Introduzione
1. Nel loro Il nuovo spirito del capitalismo Boltanski e Chiappello (2014) hanno mostrato, portando su di un piano maggiormente analitico una preziosa intuizione operaista, come il capitalismo funzioni rendendo inoffensive e metabolizzando al suo interno le critiche che ad esso vengono continuamente rivolte. Tale analisi disegna un profilo del rapporto sociale capitalistico dinamico e duttile ma al contempo mai saturo e, in quanto tale, incapace (pena la sua estinzione) di determinare la configurazione di un potere totalizzante. Il capitalismo contemporaneo sembra, però, sempre di più, attraversato da contraddizioni così grandi da mettere in discussione l’efficienza stessa di tale dinamica riproduttiva. D’altra parte, se osserviamo il sistema sulla scena globale appare evidente come quest’ultimo si organizzi a partire da una crescente varietà e difformità, dei suoi modelli di accumulazione e regolazione, ma anche da logiche di sfruttamento (Chicchi, Leonardi, Lucarelli 2016) che, almeno a prima vista, sembrano divenire addirittura incompatibili tra loro. Queste assumono, infatti, la caratteristica di funzionare al contempo dentro e fuori gli spazi “tradizionali” di appropriazione del plusvalore a seconda delle congiunture e dei territori in cui vengono a essere applicate. A tale evidente plasticità del modello capitalistico neoliberale è, inoltre, necessario aggiungere che oggi lo stesso modello di capitalismo è attraversato da una inedita e profonda crisi di legittimazione delle sue pratiche di sviluppo predatorie. Dentro questo tempo avviene, così, che nulla appare più stabile, se non la drammatica sperequazione delle ricchezze e l’incessante saccheggio del pianeta.
Uno dei campi in cui questa convulsione paradossale del presente appare maggiormente evidente è lo spazio in cui i corpi e le pratiche di riproduzione sociale, che necessariamente li accompagnano, sono coinvolti. I corpi sociali (e in maniera omologa anche quelli individuali) a causa di questo andamento sincopato e ventricolare – al contempo di presa disciplinare e rilascio schizofrenico – del funzionamento capitalistico si frammentano e si scompongono perdendo quote di presenza sociale e generando inedite e impreviste porosità tra gruppi, sessi, generi e ruoli sociali.
Le forme del conflitto in questo contesto disorganizzato vengono per certi versi favorite ma al contempo si aprono (e chiudono) dentro prospettive politiche che faticano a trovare un nuovo e fruttifero terreno comune di convergenza. Il risultato è uno spazio sociale paradossalmente anestetizzato (anche a causa della diffusione pervasiva delle nuove forme di controllo digitale dei comportamenti e delle attitudini) e al contempo attraversato da un continuo florilegio di pratiche, animate da una estroversa, potente e radicale immaginazione di liberazione. Si inaugura così nel nostro presente un variegato campo di ibridazioni e assemblaggi che se, da un lato non sono sufficientemente forti per scardinare le sempre più differenziate logiche dello sfruttamento, dall’altra innestano nel sociale inedite pratiche di resistenza rivolte alla ridefinizione del legame sociale sotto nuove spoglie. Il neoliberalismo è così preso da un movimento di doppio legame, convulsivo e al contempo di continuo rilancio del suo funzionamento che può inaugurare le porte a una crisi non trattabile nel cuore stesso del capitalismo. Si tratta, allora, di sviluppare un ragionamento che sia capace di cogliere con coraggio l’altezza di questa dinamica complessiva, e di spingere la crisi attuale verso destini che altrimenti potrebbero in breve termine farsi drammatici.
