28.02.2021
Senza titolo (La Pittura 2)
Carmen Lorenzetti
M.James, Buildings, 2012, mixed media tecnica mista, cm.42,5x56 (ph.C.Favero 2006042002v2)

Nel 2020 è uscita per l’Einaudi un’antologia degli scritti di Georg Simmel (Stile moderno. Saggi di estetica sociale, curata da Barbara Carnevali e Andrea Pinotti). Ogni volta che si riprende in mano un filosofo, scrittore, teorico penso che non ci sia una pura casualità, ma un segno dei tempi, una necessità. Ora Simmel è un filosofo e sociologo influenzato da Kant, ma che ha calato nella vita, nel sistema sociale, nelle abitudini ed emozioni il sistema kantiano, creando un’estetica sociale, che pone al centro appunto la sensibilità con la quale in primis si mette in relazione con il mondo.

Famosi sono i suoi saggi sul denaro, l’uomo urbano e nel campo dell’estetica: l’opera d’arte, gli artisti le gallerie (già le gallerie) e gli oggetti materiali come il bei saggi L’ansa del vaso e La cornice. Per lui la cornice che deve essere di legno, fatta a mano e con due bordature e digradare verso l’interno, mai spiacevolmente verso l’esterno, non deve essere di stoffa e non deve essere fatta a macchina; in una parola deve preservare l’unità dell’opera, deve chiudere quell’individualità spirituale, l’opera insomma è considerata un’isola e la cornice quindi ha una funzione molto importante.

Il suo spirito di osservazione arriva a considerare le commessure angolari della cornice che hanno una funzione molto importante perché convogliano lo sguardo verso il centro del quadro. Riesce a fare osservazioni anche sull’incorniciatura della fotografia di paesaggio, che per la sua particolare natura di continuità verso l’esterno, non può avere la stessa funzione e deve avere un altro carattere. Per preservare questa unità inoltre i quadri piccoli hanno bisogno di un’ampia cornice.

M.James, House and Cloud, 2010, tecnica mista mixed media, cm.71x56 (ph.C.Favero 2006041803v2)

Mi vengono in mente certi quadri piccolissimi recenti di Albert Samson ad esempio, dei rettangolini che hanno una doppia valenza, si perdono nel muro da lontano e nel contempo attirano lo spettatore nel loro piccolo spazio colorato e non hanno cornice, ma risultano chiusi in se stessi.

l’impostazione di Simmel che mescola idealismo, osservazione dal vero e sensibilità è arricchita dal bel saggio di Jean-Claude Lebensztejn intitolato À partir du cadre (vignettes), 1987 (in Annexes – de l’oeuvre d’art, Editions La Part de l’Oeil, Bruxelles, 1999) che enuncia sin dall’inizio il doppio binario cui conduce la cornice analizzata nei secoli: quello centripeto Rinascimentale e Neoclassico, cui fanno da contraltare le configurazioni centrifughe del Barocco e del Romanticismo, legato all’idea del frammento, finchè nel XX secolo è passata ad essere dispositivo aperto oppure inesistente, basti pensare all’ultimo Mondrian. Per non parlare del Minimalismo che abolisce programmaticamente cornici e piedistalli e naturalmente al percorso dalla cornice allo spazio, dove l’opera del quadro viene “vomitata” fuori nella galleria secondo il percorso seguito dal fortunato saggio Inside the white cube di Brian O’ Doherty (The Lapis Press, Santa Monica, San Francisco, 1976, 1986).

La dialettica della cornice tuttavia dura tutt’oggi con rappresentanti dei due schieramenti. Da una parte stanno i rappresentanti della pittura come spazio autonomo, come isola, come mondo autosufficiente nell’equilibrio della sua composizione, “compostezza” la chiama il curatore Davide Ferri nell’intervista a Gullì (Pittura lingua viva in Artribune). Ritornano termini che erano stati superati soprattutto nell’interpretazione post-mediale. Oggi sembra ci sia un ritorno della specificità del mezzo, per questo è necessaria una rilettura di Greenberg. Ci sono autori che hanno giocato con il sistema della cornice nella sua evidenza e materialità, dispositivo storico del quadro, dal punto di vista degli “essenzialisti”.

Tra questi ricordo Luca Bertolo (1968) con il quadro Untitled (Withdrawal of US troops from Afghanistan), 2013 che è un grezzo trompe-l’oeil del retro di un quadro che con la scritta con il titolo e la traccia rossa data da una bomboletta spray diventa un quadro di storia (contemporanea) (cito dalla conferenza di Bertolo al DAMS di Bologna, 21 novembre 2020). L’immagine da una parte si inserisce nella tradizione del trompe-l’oeil (C.N. Gijsbrechts, Trompe-l’oeil de tableau retourné, v. 1670 in Lebensztejn cit.), dall’altra decostruisce il quadro nella sua materialità, l’”oggetto-quadro”. Altri due esempi sono dati da Merlin James (1960) esposti nella recente monografica alla galleria P420 (Bologna): House and clouds, 2010 e Buildings, 2012: in entrambi è evidenziata la cornice, che diventa la struttura importante dell’opera: in legno grezzo con filettatura bianca e nera la prima, la seconda con tre listelle di legno, entrambe convergenti verso il centro.

Nel primo, leggermente scostata dalla cornice, c’è in evidenza il telaio con inserti di legno evidenti ai bordi e ancora di più al centro dove formano una croce sagomata, sul telaio è stesa una retina trasparente sulla quale l’artista ha dipinto una casetta e una nuvola, ma il muro è evidente e il dipinto diventa più una specie di scarabattolo che contiene diversi piani di visione. Anche l’altro è stratificato: il telaio – scostato dalla cornice - poggia su due listelli di legno che collegano la cornice, sul telaio è tirata una veletta colore carne che lascia vedere il muro sottostante. La veletta è rafforzata ai bordi e così si creano degli scomparti verticali che creano l’idea dei “palazzi”. A sinistra la veletta ha alcune macchie, mentre a destra un’unica pennellata rosa sembra persa nella veletta. Anche nella prima opera ci sono delle zone di disturbo: vi sono buchi rotondi nella retina con bordi scuri che richiamano le bruciature di sigaretta, vi sono altri buchi tondi nel legno della croce.

Tutti questi elementi negano la bidimensionalità della pittura e introducono continuamente dei segnali di profondità, dando l’idea di essere davanti ad uno piccolo teatrino dove si svolge lo spettacolo della pittura. Gianni Politi (1986), ha fatto una serie composta tutta di listelli in legno, marmo colorato e bronzo che si incastrano e scivolano uno nell’altro, chiusi in una cornice irregolare, franante, insicura eppure chiusa e contenente tutte le pitture possibili, ma certo non minimaliste, non piatte, fatte invece di colori che evaporano come nei suoi quadri figurativi.

I titoli delle “cornici” sono delle storie As young as Pheba (Painter), Fondamentale, Forced fuck while my mum makes lasagna, La vita senza te (G), Merda tua, Perdere tutto sorridere sempre, tutti del 2016. Anche Daniele Milvio (1988) ha costruito delle cornici che racchiudono il dipinto che appare in un piano molto arretrato e quindi le cornici fatte di materiali diversi come legno, acrilico, gesso, garza, cera, acciaio e con titoli come Spendo tutto quello che conosco (2019) o Bel trilocale (2018) compongono come uno scarabattolo ben chiuso nel suo mondo.