L'estetica della storia
Stefano Berni

23.04.2021

Ciò che si dimentica e che vuole essere dimenticato è posto su una linea del tempo il cui passato, proprio perché è passato, non torna più. La dimenticanza gioca lo stesso ruolo della tradizione. Il ricordo appartiene alla mitologia. Ciò che si dimentica lo si tiene congelato nella memoria. Era questa l’ideologia delle magnifiche sorti e progressive, in cui risuonava l’idea di progresso scientifico e la speranza di un futuro migliore, colmo di aspettative, in cui si delineava all’orizzonte un futuro carico di senso, nella doppia e ambigua semantica, di significato e direzione. Come un binario, si voleva tracciare una retta che poteva permettere di tornare indietro ma si poteva percorrere anche in avanti, almeno con l’immaginazione, per capire gli eventi futuri, per trovare la strada e la legge della storia e comprendere il vero motore che spinge sempre e non si ferma mai.

Tutto, in quella filosofia della storia, era creduto per conoscibile, prevedibile. La scienza, la matematica, la sociologia, la psicologia, l’antropologia, il capitalismo, il cristianesimo, il comunismo, il fascismo, il nazismo si ispiravano a quel tipo di storia, quella che si dipanava verso lo spirito assoluto e che ci avrebbe salvato, ci avrebbe mostrato la direzione dell’umanità. La modernità - con il suo carico di illuminismo e ragione, di fede e destino, - ha creduto che l’umano potesse migliorare a scapito della natura.

Non possiamo dunque imputare oggi la colpa dello sfruttamento capitalistico delle risorse umane a chi credeva fosse possibile rompere con questa ideologia moderna della storia. E anche colui che ad un certo punto poneva un limite e un fine della storia, come nel caso di Fukuyama o chi credeva possibile aggiungere un semplice suffisso, post, benché fosse del tutto dentro alla concezione moderna della storia, provava ad emanciparsi. Infatti, solo chi ha un’idea moderna e vede la storia come un progresso o vede in essa un fine può immaginarsi anche la fine della storia stessa, così come Marx vedeva il fine nell’avvento del comunismo o il cristianesimo credeva nell’avvento della resurrezione dei morti. Solo nel riconoscimento di ciò che l’uomo ha fatto si credeva possibile che l’umanità si sarebbe salvata.

In questa idea di storia intesa come fabbricazione e realizzazione di un telos risiede anche il pensiero produttivo e industriale del capitalismo moderno. Non si può disconoscere che il movimento industriale e postindustriale si basi ancora oggi su questa esaltazione della ragione strumentale, su quella filosofia della storia, sulla logica di sfruttamento, prima ancora che degli uomini, della natura stessa. Infatti il capitalista vuole arricchirsi, e gli uomini non sono che un mezzo per sfruttare quella natura che permette l’arricchimento. Che gli importa a lui dell’umanità? Dategli delle nuove tecnologie e cesserà di utilizzare la forza lavoro umana, così come gli schiavi in America non furono certo liberati dalla bontà di alcuni filantropi ma dal maggior costo della loro forza-lavoro rispetto all’utilizzo delle macchine.

Dunque, chi guarda e crede al futuro, indifferentemente può giudicare le azioni del passato; può credere che la storia abbia un senso; insegni veramente qualcosa. Essa è pensata sempre come una serie di eventi lineari e causali. Se si legge la seconda inattuale di Nietzsche ripresa magistralmente da Foucault, si comprenderà che il filosofo tedesco non voleva liberarsi del tutto della storia ma selezionarla sulla base dei problemi attuali, contingenti e presenti. La storia è maestra di vita nella misura in cui si sia disposti a raccogliere pezzi del passato come in un sacco pieno di vecchia roba e porla sul tavolo del presente e interrogarsi circa le scelte da compiere oggi. La storia non è altro che una serie di frammenti, un bricolage di cui difficilmente sarà compresa la direzione.

Compito dello storico è il semplice uso di un esercizio sulla base di quello che ci serve oggi. Ma non è utilitarismo, è pragmatismo. La storia culturale si modifica lentamente e molti continuano a pensare come gli uomini di cento o duecento anni fa; è difficile supporre che gli eventi storici passati possano indicarci la direzione futura; anche perché alcuni tirano da una parte, altri dall’altra. Chi poteva immaginarsi, qualche anno prima che accadessero, la Rivoluzione americana o francese? Chi poteva prevedere l’avvento del nazismo? Dato che siamo nel campo dell’esperienza umana solo a posteriori, insegna Hume, comprenderemo gli eventi.

Eppure ancora oggi il neoplatonismo gnostico pervade alcune coscienze come se la necessità estetica anche nel campo dell’agire storico fosse presente, come se ci fosse una missione da compiere, un disegno provvidenziale da seguire; come se una memoria fosse più bella e giusta di un’altra. Ecco che ora, nel fervore ecologico, stavo per dire ideologico, ognuno rintraccia i “giusti antenati”, che diventano di nuovo, i nuovi dei della terra, che ciascuno potrà venerare. Meglio sarebbe invece muoversi, nel presente, agire immediatamente senza dovere chiedere legittimità alla storia: che ci importa a noi del giusto, del vero o del bello, del passato? Quello che conta è la sanità.

Non vogliamo salvare la natura perché la consideriamo sacra o creata da Dio, ma perché semplicemente, inquinandola o distruggendola, mettiamo a rischio noi stessi, i nostri figli, e i nostri nipoti. Ma statene certi: qualcuno non vedrà il pericolo, altri diranno che delle generazioni future non gliene importa niente; altri ancora non vorranno perdere le proprie ricchezze. La battaglia è aperta, la storia è qui e ora, in fieri, il futuro incerto, ogni decisione, come insegna la storia stessa, se la si legge per quello che è, e cioè un intreccio mortale di possibilità negate, può cambiare le sorti del genere umano; ma ognuno oggi assumerà la sua posizione, penserà diversamente. Chiamate questo relativismo? Io lo chiamo prospettivismo. Gli interessi sono tanti e non troveremo mai un ac-cordo e un ri-cordo condiviso.

Tuttavia non abbiamo più tempo. Di fronte alla catastrofe siamo qui ancora a discettare se trovare una memoria condivisa che dia senso al nostro destino. Siamo come coloro i quali si trovano su una barca che sta affondando e invece di collaborare per riparare la falla, continuano ancora a discutere verso quale meta dirigersi. Il momento è cruciale e eccezionale, non come è stato nel passato in cui si poteva ancora sperare che l’umanità si sarebbe emancipata. Il tempo (e con esso la storia, almeno quella degli uomini) sta per scadere.