Raniero Panzieri. Nota sul libro di Marco Cerotto
Andrea Di Gesu

30.04.2021

Lo studio di Marco Cerotto Raniero Panzieri e i “Quaderni rossi”. Alle origini del neomarxismo italiano arricchisce la serie di recenti pubblicazioni che testimoniano di un rinnovato interesse per la figura del fondatore dei Quaderni Rossi, tra le quali sarà sufficiente menzionare le antologie di scritti panzieriani comparse recentemente in Italia (per Ombrecorte, a cura di Andrea Cengia) e in Francia (per Eterotopia France, a cura di Ubaldo Fadini).

Il testo è diviso in tre parti: viene proposta dapprima una dettagliata biografia politico-intellettuale di Panzieri, per poi passare ad una disamina del dibattito marxista del secondo dopoguerra italiano prima della fondazione di Quaderni Rossi e, infine, ad una ricostruzione delle elaborazioni teorico-politiche sviluppate da quest’ultima rivista, nonché dei dissidi interni che ne determineranno la chiusura e che porteranno alla nascita di Classe Operaia. Il lavoro di Cerotto ha il merito indubbio di fornire una presentazione del pensiero di Panzieri che riesce a coniugare con efficacia l’attenzione filologica per lo sviluppo dell’itinerario concettuale di quest’ultimo alla ricostruzione storica della sua militanza politica e degli avvenimenti che la contrassegnarono: un doppio registro che, riportando le idee alla concretezza dei dibattiti e delle congiunture storiche da cui scaturirono, rende più immediato coglierne le possibilità di attualizzazione nella nostra contemporaneità politica e filosofica.

Queste ultime, pur se mai esplicitate, sembrano riassumersi secondo Cerotto in una certa lettura della singolarità della prospettiva panzieriana all’interno della storia teorica e politica del marxismo italiano: non soltanto rispetto alla soffocante alternativa tra la deriva socialdemocratica del PSI degli anni Sessanta e l’ortodossia del PCI togliattiano-gramsciano, che sta all’origine della nascita dei Quaderni Rossi e del laboratorio da cui poi scaturì la tradizione operaista come esigenza di un suo superamento nei termini di un’alternativa di sinistra allo stalinismo; ma, soprattutto, rispetto al vibrante dibattito all’interno della galassia operaista in via di formazione. A tal proposito, Cerotto mostra infatti la tendenza a leggere la frattura tra Panzieri e Tronti lungo quelle che possiamo definire, pur nella loro inestricabilità, come due linee di faglia distinte: l’una di ordine teorico, l’altra di natura politica.

Per ciò che riguarda il primo aspetto, egli interpreta la separazione tra i due autori nei termini di un’opposizione tra una concezione del marxismo, quella panzieriana, che vedeva in esso un’analisi scientifica rigorosa delle strutture sociali, economiche e politiche del capitalismo, e una prospettiva, quella trontiana, ancora dipendente, «implicitamente o meno» (p. 131), da una prospettiva terzinternazionalista e espressione di una visione ancora determinista e storicistica dello sviluppo capitalistico.

Da un punto di vista politico, invece, Panzieri costituirebbe, rispetto alla prospettiva «comunista» (p. 134) del partito della classe operaia di Tronti e dei trontiani, un’alternativa «socialista di sinistra» (ibid.) in grado di stemperarne il dogmatismo per lavorare al contrario sulla prospettiva di un’avanguardia interna nei luoghi della produzione, da sviluppare attraverso un’analisi finalmente scientifica dei cambiamenti in atto al loro interno, in grado di «esaspera[re] lo scontro politico» e «portarlo ad un livello superiore» (p. 137).

Se Cerotto non nasconde, naturalmente, il fatto che tale avanguardia dovesse, per Panzieri, rimanere interna alle organizzazioni storiche del movimento operaio, egli sottolinea tuttavia a più riprese l’influenza esercitata sulla riflessione panzieriana dalla tradizione consiliarista «così come si era manifestat[a] nella costruzione dei soviet, dei consigli e degli arbeiträte spartachisti» (p. 10). L’impressione è che egli consideri dunque la specificità, e dunque l’attualità, di Panzieri da un lato – quello teorico – nei suoi fondamentali contributi all’idea di un marxismo come sociologia rigorosamente scientifica, in grado di «comprendere i processi dialettici che modellano continuamente una determinata fase storica» (p. 136) senza teorizzare alcuna evoluzione deterministica della società capitalista: una prospettiva ancora presente, a suo dire, nella rivoluzione copernicana effettuata da Tronti attraverso la “scoperta” della classe operaia come vero motore dello sviluppo storico del capitale; dall’altro – quello politico – nel rifiuto di un certo dogmatismo a favore di organizzazioni plastiche, in grado di legare in un circolo virtuoso inchiesta scientifica concreta, intervento politico diretto sui luoghi della produzione e rapporto con le organizzazioni politiche.

Si tratta, a parere di chi scrive, di una posizione che appare viziata da una ricostruzione parziale della figura di Tronti e da una semplificazione eccessiva sia della questione teorica del determinismo insito nella prospettiva operaista inaugurata da quest’ultimo – un dibattito dalla storia lunga e complessa e che appare ingeneroso ridurre addirittura ad una forma di terzinternazionalismo – sia per ciò che concerne il bilancio sulle esperienze politiche che da essa scaturirono. E, tuttavia, essa mostra la possibilità di indirizzare il dibattito sull’eredità teorica e politica di Panzieri verso direzioni di estremo interesse.

Ci limitiamo, in questa sede, a proporre un esempio, quello della questione ecologica, seguendo i vettori di attualizzazione dell'opera di Panzieri che Cerotto tende a evidenziare nel suo lavoro e applicandoli, in particolare, alla lettura che quest’ultimo propone del saggio panzieriano sull’uso capitalistico delle macchine. Cerotto ne propone infatti un’interpretazione che, sottolineando il carattere antideterministico e sociologico della prospettiva di Panzieri, esalta, in esso, il carattere anti-storicista della denuncia panzieriana della tecnologizzazione del processo produttivo, evidenziandovi la presenza di una visione neutra e disincantata sulla tecnica che può ancor oggi costituire un utile strumento di critica teorica da una prospettiva ecologico-politica contro alcune tendenze accelerazioniste dell’attuale dibattito teorico; d’altro canto, la tensione politica radicale che l’accompagna e che Cerotto mette bene in luce può costituire, anch’essa, un contributo importante nella ricerca di prospettive ecologico-politiche all’altezza della nostra congiuntura storica.

Si tratta, naturalmente, di un esempio appena abbozzato, che il lavoro di Cerotto, pur se non esente dagli aspetti problematici che abbiamo messo in luce, ha tuttavia il merito di suggerire: riuscendo così nell’intento, senz’altro apprezzabile, di coniugare riscoperta storico-filosofica e attualizzazione teorico-politica di uno dei più importanti esponenti del marxismo eretico italiano.