Questo libro cerca di fare sua questa urgenza e intende posizionarsi, in modo non solo sottrattivo, proprio al centro di tale ambivalente e inedita intensità soggettiva e sociale. Inoltre, per farlo assume lo spazio della riproduzione sociale e della cura (del corpo e del territorio e più in generale della vita) come un punto inaggirabile di osservazione e interrogazione del presente. Ad essere in crisi è prima di tutto e in tal senso, la forma binaria che organizzava, distinguendole in un rapporto di stretta interdipendenza funzionale (e di subordinazione della seconda alla prima), la sfera della produzione e la sfera della riproduzione sociale. Al fine di posizionarci in modo utile in seno a questa confusione, allora, non potevamo che decidere di situare il nostro sguardo nel cuore stesso della proposta teorico-pratica dei femminismi. Convintx che solo da quella straordinaria esperienza di riflessione, ancora oggi in continua trasformazione, sia possibile estrarre degli strumenti concettuali utili per orientarci politicamente nel guado del presente. Anche il femminismo, come ogni altra pratica, è ovviamente investito dai continui processi di scomposizione di marca neoliberale e sconta, al suo interno, divisioni e differenze che nel testo sono tenuti ben presenti. Questo volume prova così ad attraversare, a partire dalle variegate proposte del pensiero femminista il tema dell’estrazione del valore e della centralità dello sfruttamento dei corpi nel capitalismo neoliberale. L’idea di fondo è quella di individuare, a partire dall’elogio della loro marginalità (intesa, in primo luogo, come capacità di segnare i confini delle nuove gerarchizzazioni sociali che altrimenti si produrrebbero senza poter essere conosciute) quelle pratiche etiche e politiche emergenti che desiderano un farsi del comune e che possono seguendo tale prospettiva divenire così dei punti di riferimento per il rilancio di inedite e radicali pratiche istituenti.
2. Nell’attuale e sempre più aspra crisi dei modelli di stampo neoliberale si produce così un’intensa ristrutturazione dei confini del capitalismo. Il dentro e il fuori del capitale, la geografia degli spazi di valorizzazione così come li avevamo conosciuti saltano per aria. In tale contesto occorre, allora, prima di tutto, riconoscere che i rapporti tra la sfera della produzione e la sfera della riproduzione sociale sono profondamente mutati. Ci riferiamo qui, anche, alla crisi degli attuali sistemi di Welfare e, dove era presente, alla crisi della loro vocazione universalistica.
Il Welfare come spazio di de-mercificazione funzionava attraverso un meccanismo che faceva della distinzione tra vita e lavoro uno dei suoi architravi operativi: parte delle attività di riproduzione sociale, organizzate secondo modelli pubblici differenti da Paese a Paese, avevano costituito un ambito all’interno del quale i “sacrifici” richiesti dal lavoro salariato prendevano la forma dell’accesso (più o meno) gratuito (e più o meno governamentale) ai servizi di cura e della formazione. Il patriarcato keynesiano funzionava secondo tale schema. Il tema della protezione sociale era cioè fortemente iscritto dentro una logica della riproduzione sociale che, seppur in continuità con il modo di produzione capitalistico, non poteva essere mai del tutto sovrapposta e quindi confusa con quella del mercato e del profitto. Ora, nel momento in cui la valorizzazione capitalistica si produce dentro operazioni che non sono più del tutto riconducibili allo spazio della produzione tradizionale e che anzi, in virtù delle nuove tecnologie digitali, assume la riproduzione sociale direttamente come uno spazio dell’accumulazione capitalistica, questa distinzione tende materialisticamente a perdersi. Una conseguenza di tale processo è, dunque, che nell’epoca della precarietà generalizzata e della crisi del lavoro salariato il tempo di lavoro tende a dilatarsi a dismisura, contaminando con le sue logiche strumentali l’intero tempo di vita, finendo per rendere pressoché indistinguibili (rispetto al tema del valore) le diverse temporalità sociali (Chicchi, Simone 2023).
In questo volume ci proponiamo così di mettere a fuoco anche i modi attraverso cui il capitale mette a valore la sfera della riproduzione sociale, sia nei suoi elementi tradizionalmente legati al salario (ma in ogni caso non perfettamente sovrapponibili ad esso) – cioè consumi e risparmi – sia nelle sue dinamiche “improduttive” (ambito relazionale/affettivo/comunicativo, ambiente naturale e territori, educazione e formazione, ecc.). La messa in discussione della subalternità del momento riproduttivo rispetto a quello produttivo è infatti condizione necessaria per l’analisi degli scenari post-salariali (del salario inteso qui come istituzione di mediazione e misura sociale dei rapporti di forza capitalistici) che abbiamo di fronte. Non possiamo così, in tal senso, che concordare con Cristina Morini (2022) quando nel suo volume Vite lavorate afferma che: “Il piano della riproduzione è il contesto dove si è aggiornata la dinamica della produzione e dello sfruttamento contemporaneo fondato, attraverso le potenzialità consentite dalle nuove tecnologie, sull’appropriazione di beni naturali, facoltà umane (del pensiero, del linguaggio e del corpo) e cooperazione sociale” (ivi p. 64).
