Senza riparo. Riflessioni a partire dagli incendi nel Mediterraneo
Paolo Missiroli

15.08.2021

Gli incendi che hanno colpito il Paese negli ultimi giorni hanno suscitato molte reazioni. La maggior parte dei commentatori parla di "correre ai ripari", di agire per fermare il climate change. La gran parte della classe dirigente nazionale e globale si illude di vivere ancora negli anni '90, cioè in una fase in cui era possibile evitare il cambiamento climatico.

È in questa congiuntura che la categoria di Antropocene può dare il meglio di sé; il suo compito concettuale, si può dire, è proprio quello di rimuovere tale confusione e di illuminare di luce nuova la fase che attraversiamo oggi. Al di là di ogni ambiguità, infatti, dire che siamo nell'Antropocene significa necessariamente sostenere una nuova condizione globale socio-naturale. Chi è nell'Antropocene, per definizione, non può uscirne. Le epoche geologiche, infatti, si costituiscono per accumulazione, non sono eventi che si danno nel nulla, non vengono create da un giorno all'altro e allo stesso modo non se ne vanno come se ne va una tempesta.

L'Antropocene, cioè un'epoca geologico-climatica meno stabile dell'Olocene, in cui tutto il nostro suolo terrestre si mette continuamente in discussione, è qui per restare. Si può dire che, dal punto di vista del vivente umano, la Terra è l'Antropocene. Tale condizione infatti caratterizzerà il nostro pianeta per almeno alcune migliaia di anni. Certo, è stato l'uomo occidentale a far scattare i meccanismi che ci hanno portato nell'Antropocene. Ma essi gli sono sfuggiti; egli non li voleva, per lui la natura era una mera esternalità inerte. Essa invece, essendo attiva, è ormai fuori dal suo controllo.

Non vi è, per noi, alcuno scarto tra la Terra e l'Antropocene: chi sostiene la necessità di uscire dall'Antropocene, o parla per metafore o non sa cosa dice.

Si rivela così il portato fondamentale dell'idea per cui siamo ormai entrati in un'epoca irreversibile. Esso consiste infatti nell'evidenziare la nostra fondamentale passività nei confronti della Terra. Le sue reazioni all'inquinamento sono per noi assolutamente insondabili e imprevedibili, nella loro interezza.

La scienza del Sistema Terra mostra ormai da decenni come l'insieme dei meccanismi di feedback negativo è troppo complesso, troppo profondo, troppo grande per essere previsto nel suo insieme. La Terra ci sfugge, perché è il nostro suolo e non un oggetto nelle nostre mani. In altre parole, è troppo tardi per correre ai ripari dalla sua furia. Che la Terra come sistema, con il calore degli ultimi giorni, con il virus degli ultimi due anni, reagisca alla nostra illusione di poterle dare una direzione, non è che al contempo la prova dell'esistenza di qualcosa come un'eco-logia e della necessità della nostra presa di coscienza di essa.

Solo chi avesse una ben strana idea di attività e di libertà potrebbe dedurre da tutto ciò che il nostro compito politico e teorico consista nell'accettazione dello stato di cose presente. In effetti, non vi è attività reale senza il riconoscimento di una passività più fondamentale. Se vi è infatti qualcosa che la questione ecologica dovrebbe insegnare alle forze politiche rivoluzionarie è quanto è necessario risignificare il concetto stesso di rivoluzione.

Rivoluzionare il reale non significa più, oggi, ricostruire tutto quello che si dà, prosciugare il lago d'Aral e elettrificare il globo. Significa, piuttosto, costruire una forma sociale all'altezza dell'Antropocene: se presupposto di questa è il superamento del modo capitalistico di produzione, dentro al quale non può darsi per definizione accettazione di un'esteriorità autonoma, tale forma sociale non è semplicemente l'esito della collettivizzazione dei mezzi di produzione. Essa è anche istituzione di reti sociali in grado di vivere in un mondo cambiato, che non ci è più aperto come quello dell'Olocene, ma che sempre più si sottrae alla nostra azione e che sempre più manifesta il suo essere un non-oggetto.

Si tratta di abitare questa nuova condizione post-prometeica; si tratta di sapere che la Terra non cesserà più di incendiarsi, di sciogliere i ghiacciai. Come, secondo Marx, il processo storico colpisce prima o poi sulla testa dei borghesi indipendentemente dal loro affannarsi per rallentarlo, così noi non possiamo, non potremo, non ci sarà mai possibile sottrarci interamente ai colpi del sistema Terra. Non vi è riparo; siamo ormai nella luce di un sole che non è più qui per illuminarci la via verso un futuro di progresso, ma per darci fuoco. Solo comprendere questa nuova condizione può dare luogo ad un nuovo processo istituente, autenticamente ecologico. Hic Rhodus, hic salta!