Necessità dell’anacronia
Su Anacronie a cura di Lucia Corrain
Raffaele Santoro

12.02.2022

Nelle primissime pagine dell’ormai celebre testo sull’anacronismo, Didi-Huberman narra la propria esperienza di osservatore davanti alla Madonna delle Ombre di Beato Angelico. Qui, l’occhio del filosofo francese non si sofferma – come si potrebbe immaginare – sui giochi di luce ed ombra adottati dal pittore né, tantomeno, sull’apparato iconografico attraverso cui viene inscenata la Sacra Conversazione che è oggetto del dipinto.

Quanto colpisce l’attenzione dell’autore è invece un dettaglio periferico, un elemento posto al di fuori della narrazione visiva ma in cui l’occhio del filosofo resta impigliato, quasi arenato. Si tratta di uno dei quattro riquadri affrescati e situati nella parte inferiore della composizione: un rettangolo di colore rosso sulla cui superficie una serie di macchioline bianche creano come una deflagrazione del pigmento.

La presenza di queste «costellazioni di stelle fisse»,1dipinte nel Quattrocento dal frate domenicano, suggerisce a Didi-Huberman una somiglianza «fuori posto»2 con le analoghe esplosioni di colore che, circa cinque secoli dopo, Jackson Pollock restituirà nelle sue tele.

Come sottolineato dallo stesso autore, alla base di questa esperienza non vi è il tentativo di un’archeologia del dripping né la volontà di rintracciare le radici dell’espressionismo astratto americano negli espedienti artistici rinascimentali. La narrazione cerca, invece, di dimostrare l’intrecciarsi e l’accumularsi di tempi eterogenei all’interno delle immagini e, più in generale, nella storia dell’arte.

Se ho deciso di citare in apertura l’esperienza di Didi-Huberman non è soltanto per la palese “contingenza” che la riflessione svolta in Storia dell’arte e anacronismo delle immagini intrattiene con il tema in questione; quanto, piuttosto, per sottolineare il gesto filosofico e archeologico compiuto dal filosofo rovesciando – in poche pagine – almeno due modalità tradizionali del pensiero storico-artistico.

Innanzitutto la tendenza ad incitare congiunzioni tra tempi eterogenei nelle immagini assecondando unicamente un “movimento” che va dall’antico verso il contemporaneo; e mai viceversa. Infatti, a mio parere, la presenza di Pollock in Beato Angelico rende possibile una sorta di inversione – che assume i lineamenti di un’invasione – in cui è il presente ad emergere dal passato e non il suo canonico contrario.

Didi-Huberman insorge anche su un altro fronte caro all’approccio storico-artistico: la cosiddetta concordanza di tempi. In altre parole quell’evidenza eucronica, dettata dallo storicamente pertinente, che vorrebbe la figura dell’artista posta in un rapporto esclusivo con la sua contemporaneità o – nella più ardua delle ipotesi – con i suoi predecessori.

A proposito della contrapposizione tra eucronia – intesa come «legittimazione delle fonti e di categorie e concetti compatibili con l’epoca studiata»3 – e la «necessità dell’anacronismo»,4 riflette Paolo Fabbri intervistato da Angela Mengoni.

Qui il semiologo compie una duplice operazione: dapprima, sottrae il concetto di anacronismo all’opposizione avanzata da Didi-Huberman, per inserirlo all’interno della tensione tra sincronia e diacronia. In una soluzione, dunque, che porta i due termini a pensarsi – e ri-pensarsi – reciprocamente a partire proprio dalla presenza di tempi molteplici nel medesimo oggetto di studio. In secondo luogo Fabbri incita all’adozione del termine “anacronia”, abbandonando così la voce “anacronismo”: troppo implicata nel gioco oppositivo proposto dal filosofo francese.

La querelle sull’anacronia, a ben vedere, presenta molte più sfaccettature e altrettanti snodi teorici rispetto alla sintesi sin qui svolta. Implicazioni che riguardano – solo per citarne alcune – la teoria delle immagini, gli studi visuali, la teoria dei media o, ancora, la macchina espositiva. Proprio in quest’ultimo ambito si iscrive una recente pubblicazione a cura di Lucia Corrain dal titolo esplicativo di Anacronie. Leggibilità tra passato e presente nel display delle arti.5

Risultato dell’omonimo convegno internazionale svoltosi nel dicembre del 2020,6 la pubblicazione ha il merito di restituire al lettore un panorama eterogeneo e articolato, la cui ricchezza dipende innanzitutto dalla capacità di incorniciare – in modo trasversale e del tutto coerente – contributi di personalità provenenti da diversi ambiti della riflessione sull’artistico. Direttori di musei, storici e teorici dell’arte, semiologi e curatori offrono così il proprio punto di vista sul tema dell’anacronia, arricchendone la discussione e aprendovi nuovi spazi di dibattito.

