamano i petali dei fiori oppure svagate pennellate depositate sulla “superficie” del pavimento.