08.03.2021
Lo stato dell’arte. Intervista al Direttore Artistico del MAMbo Lorenzo Balbi
Carmen Lorenzetti

CL: In che maniera è stato riconfigurato il sistema dell’arte dalla crisi pandemica? Penso a tutto un sistema che si è fortemente dotato di mezzi digitali e multimediali per poter ovviare al lock-down prolungato che ha subito per un anno ormai. Questo nuovo medium rafforza o indebolisce il sistema?

LB: La crisi pandemica ci ha messo di fronte a un ripensamento degli strumenti di comunicazione e di produzione dei contenuti culturali. Il MAMbo ha da subito accolto questa sfida proponendo - già alla prima breve chiusura di febbraio 2020 - lo streaming online della performance Bonjour di Ragnar Kjartansson presente nella mostra collettiva AGAINandAGAINandAGAINand, aperta a fine gennaio 2020 e chiusa dopo poche settimane. Successivamente abbiamo ideato 2minutidiMAMbo: un format di engagement digitale che prevedeva l’implementazione di nuovi contenuti video girati con una tecnologia basica, lo smartphone, dentro il museo o da remoto. Abbiamo proposto brevi approfondimenti sulla collezione permanente del MAMbo, sulle mostre temporanee e sul Museo Morandi, realizzado più di 90 video e dando vita a un prezioso archivio di storie e aneddoti sul nostro patrimonio culturale. Con il Dipartimento Educazione del MAMbo, realtà di eccellenza nel campo della mediazione e didattica dell’arte, abbiamo cercato inoltre di includere tipologie differenziate di pubblico, ideando nuovi approcci alle opere.

In generale, non ritengo che i mezzi multimediali e digitali abbiano indebolito il sistema, hanno invece permesso un continuo scambio di informazioni in un periodo di forte crisi, garantendo al pubblico l’accesso – diverso ma pur sempre prezioso - all’offerta temporaneamente non fruibile negli spazi espositivi del museo.


CL: Pensi che le abitudini del pubblico siano cambiate in modo irreversibile? Come ci siamo abituati a ricorrere più massicciamente al consumo on-line, potremmo esserci abituati ad un ricorso più diffuso dell’on-line per la fruizione di contenuti culturali?

LB: La condizione che stiamo vivendo da ormai un anno ha favorito la diffusione sempre più capillare di contenuti digitali di approfondimento culturale, rendendo più accessibili le attività collaterali come conferenze e workshop di formazione.

In questo ambito, i musei sono riusciti anche a sviluppare progetti di grande interesse che grazie alle piattaforme digitali hanno permesso di raggiungere un pubblico nazionale e internazionale, oggi impossibile da includere nelle visite in presenza.

Non vedo in questi programmi di approfondimento degli aspetti negativi, trovo invece poco funzionali progetti che tendono a ‘simulare’ la fruizione dal vivo come i tour digitali, che invece appaiono imitazioni snaturanti dell’esperienza della visita.


CL: Credi che possa essere una nuova scommessa riportare il pubblico nei luoghi dell’arte? Creare contenuti che ormai non possono prescindere da un’offerta multimediale? La gente insomma si è abituata ad avere delle notevoli anticipazioni di ciò che poi potrà trovare fisicamente nelle varie sedi deputate alla fruizione diretta.

LB: Guardando ai dati raccolti durante le riaperture del MAMbo, il pubblico ha risposto positivamente alla possibilità di visitare in presenza i musei. Abbiamo cercato di incoraggiare la visita anche con progetti specifici come Poets in the Museum, una serie di letture di poesie negli spazi della collezione che irrompevano nella visita dei visitatori, proprio per sottolineare la ricchezza di stimoli mentali e fisici che caratterizza la fruizione dal vivo. Non ritengo che avvalersi di contenuti culturali in formato digitale possa sostituire la fruizione in presenza e il pubblico ci sta confermando il desiderio di tornare nelle sale museali.


CL: Credi che la funzione del museo abbia acquisito, anche alla luce del periodo che stiamo vivendo, nuove prerogative? Quali?

LB: Il contesto globale della pandemia ci ha messo di fronte alla necessità e alla possibilità di pensare a modelli alternativi per il museo a cui è oggi richiesto di prendere una posizione chiara e farsi responsabilmente carico delle necessità della comunità che rappresenta, condividendo le proprie risorse e i propri spazi. Da queste prerogative è nato il Nuovo Forno del Pane, un nuovo possibile modello di museo: non più casa delle opere ma spazio di produzione per gli artisti, fucina di nuove opere, incubatore di nuove progettualità attraverso cui sperimentare una museologia più radicale e diretta. La programmazione espositiva del 2020 è stata quindi parzialmente interrotta per affidare agli artisti del territorio, ai creativi e alle associazioni culturali la grande Sala delle Ciminiere e gli spazi limitrofi per ripartire insieme.

