Sapere come cultura. Sull’etnografia storica di Michel Foucault
Stefano Berni

09.07.2021

Nell’intero arco del pensiero filosofico di Foucault mi ha sempre colpito la sua convincente analisi delle relazioni tra sapere e potere. Infatti, l’idea di potere appare in una veste assai originale e pertinente se la colleghiamo con l’altra faccia di quella stessa relazione sociale che è il sapere. Il potere per Foucault presenta caratteristiche non individuabili tradizionalmente con l’idea di potere classica intesa come Autorità, sovranità, Stato, Istituzione. Anzi, il potere si spiega solo a partire proprio da questo binomio inscindibile che forma col sapere. Il potere è qualcosa di diverso rispetto a come era connotato dalla tradizione: è un sapere-potere.

Cos’è dunque questo mostro concettuale che coglie e mette insieme sia il sapere sia il potere? Pouvoir, come nell’italiano, è un verbo difettivo, servile, di derivazione latina, che accompagna altri verbi indicanti azioni. Poter mangiare, poter guardare, potere comandare. Esprime la funzione di capacità di agire, ma anche di possibilità. Già per sua natura è ambiguo, perché nel potere vi è insieme una capacità innata, presente, ma anche una scelta futura. Chi può, è anche colui che è signore di sé stesso, e dunque può comandare e agire sugli altri. Non a caso sostantivi come potenza o possibilità provengono dal verbo potere. Se questo verbo lo colleghiamo al verbo sapere, le cose si complicano ulteriormente. 

Sapere è un altro verbo difettivo che accompagna un’azione appresa, un’azione che riusciamo a compiere dopo esercizi ripetuti e assimilati. Saper mangiare, sapere guardare, saper comandare, saper guidare. Il sapere è tutto ciò che apprendiamo, è l’intero processo di formazione culturale di un individuo all’interno di una determinata società, è il sapere fare, il sapere agire. Il sapere accompagna il potere nella sua funzione di addestramento, che il soggetto deve possedere e apprendere per vivere in una data società.

Per potere, occorre avere a disposizione il sapere. Il detto di Bacone che il sapere è potere enuncia tutta la tradizione occidentale moderna basata sul know how. Ovviamente nella proposizione baconiana vale anche l’inverso: il potere è sapere.

Il sapere deriva da sapo, sapore, che rimanda ad un’azione sensitiva come gustare, annusare, apprendere attraverso i sensi, in modo operativo e pratico. Da questo punto di vista il sapere racchiude le conoscenze apprese dal soggetto nella sua crescita esperienziale e esistenziale. Però il verbo conoscere, diversamente dal verbo sapere, implica una forma di sapere teorico non facilmente spendibile da un punto di vista pratico. La sua etimologia rimanda ad un apprendimento intellettivo, teorico. Il sapere invece accompagna qualcosa di più profondo che investe appunto un saper fare.

Intanto, proprio perché indica un’azione, è seguito sempre dal verbo. Infatti si può dire: io so mangiare, so vestirmi, so cucinare, ma non posso dire so la cucina. So cucinare significa che io sono capace, ho imparato a preparare i cibi, le pietanze; poi posso dire che conosco vari tipi di cibo; ne apprezzo i colori, i sapori, conosco i nomi delle varie cucine. Ho studiato libri per le ricette, pertanto li conosco; ma se voglio cucinare, cioè preparare il cibo in cucina per arrostirlo, riscaldarlo, servirlo, allora qui si entra nel campo dell’azione. Siamo nella pragmatica, nell’azione fisica, corporea e psicosociale che si impara apprendendo entro una determinata cultura.

Dunque il sapere di cui parla Foucault va distinto dal concetto di conoscenza (knowledge). Per questo motivo distingue correttamente sapere da conoscenza. Tuttavia per sapere lui intende soprattutto quelle forme di agire che si ritrovano in ambito sociale ma si coagulano intorno ad un discorso definito da un sistema rigoroso e logico, come quelle discipline che si sono formate per costituirsi attorno a determinate pratiche anziché altre. Il sapere non è solo una pratica di vita derivata storicamente da abitudini sociali, tradizioni politiche, giuridiche e che Foucault rintraccia in numerosi ambiti come le scienze umane, la politica, il diritto, la medicina ecc., ma sono modi di pensare e di agire, paradigmi, che però coinvolgono, dirigono, assoggettano, omologano, normalizzano l’intera popolazione.