Lo sviluppo e la diffusione delle piattaforme digitali è inoltre una delle modalità privilegiate del capitale per estrarre valore dalla sfera della riproduzione sociale. In tal senso queste rappresentano, potremmo dire, l’infrastruttura di questa emergente modalità estrattiva del valore (Borghi e Leonardi 2024). Affinché le pratiche prima considerate improduttive e “intime” si inseriscano nel cuore dei nuovi processi di valorizzazione occorre, infatti, che le piattaforme digitali si insinuino nella nostra vita quotidiana fino a rappresentarne un momento imprescindibile (e irriflesso) di normazione e predizione dei nostri comportamenti.
La nuova configurazione del rapporto tra produzione e riproduzione sociale nella società contemporanea, nel senso di una loro progressiva confusione, pone così il problema della misura del valore nella nuova economia capitalistica. Ecco che tra “le conseguenze, una di carattere squisitamente qualitativo è legata al fatto che soggettività e relazione, passione e affettività, connotati tradizionali della sfera privata e riproduttiva dell’esistenza umana, sono diventate risorse fondamentali nel mondo della produzione di merci” (Del Re 2008). Non è una questione di poco conto e per poterla descrivere occorre a nostro avviso dotarsi di uno sguardo analitico nuovo rispetto alla seppur fondamentale impostazione tradizionale del marxismo. Se, infatti, è certamente vero che il lavoro riproduttivo non crea immediatamente valore di scambio utile all’accumulazione capitalistica all’interno di quella che possiamo definire marxianamente logica sussuntoria (dove è il salario a mediare il rapporto sociale tra capitale e lavoro) la stessa affermazione non pare essere più sostenibile se a quella logica tende oggi a sostituirsi, o comunque ad accompagnarsi, una nuova logica dello sfruttamento di tipo impressorio e/o estrattivo. Si passerebbe, in questo secondo caso, da una produzione indiretta del valore di scambio da parte del lavoro di riproduzione, così come era stata descritta dal femminismo degli anni Settanta nella loro riflessione sul tema del lavoro domestico (Chistè, Del Re, Forti 2020), a una sua produzione diretta senza la mediazione del salario. D’altra parte, anche Leopoldina Fortunati pareva essere arrivata da tempo alle medesime conclusioni: la produzione di forza-lavoro come merce che viene comprata e venduta sul mercato del lavoro è infatti una prerogativa delle attività della riproduzione sociale (Fortunati 1981). L’obiezione sollevata dalle femministe “fedeli” alla teoria marxista del valore rispetto a tale impostazione a mio avviso non regge. L’argomentazione per cui il lavoro riproduttivo si presenterebbe sempre come un lavoro concreto e non astratto (Ferguson 2020) non riesce, infatti, a vedere come tale critica sarebbe fondata solamente se fossimo posti di fronte all’esistenza di una sola logica di estrazione del valore, quella tipicamente marxiana di tipo sussuntorio1. Se consideriamo invece il processo di accumulazione capitalistico come un processo plurale e variato, basato su molteplici logiche (convergenti e concorrenti al contempo) risulterà allora chiaro come le diverse attività della riproduzione sociale siano considerabili come prestazioni misurabili e quindi direttamente commerciabili sul mercato. Il problema, semmai, è quello di determinare il modo in cui il capitalismo riesce ad estendere la misura al di là della legge marxiana del valore-lavoro e al di là del contesto industriale e manifatturiero della produzione. Mezzadri (2019) in un suo stimolante contributo ha aiutato a chiarire tale scivolosa questione. Mezzadri fa notare, infatti, come vi sia un rapporto inversamente proporzionale tra tasso di