Tre sono i concetti-chiave su cui è stato costruito il progetto del Nuovo Forno del Pane, pensati per scardinare lo “schema” convenzionale di azione del museo e proporre un modello diverso da quello canonico che ruota attorno a mostre e collezioni, più aperto e con artisti e spazi al centro del processo creativo: la produzione dell'arte come strumento operativo e di ricerca, la costruzione di una comunità di riferimento, l'autoformazione come pratica condivisa di crescita e di messa a disposizione di dotazioni e competenze.


CL: In che modo gli artisti, magari soprattutto i più giovani, che hanno maggiore bisogno di occasioni di visibilità in una loro ancora fragile configurazione, hanno risentito di questo periodo di crisi? Sono state perse delle occasioni?

LB: L’idea di creare uno spazio di lavoro condiviso come il Nuovo Forno del Pane nasce anche dalla consapevolezza che i lavoratori del settore delle arti visive fossero tra i più colpiti dalla crisi sanitaria corrente. I 13 partecipanti sono stati riconosciuti prima di tutto come dei “lavoratori”, condizione che gli ha permesso di raggiungere liberamente il proprio studio anche durante i periodi di lockdown più restrittivi. Tale identificazione ha posto le basi per una serie di possibilità e occasioni, rendendo tangibile quanto sia necessario oggi riconoscere il lavoro dell’artista ad ogni livello del sistema.

Penso, quindi, che si siano create delle occasioni più che perse. In questo contesto drammatico, siamo riusciti a creare una comunità di artisti che hanno iniziato a lavorare e a progettare insieme.


CL: L’ex-ministro Dario Franceschini ha voluto fortemente creare una piattaforma nazionale on-line ITsArt, cui sono stati dedicati 30 milioni, che vengono definiti insufficienti dagli esperti. Molti affermano che sia una scatola vuota, che sarebbe stato meglio convogliare i fondi direttamente alle istituzioni sofferenti, che non soddisfi le richieste che in Italia lavorano alla conservazione, valorizzazione del patrimonio culturale e alla produzione di nuove attività culturali. Altri ancora affermano che si poteva sfruttare il canale RAI dedicato alla cultura. Tu, in quanto capofila del Forum dell’Arte Contemporanea che produrrà una proposta al Ministro a seguito dell’incontro del 6 febbraio 2021, potresti darci alcune anticipazioni sui contenuti?

LB: Sabato 6 febbraio si è svolto il quarto focus online indetto dal Forum Dell’Arte Contemporanea Italiana, dedicato ad ITsART, il portale di contenuti on demand lanciato nella primavera del 2021 con lo scopo di promuovere la cultura italiana nel mondo. Il Focus è stato l’occasione per istituire un tavolo di discussione aperta con gli operatori dello spettacolo, artisti, registi, scrittori, direttori di musei, giornalisti e critici, concentrandosi sulle necessità del settore dell’arte e dello spettacolo contemporanei nell’attuale emergenza da Covid-19 e finalizzato ad avanzare proposte concrete in relazione ai finanziamenti previsti dal Recovery Fund. In particolare, nel documento conclusivo emerso dal tavolo e inviato al Ministero, si sostiene come nello scenario attuale di crisi diffusa del comparto culturale - in particolare di quello dell’arte contemporanea - sia necessario chiedere un maggior sostegno per l’attività di produzione dei musei, delle istituzioni e degli artisti. L’ammodernamento dell’offerta culturale italiana attraverso varie forme di divulgazione digitale è sicuramente un obiettivo giusto e raccomandabile in questo momento ma senza un adeguato piano di sostegno delle attività di produzione di contenuti adeguati queste piattaforme rischiano di rimanere dei contenitori difficili da riempire.


CL: Puoi anticiparci alcune linee e progetti che hai in mente per il MAMbo?

LB: Credendo fermamente nella necessità di un contatto fisico tra spettatore e opera d’arte, abbiamo ideato una serie di progetti che potessero mantenere viva questa relazione. Abbiamo appena presentato il progetto Dear you, una mostra che utilizza la corrispondenza postale come forma di comunicazione e di ricezione dell’opera. Si struttura tramite sei interventi di artisti internazionali la cui pratica è fortemente legata alla poesia, alla scrittura e alla performance, che hanno ideato per l’occasione una opera-lettera che arriverà ogni due settimane a casa del pubblico. Le opere sono concepite come poesie, brevi racconti, istruzioni per atti performativi e come dispositivi relazionali, e intrecciano alcune delle tematiche più rilevanti del nostro tempo come la perdita di contatto fisico e le relative ripercussioni sulla vita emotiva, l’indebolimento della vita sociale condivisa, e la necessità di creare nuove strategie di relazione e di cura al di là dell’esperienza digitale.


Parallelamente stiamo lavorando sulla prossima edizione di Art City, il programma istituzionale di mostre, eventi e iniziative speciali promosso dal Comune di Bologna e coordinato dall’Istituzione Bologna Musei. Insieme allo Special Project che coinvolge ogni anno un artista di fama internazionale, saranno realizzati dieci Main projects, che da questa edizione saranno ospitati in luoghi insoliti e solitamente non accessibili al pubblico, disseminati per tutta la città. Mi piace pensare che, grazie ad ArtCity, primo grande evento di riapertura, Bologna ripartirà con l’arte contemporanea.