Come chiarito sin da subito dalla curatrice, gli interventi assecondano due linee programmatiche ben precise a cui rimanda la stessa bipartizione del testo. Troveremo, perciò, una prima parte dedicata prevalentemente agli aspetti epistemologici e teorici dell’atto anacronico.7 

Qui, emerge sicuramente il tentativo di ampliare il quadro delle riflessioni critiche sul fenomeno dell’anacronia, introducendo suggestioni e apporti provenienti da differenti ambiti disciplinari. Tra questi sembrano godere di una posizione privilegiata la teoria dell’arte, le scienze umane, la semiotica e le scienze storiche: prospettive di indagine da cui, a ben vedere, potrebbero ancora emergere considerazioni e apporti determinanti.

La seconda sezione del libro offre invece una chiave metodologica e analitica per avvicinare le questioni legate al dialogo tra tempi eterogenei.8 Gli autori, spesso protagonisti in prima persona dei casi espositivi riportati, indagano alcune modalità di “messa in scena” dell’anacronia.

Significativi in tal senso sono, ad esempio, i progetti di Committenze contemporanee della Galleria Borghese di Roma oppure le ri-attivazioni di cui è protagonista la mostra Eco e Narciso tenuta nel 2018 al romano Palazzo Barberini.

Pur presentando un assetto bipartito, il testo non esclude scambi e influenze tra le due parti; stimolando, al contrario, continui rimandi tra l’iniziale apparato teorico e il corpus per lo più analitico della seconda sezione. Due linee programmatiche in divenire che appaiono, pertanto, sì definite, ma mai definitive.

Quanto emerge dai differenti interventi in cui la pubblicazione si struttura, non è l’idea di anacronia come operazione che riattivi il corpo di un presente ormai putrido; un contemperano che non ha più nulla da dire e perciò reclama un costante rapporto con il passato. Non è un espediente, un trucco, l’impulso da cui nasce la necessità.

Certo, in taluni casi espositivi sembrerebbe l’esatto contrario. Non mancano esempi in cui la pratica di riattivazione delle opere coincide con una specifica sopravvivenza – spesso economica – di un determinato artista, all’interno di un particolare mercato. Ma qui, il re è presto nudo e l’incontro tra tempi molteplici – se trucco – fa presto a svelarsi cliché; magari retto su accostamenti stereotipati e dai tratti a dir poco grotteschi.

Si tratta, piuttosto, di un’esigenza che, implicita, sono le stesse opere a rivelare, a rivelarci. Così esse tradiscono una serie di giochi delle parti tra passato e presente, tra sincronia e diacronia, in cui si trovano coinvolti da una parte le immagini – prese nel flusso incessante del tempo – e dall’altra l’occhio – che osservando dovrebbe cogliere questi salti.

Posto al centro tra i due poli, il display espositivo è in grado di compiere un gesto, per certi versi, eccentrico e singolare; rivelandosi il canale attraverso cui esplicitare le potenzialità di tali incontri. La mostra diventa allora il luogo in cui lo spazio si dedica al tempo, in cui rendere immediati, facilitare, innestare e arricchire questo continuo dialogare tra temporalità eterogenee.

Al display, dunque, un compito complesso quanto decisivo: compiere quel gesto che lasci affiorare dalle immagini la necessità dell’anacronia.



1 G. Didi-Huberman, Storia dell’arte e anacronismo delle immagini, trad. it., Bollati Boringhieri, Torino 2000, cit. p. 13.
2 Ivi, cit. p.23.
3 P. Fabbri in A. Mengoni, Acronie. La temporalità plurale delle immagini, “Carte Semiotiche”, Vol.13, 2013, cit. p. 150.
4 G. Didi-Huberman, Storia dell’arte e anacronismo delle immagini, cit., p. 18.
5 L. Corrain, Anacronie. Leggibilità tra passato e presente nel display delle arti, Bononia University Press, Bologna 2021.
6 Il convegno internazionale si è tenuto il 16 dicembre 2020 nella cornice delle attività de La Soffitta-DamsLab Dipartimento delle arti dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna e in collaborazione con L’Univeristà IUAV, l’Università di Siena, il Centro di Ricerca Interateneo Omar Calabrese di Semiotica e Scienze dell’immagine (CROSS, l’ École des hautes études en sciences sociales Paris, La Federazione Romanza di Semiotica – Fedros.
7 Gli autori che scandiscono il primo apparato della pubblicazione sono: Michele Di Monte, Claudia Ceri Via, Angela Mengoni, Giovanni Careri e Tarcisio Lancioni.
8 I testi che compongono la seconda sezione sono di: Guillermo Solana, Anna Coliva, Maria Giuseppina Di Monte, Lorenzo Balbi, Lucia Corrain e Mirco Vannoni.