sfruttamento e costi della riproduzione sociale: quando aumenta il primo i secondi (imputabili per lo più alle attività informali dedicate alla riproduzione sociale della forza-lavoro) tenderebbero a diminuire, mostrando così come essi siano direttamente implicati nella definizione del livello complessivo del valore proprietario e capitalistico. Tale intuizione è molto importante, ma ci aiuta a precisare la questione della misurazione del valore del lavoro riproduttivo, potremmo dire, solamente per sottrazione. Per comprenderla in positivo occorre, a mio avviso, osservare come siano le macchine digitali e le forme algoritmiche della produzione a introdurre oggi la misura (la contabilità) del valore in seno alla sfera della riproduzione sociale. “Differenza, nel paradigma riproduttivo, è il nome del campo su cui si esercita la messa a valore, come anche la sua riappropriazione. Il voto, il rating non sono solo numeri, ma sono più dei loro effetti sui soggetti”2. Sono cioè i dispositivi algoritmici applicati alle prestazioni umane a misurare il loro valore di mercato. Tutti quei dispositivi che introducono nuove unità di misura nelle attività di piattaforma (sotto forma di ranking, rating, giudizi di gradevolezza della prestazione, ecc..) a fornire alle attività non più necessariamente salariate (niente, in ogni caso esclude che lo siano in una certa maniera), una misura, e quindi un valore commerciabile sul mercato.
3. Nel solco di questo ambizioso obiettivo, il volume, come già suggerito, muove i suoi passi calandosi all’interno dell’analisi di alcuni dei più significativi paradigmi del femminismo, attraversando così in tal modo un arco di riflessione ricchissimo di stimoli, che potremmo descrivere come quello spazio che, dalla riflessione operaista sul lavoro domestico, incontrando per strada l’ecofemminismo e quindi il transfemminismo va dai queer studies fino ai trans studies. In sintesi, nel volume, attraverso i suoi diversi capitoli, si sviluppa una riflessione di voci plurali, che converge e vuole essere capace di fare luce sugli stessi processi fondamentali del capitalismo contemporaneo.
Nel capitolo che inaugura il volume, intitolato Globalizzazione, finanziarizzazione e digitalizzazione della riproduzione sociale, a partire da alcune riflessioni operaiste, si cerca di mettere in risalto e di motivare il ruolo fondamentale (seppur assunto in modo critico e mai esclusivo) svolto dal pensiero marxista nell’orientare il pensiero femminista di matrice operaista. Facendo riferimento ad alcune importanti intuizioni sviluppate negli anni Sessanta e Settanta dal femminismo cosiddetto della riproduzione sociale e in particolare attraverso alcuni scritti di Alisa del Re e Cristina Morini, il capitolo mostra e sottolinea come l’estrazione del valore nel neoliberalismo sia, oggi, a tal punto approfondita da coinvolgere anche le parti più intime e private della vita. Giulia Russo, Loris Narda e Diego Chece, hanno analizzato tale processo attraverso tre fondamentali e decisive evoluzioni del capitalismo: la globalizzazione, la finanziarizzazione e la digitalizzazione. Questo tipo di analisi si sostiene sulla e sottolinea l’importanza della critica femminista operaista del concetto di riproduzione sociale. Tracciando i contorni di tale ambito di discorso, assumendo le lotte, i conflitti e le politiche che ruotano attorno ad esso, emerge, infatti, con chiarezza come l’estrazione di valore da parte del capitale esondi i confini produttivi tradizionalmente intesi, e in questo senso come il femminismo operaista permetta anche di oltrepassare l’analisi di Marx, andando al di là del muro novecentesco eretto senza troppi scrupoli tra fabbrica e sfera domestica.
