11.01.2021
Pandemia e società
Vittorio Boarini
Per tentare alcune riflessioni sullo stato di cose presente si deve necessariamente, a mio avviso, prendere in considerazione gli elementi tendenzialmente innovativi introdotti dalla pandemia, un evento che, anche a considerarlo naturale, ha implicazioni sociali, economiche e politiche evidenti. Intanto, credo, possiamo essere d’accordo che in ultima istanza il covid è dovuto al neoliberismo, ultima e finale figura del sistema capitalistico, un sistema che pone al primo posto il profitto e in nome del quale non esita a distruggere il pianeta. Ebbene, di fronte alla catastrofe, è affiorata la consapevolezza che la salute di tutti, cioè la vita, vale a dire la Natura che comprende anche la natura umana, viene prima dell’economia. La clausura (termine preferibile a lockdown) è appunto scegliere LA VITA CONTRO LA MORTE, per dirlo con Norman Brown, il riconoscimento che senza vita non può esistere nessuna economia, anzi, nessuna società. Una rivincita dell’economia politica, che è la scienza riguardante le regole del vivere in società con un rapporto sostenibile uomo-natura (eco e nomos, regole della casa comune) contro la politica economica finora universalmente accettata, che è, appunto, quella del profitto.
Questo barlume di consapevolezza però stenta ad acquisire un maggior peso e a imporsi perché le resistenze del capitalismo sono enormi, ma dovremmo tentare di inserirci in questo spiraglio, cercare di allargarlo e farlo divenire coscienza comune. La natura ha mandato un segnale forte, forse ultimativo, il quale suona così: o si abbandona lo scempio del pianeta in nome del profitto o l’umanità si estingue. Il problema che ora si pone è il seguente: il capitalismo può sopravvivere senza lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo con relativa dilapidazione dei beni comuni naturali e l’aggravarsi del riscaldamento terrestre nonché dell’inquinamento generalizzato? Se, come io penso, la risposta è no, allora il ritorno alla natura, cioè la salvezza dell’umanità, comporta il superamento della logica capitalista, l’arresto della barbarie (ricordo il “socialismo o barbarie” di luxenburghiana memoria), l’uscita dalla preistoria per entrare in una nuova epoca. Possiamo anche non chiamarla socialismo, visto che quello “reale” mette ancora giustamente paura, ma è comunque il post capitalismo, non inteso nel senso di capitalismo socializzato come esso stesso si è presentato dopo la rivolta del sessantotto, ma come modello sociale radicalmente nuovo.
Bisogna essere consapevoli che l’opposizione delle forze dominanti sarà feroce e ne abbiamo già avuto sentore allo scoppio della pandemia che ha fatto emergere, assieme alla reazione in difesa della vita, la “naturale” necrofilia del sistema, quella che già era uscita allo scoperto con il nazifascismo messo in campo dalla borghesia europea per difendersi dal comunismo negli anni venti e trenta. Difronte al covid è venuta alla luce, in modo conclamato con Trump e Johnson (prima di ammalarsi), la tentazione dell’establishment di approfittare della pandemia per attuare un’ igiene sociale con l’immunità di gregge, che liberasse la società dagli improduttivi e costosi anziani e malati, lasciandoli morire. Si sarebbe così risparmiato il costo delle pensioni e della sanità, stimato maggiore del consumismo di anziani e malati, condannando a morte un’ampia fascia sociale che, anche secondo un nostro “governatore”, non poteva contribuire allo sforzo produttivo ora più che mai necessario.
Teniamo conto che già da tempo si ventilavano soluzioni, apparentemente meno necrofile, ma altrettanto radicali, per risolvere le contraddizioni sociali, senza timore di ricorrere alla fantascienza. Si pensi al progetto, il cui primo tentativo di realizzazione è finito in un disastro, di privatizzare il cosmo colonizzando i pianeti per confinarvi i poveri, i disoccupati e i reietti prodotti dal nostro sistema sociale.
Tenendo conto di tutto ciò, dobbiamo considerare che dal punto di vista teorico il radicalmente nuovo, che praticamente, lo ricordo, è un mondo non dominato dal profitto ma dalla solidarietà, significa la fine del heideggeriano PENSIERO DELLA FINE. Tale pensiero, infatti, domina il mondo da quando siamo usciti dall’incubo del nazifascismo e siamo entrati in quello della distruzione atomica. Da quando gli uomini hanno ricevuto da un Prometeo nucleare la capacità tecnica di distruggere il mondo, avvenimento unico nella storia dell’umanità che ha segnato una copure nella nostra civiltà, il pensiero della fine è divenuto centrale, appena lenito dai vari e precari accordi di non-proliferazione ed analoghi tamponamenti diplomatici, ma sempre basati sugli attuali rapporti di forza, definiti a suo tempo equilibrio del terrore. Tale equilibrio si è rivelato funzionale allo sviluppo delle forze produttive capitalistiche, che hanno continuato a progredire, soprattutto sul versante della tecnica, ma alla condizione di privilegiare il capitale finanziario su quello industriale allargando in maniera inusitata l’abisso fra povertà e ricchezza.
Ora però il pensiero della fine, visto che l’equilibrio del terrore non ha arrestato la folle corsa autodistruttiva del neoliberismo, è ritornato sotto la forma del covid 19. La distruzione del mondo ora minaccia di avvenire per vie “naturali”, a causa di un virus prodotto “naturalmente”, una guerra batteriologica promossa dalla natura come reazione agli attacchi predatori del meccanismo economico capitalistico. Mentre accordi diplomatici fra paesi possono tenere in stand bay il pericolo nucleare, con la natura non c’è diplomazia che tenga e, quindi, non vi è altra soluzione che far compiere alla nostra civiltà un salto qualitativo trovando un rapporto sostenibile tra l’uomo e la natura. Tertium non datur se non la fine della specie.