In una intervista a Duccio Trombadori, Foucault riconosceva che: “quando impiego la parola sapere lo faccio per distinguerla dal termine conoscenza. Sapere è il processo attraverso cui il soggetto si trova ad essere modificato da ciò che conosce, o piuttosto nel lavoro che esso compie per conoscere. È ciò che consente di modificare il soggetto e di costruire l’oggetto. Conoscenza è invece il processo che consente la moltiplicazione degli oggetti conoscibili, di svilupparne l’intelligibilità, di comprenderne la razionalità, mantenendo sempre fisso il soggetto che indaga”. Il sapere modifica costantemente il soggetto, lo trasforma, lo cambia storicamente. Esso “riguarda il modo in cui nelle società occidentali gli uomini hanno compiuto esperienze…costituendo al tempo stesso sé stessi come soggetti”.

Ora, se guardiamo alla definizione di cultura data dagli antropologi a partire da quella classica di Tylor, ci rendiamo conto che il sapere di una determinata società non è altro che la sua cultura. Scrive l’antropologo inglese: “La cultura, o civiltà, intesa nel suo ampio senso etnografico, è quell’insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società”. Per cultura intendiamo proprio l’insieme di pratiche di comportamento di un determinato popolo.

Tuttavia il sapere per Foucault riveste una determinata disciplina che intorno ad un oggetto, ad un’idea ha costruito un insieme di pratiche sociali guidate appunto da una precisa concezione culturale. Per questo motivo ogni sapere implica anche una forma di potere, perché agendo si pone un determinato modo di pensare che direziona il comportamento umano: il sapere non può implicare che una forma di potere.

La novità di Foucault risiede proprio nel fatto che ogni sapere si accompagna ad un’azione che influenza l’agire degli altri, e dunque, l’accezione neutrale di cultura, di una disciplina come l’antropologia, che si presenta come scienza oggettiva, si decostruisce a favore di una concezione immanente e politica, per certi versi strumentale e critica, che risiede nel concetto di potere. Nel momento in cui agisce il sapere diventa potere. Il sapere non può essere ridotto solo ad una disciplina scientifica: “Il sapere – dice Deleuze nel suo corso su Foucault ‒ non coincide con la scienza, che è solo un tipo di sapere. Per Foucault il sapere è fondamentalmente una pratica”.

Pensare il sapere-potere come una forma culturale, ci permette di riconoscere in Foucault una forte sensibilità di antropologo del nostro tempo. Lui osserva con un certo distacco la realtà che lo circonda, tuttavia di questa realtà ne è coinvolto, appartiene lui stesso alla società che va a studiare. È dunque un antropologo del mondo moderno: non studia i fenomeni culturali appartenenti ad altri popoli ma applica il suo metodo archeologico e genealogico alla società in cui vive e a sé stesso.

Non è interessato però, come lo è invece la fenomenologia, al vissuto o alle esperienze personali ma è attratto dalla “combinazione di visibile ed enunciabile che è il sapere”. “Non c’è niente al di sotto del sapere. Tutto è sapere”. Con questo concetto si intendono delle pratiche che si sono formate e sedimentate storicamente attraverso l’abitudine, l’inquadramento, il controllo, l’obbedienza, l’addestramento, l’addomesticamento, l’apprendimento reciproco e si sono impadronite del corpo degli uomini. Il sapere si in-corpora.

Le pratiche esigono tecniche, competenze, formule, enunciati che convincano. Le parole si fanno carne. Entrano nei corpi e li mobilitano, gli danno vita. Il parlare permette alle parole di collimare con le azioni e penetrare nei recessi più segreti e inconfessabili. Da sempre dunque il sapere-potere è bio-potere, potere sulla e nella vita. Il potere senza il sapere non sarebbe capace di organizzare, produrre, controllare la vita.

Ma se sono queste le griglie di intelligibilità che ci permettono di studiare l’attuale società, si capisce che l’idea di istituzione, in particolare quella di Stato, vacilla: essa diventa una delle tante sovrastrutture di un potere molto più diffuso e capillare che può certamente agglomerarsi intorno ad un manipolo di uomini ma che in realtà vive la sua esistenza al di fuori dello Stato stesso.

Certo, i saperi intesi come discipline si sviluppano solo a partire dalla modernità nel momento in cui lo Stato avrà bisogno di controllare la popolazione. Allora nascono certi tipi di sapere scientifici come il sapere psichiatrico, il sapere economico, il sapere giudiziario, il sapere storico che hanno la funzione di dirigere gli uomini e di organizzare le categorie fondamentali di ogni società: il tempo e lo spazio.