Questo aspetto fa da riferimento privilegiato anche per il ragionamento proposto da Maddalena Crotti e Valeria Giavazzi nel secondo capitolo del volume, capitolo che è intitolato Ecofemminismi, commoning e giustizia narrativa. Lx autricx si propongono qui di esaminare il rapporto tra valore e riproduzione sociale a partire dalla riflessione dei cosiddetti approcci ecofemministi. Questi ultimi (tra di loro, sottolineano Maddalena e Valeria, molto eterogenei) partono dall’analisi del rapporto tutt’altro che neutrale tra capitalismo patriarcale e crisi ecologica. In questo ragionamento sono Silvia Federici e Stefania Barca a rappresentare il punto di vista privilegiato per avanzare nel merito del problema. Gli ecofemminismi di stampo materialistico hanno, infatti, usato in modo esteso il concetto di riproduzione sociale per indicare come lo sfruttamento capitalistico, oltre ad essersi appoggiato sullo sfruttamento del lavoro salariato, ha funzionato soprattutto grazie all’appropriazione, gratuita ed illimitata, del lavoro delle donne, delle risorse naturali e dei territori colonizzati. Ciò che è di grande interesse e che gli ecofemminismi rivelano con grande nitidezza è lo stringente nesso tra sfruttamento, distruzione progressiva dell’ecosistema naturale e oppressione delle persone socializzate come donne. L’analisi del rapporto tra valore e riproduzione sociale interrogato da questo punto di vista diventa, così, un metodo inaggirabile per tentare di rispondere alla crescente problematicità della crisi socio-ecologica in atto. Senza pretendere di trovare risposte definitive alla questione ecologica attuale le riflessioni proposte nel capitolo si muovono così nella direzione di tentare di immaginare e proporre connessioni e incroci tra i diversi contributi eco(trans)femministi, inseguendo il proposito di costruire una relazione tra produzione e riproduzione sociale posta al di là di semplici binarismi interpretativi, e in questo modo finalmente capace di contrastare le sempre più aspre disuguaglianze su cui si radica oggi il capitalismo eterocispatriarcale.
Il terzo capitolo, intitolato Cura, riproduzione sociale e occultamento del valore prende invece le mosse dalle riflessioni di Alessandra Mezzadri e Sara Farris. Oltre che sul già ricordato dibattito interno ai femminismi della riproduzione sociale, Luca Villaggi ed Eleonora Rassu pongono qui particolare attenzione al tema cruciale dell’etica della cura. Più in particolare, il capitolo da qui si sviluppa attraverso l’analisi di tre questioni tra loro fortemente intrecciate. Queste riguardano: a) il rapporto tra la sfera della cura e la riproduzione sociale; b) la legge capitalistica del valore; c) le forme di stigmatizzazione e di oppressione sociale che operano in tali ambiti. Dalle riflessioni presentate emerge così come gli ambiti e le pratiche della cura e della riproduzione sociale siano state fino ad oggi discorsivamente relegate ai margini delle fonti del valore e quindi disconosciute come tali. L’occultamento del loro ruolo consente infatti al capitalismo di organizzare un processo di continua svalorizzazione del lavoro di cura e della riproduzione sociale che in suo seno si organizza e sviluppa continuamente. Si configura così la centralità di una risorsa di valorizzazione che può essere appropriata dal capitale praticamente senza costi e la cui pratica è per lo più delegata a gruppi sociali marginali e subalterni. I dibattiti e i contributi qui presi in esame sul tema mostrano, inoltre, come lo spazio delle attività e del lavoro di cura e di riproduzione sociale siano organizzati dentro precisi rapporti di potere e di oppressione sociale. In tal senso i concetti di genere, razza, colonialità e classe operano gerarchizzando la vita sociale per mezzo di tecniche e all’interno di pratiche, tanto simboliche, retoriche e ideologiche quanto estremamente concrete e materiali.
