Per un amor mundi ecologico
Marco Papetti

16.04.2022

È sotto gli occhi di tutti, in questi primi mesi del 2022, la battuta d’arresto che la lotta alla crisi ambientale ha subito a causa della guerra, riemersa tragicamente nel Vecchio Continente con la sua barbarie e la sua malsana fascinazione, con la minaccia, sempre viva dopo il secondo conflitto mondiale, della distruzione totale. In questo quadro, la questione dei rifornimenti di gas, il dibattito sul ritorno al nucleare e alle centrali a carbone, lo sforzo economico degli stati europei per il riarmo sembrano avvisaglie di una dilazione a tempo imprecisato del compimento dei progetti per un cambiamento concreto in direzione di una prassi eco-sostenibile e testimoniano della loro precarietà, subordinati come sono, nell’ottica delle grandi potenze, dal raggiungimento di una certa stabilità del quadro geopolitico e da una parziale pacificazione degli interessi economici e strategici ad esso legati.

Oltre a queste difficoltà pratiche contingenti, la questione ecologica, si sa, presenta anche problemi di tipo teorico, su cui la filosofia è chiamata a meditare. Tra di essi, vi è quello della non facile definizione del diverso atteggiamento da mantenere rispetto al mondo nell’ambito di una prassi ecologica alternativa a quella attuale. Se, infatti, gli inviti al rispetto, spesso fondati sul richiamo alla bellezza del mondo naturale, risultano insufficienti perché troppo vaghi, inadatta si dimostra anche la categoria di ‘cura’, che non mette in discussione la centralità dell’umano né riflette con adeguata radicalità sull’inerenza dell’uomo a una natura che spesso gli rivela un lato residuale, non assimilabile alla sua prospettiva.

Di fronte a queste aporie, verrebbe da chiedersi, perché non ricorrere, allora, al concetto di amore, per pensare un amore ecologico per il mondo, un amor mundi ecologico? Quest’ultima espressione (amor mundi), come è noto, è usata da Hannah Arendt per descrivere un atteggiamento nei confronti del mondo che concepisce quest’ultimo come patria dell’uomo, da amare e abitare assieme agli altri (cfr. L. Boella, Hannah Arendt. Amor Mundi, in AA. VV., Agostino nella filosofia del Novecento. Vol. I: esistenza e libertà, Città Nuova, Roma 2000): una prospettiva non dissimile da quella propria del pensiero ecologico, il quale amplia l’idea di coabitazione anche alle altre specie viventi e, allo stesso tempo, indica nella materialità concreta e biologica della natura vivente un limite per l’attività umana.

È questo l’aspetto residuale della natura di cui, si è detto, la categoria di cura non tiene abbastanza conto, perché troppo sbilanciata dal lato dell’uomo e della sua prassi. Quel che sta dall’altro lato – la natura, il mondo – appare in essa come l’oggetto docile di un’attenzione che, da prometeica che era, diviene protettiva; ciò che le sfugge è la consistenza del mondo naturale, il suo essere Altro non riducibile interamente all’umano.

Invece, il concetto di amore si presta maggiormente a definire un rapporto ecologica col mondo, proprio per il suo carattere relazionale: purché, però, di esso si proponga una concezione in cui non il possesso dell’altro e la sua riduzione a sé, ma l’incontro con l’alterità e l’esperienza della differenza emergano come suoi aspetti peculiari, se non essenziali.

Tale definizione può essere trovata in alcune pagine del corso di Merleau-Ponty al Collège de France sull’istituzione e la passività (M. Merleau-Ponty, L’institution, la passivité. Notes de cours au Collège de France 1954-1955, Belin, Parigi 2015). Qui l’autore della Fenomenologia della percezione argomenta, attraverso il richiamo all’opera di Proust, che, sebbene l’esperienza amorosa possa apparire illusoria e frustrante per la sua incapacità di realizzare quella fusione con l’essere amato che inizialmente promette, da ciò non si deve dedurre che l’amore sia impossibile. In verità, esso possiede una «via negativa» (Id., Linguaggio, storia, natura, a cura di M. Carbone, Bompiani, Milano 1995, p. 56), una maniera di manifestarsi già nell’assenza e nella distanza: non solo perché la persona amata è già presente, come mancanza, nella delusione e nel desiderio inappagato, ma anche perché non è confermando in toto le attese dell’amante che l’amore si compie, bensì presentando di più di quanto questi potesse immaginare, facendo percepire, nei gesti e nelle parole dell’altro, qualcosa che sorpassa l’orizzonte personale del soggetto, pur non essendo estraneo al suo desiderio.

Solo finché si aspira ad un amore come pieno possesso e riduzione dell’altro a sé la sua realizzazione appare inattuabile, conducendo l’innamorato a perdersi in ossessioni e fantasie senza uscita. Quando invece si comprende, scrive Merleau-Ponty, che l’amore può esistere come «réalité négative», come «présence de l’autre» che appare laddove c’è «absence de soi» (Id., L’institution, la passivité, cit., p. 98), allora il giudizio su di esso muta, e così il rapporto con l’altro.

Si tratta, in sostanza, di una concezione dell’esperienza amorosa che considera l’impossibilità dell’unione completa con l’amato non un difetto, ma l’unico modo in cui l’amore può compiersi e l’altro venire colto concretamente, con tutto il mondo personale che gli è proprio, come «un être d’où nous sommes exclus» (Ibid.), ma dalla cui vita ci lasciamo animare e arricchire (Ivi, p. 53).

In ciò sembrano trasparire anche le premesse per una diversa concezione dell’immaginario in cui quest’ultimo è inteso non come luogo d’origine di rappresentazioni soggettive illusorie, ma come domanda di senso che procede dal reale, in cui alla fine il soggetto trova, proveniente dagli altri, più senso di quanto ne potesse originare da sé, un risultato differente ma non senza rapporto con il suo mondo (Ivi, p. 101).

Traslando questa riflessione dal sentimento individuale all’amor mundi, l’amore personale che non coglie l’altro se non come individuo da possedere, e perciò fallisce, può essere paragonato all’atteggiamento che considera il mondo come l’oggetto di un’attività di dominio e sfruttamento, ed è motivato da una progettualità unilaterale, corrispondente all’immaginario dell’amore impossibile.

Un amor mundi ecologico, invece, non plasma il mondo secondo progetti ideali e astratti, ma gli rivolge un’attenzione consapevole dell’alterità che in esso si incontra e che è insieme limite all’agire e ricchezza per l’esperienza, come nell’amore, in cui il soggetto vive, più profondamente che in qualsiasi altro sentimento, l’incontro con quell’«au-delà de soi», quella differenza che, se accettata, lo conduce ad incontrare concretamente l’altro, al di là di ogni «faux désir de possession» (Ivi, p. 98).