Il quarto capitolo si intitola Transfemminismi oltre l’umano. Sguardi eco-cyborg per una nuova politica della materia. È il capitolo che interroga e chiama in causa nel volume il tema del postumano, con tutte le sue suggestioni, con tutte le sue questioni aperte e ancora irrisolte. In questo capitolo Matteo Lupoli, Clara Di Fabio ed Elisabetta Codutti, soprattutto a partire dall’approfondimento delle riflessioni di Angela Balzano e Federica Timeto, mostrano con convincente verve argomentativa come il femminismo del postumano sia stato capace di evidenziare degli aspetti fino a questo momento per lo più sottovalutati e non tenuti in sufficiente considerazione nel pensiero critico femminista. A questo scopo fanno, ad esempio, riferimento al potenziale liberatorio delle tecnoscienze o alla centralità della questione ecologica e antispecista e propongono, a partire da qui, una lettura del potere in grado di interrogare in modo radicale le violente gerarchizzazioni che caratterizzano il capitalismo contemporaneo. In questo approccio, che ha un debito davvero grande (e dallx autricx riconosciuto) con la filosofa americana Donna Haraway, il tema della riproduzione sociale acquista sfumature nuove: “non siamo mai statx solo umanx, possiamo dirci cyborg, non autopoieticx né autosufficienti. Scendiamo dal piedistallo, riposizioniamoci negli assemblaggi multispecie di cui facciamo già parte, alleiamoci con funghi e batteri per la rigenerazione del pianeta!”. Dove ci può condurre questa prospettiva radicale? All’interno di un orizzonte che lx autricx non esitano a definire come una nuova politica ontologica e neomaterialista, costruita a partire da inediti assemblaggi e ibridazioni, capaci di costituire nuove e impreviste ecologie e nuovi modi di pensare e abitare il nostro pianeta.
Il volume si chiude con il quinto capitolo, intitolato Trans studies, tra riproduzione sociale e messa a valore. Elementi di sottrazione dall’universalismo binario. In questo contributo dallx autricx viene data centralità all’importanza di costruire un sapere critico e radicale capace di decostruire e quindi superare l’attuale eteronormatività del sociale. In dialogo stretto con i cosiddetti trans studies, Sale Sirigu, Ale Piazza e Oscar Domenella incrociano, in modo originale e fruttuoso, il tema della riproduzione sociale con quello della non-conformità di genere, portando la loro attenzione sull’analisi delle sfide che i sempre più diffusi movimenti per l’affermazione delle nuove “identità” di genere non binarie pongono in essere. Importantissime sono, in particolare, le riflessioni che sono proposte nel capitolo rispetto alla necessità di mettere in discussione le anacronistiche categorie patologizzanti del sapere psi (disforia, transessualità, ecc..), categorie che vengono inopportunamente impiegate per riferirsi alle condizioni soggettive delle persone dichiaratamente non binarie. Molta importanza riveste, inoltre, nell’economia del capitolo, l’attenzione sulle condizioni sociali e materiali di vita dei transgender. Vengono qui, in tal senso, esaminati, da un lato, i dispositivi neoliberali della loro inclusione/assimilazione (per esempio quelli che si attivano attraverso il cosiddetto diversity management) e, d’altro canto, le esperienze sociali di autodeterminazione che incessantemente si producono qui a contatto con i lavori informali, come il sex work, pratica di procacciamento di reddito inaggirabile per la popolazione transgender e migrante. In particolare, lx autricx sottolineano l’importanza di riconoscere le persone trans come un vero e proprio soggetto attivo nella costruzione di una Storia di “auto-contro-narrazioni”, capace di porre al centro delle loro rivendicazioni la resistenza all’oppressione e attivando pratiche di trans/formazione sociale.
Finale. Questo testo è in debito con molte persone. Nominarle unx per unx sarebbe complicato e rischioso (e se poi mi dimentico di qualcunx?). Non mi avventurerò così in questa direzione. L’importante è che questo testo sia capace di irritare e mobilitare le coscienze nei confronti di una condizione sociale che si fa ogni anno che passa più insopportabile, da innumerevoli punti di vista. Kin-d of group nasce sulla idea di provare a rilanciare l’idea che è ancora possibile lottare per costruire un mondo diverso e che per farlo si tratta di iniziare a costruire nuove alleanze e nuovi assemblaggi. Questo libro vuole molto umilmente cercare di testimoniare questa possibilità, questo desiderio di cambiamento. Buona lettura a tuttx.
1 Analizzare il capitalismo nelle sue diverse operazioni permette di osservarne il funzionamento secondo le sue molteplici logiche di sfruttamento. È solo in questo modo che diventa evidente come il lavoro riproduttivo sia indubbiamente uno dei mezzi di cui il capitale si serve per estrarre plusvalore (Cfr. Chistè, Del Re, Forti 2020).
2 Si veda: Giardini e Simone (2015). Il testo è disponibile al seguente link: http://www.iaphitalia.org/la-riproduzione-come-paradigma-per-una-economia-politica-femminista-di-fed...