L’archivio impossibile di Fischli & Weiss
Enrico Camprini
Peter Fischli and David Weiss, Visible World, 1995/6 (detail), 15 light tables with 3000 transparencies. Each transparency: 5 × 7 cm. Overall length of 15 tables: 28m. Copyright Peter Fischli David Weiss, Zurich 2022. Installation View Dream On, Hellenic Parliament + NEON. Photography © Natalia Tsoukala, Courtesy NEON

29.10.2022

Un mese fa circa, ad Atene, al termine di una torrida e climaticamente poco rassicurante estate, ho colto l’occasione per visitare una mostra nella vecchia manifattura tabacchi della città. Spazi ampi e affascinanti riconvertiti a sede espositiva, come del resto è accaduto in Italia con quelli di Firenze, omologhi per struttura e vocazione, ormai stabilmente polo per l’arte contemporanea. Sulla mostra in sé – intitolata Dream On – non intendo soffermarmi: un espediente intelligente per mettere assieme alcune acquisizioni di un’importante collezione e restituirle al pubblico con una certa organicità. Tra le opere esposte ce n’era però una in particolare – Visible World (Sichtbare Welt) di Fischli & Weiss – che giustifica queste mie brevi battute, quantomeno per il suo rilievo qualitativo e perché, fatto sicuramente meno importante, finalmente l’ho potuta vedere dal vivo.

Serie eterogenea più che singolo lavoro, l’opera è stata sviluppata dal 1987 al 2012 come archivio e display fotografico monumentale messo in scena in differenti modalità. La sua versione più famosa ed efficace è proprio quella fotografica, più essenziale e, in chiave mediale, aderente al progetto Visible World per come è stato concepito. Disposte in ordine rigoroso su una quindicina di tavoli retroilluminati, circa 3000 piccole fotografie compongono un percorso longitudinale che richiede allo spettatore – è, in effetti, quanto traspare a una prima visione dal vivo – un certo sforzo, invocando la necessità, più o meno apparente, di una fruizione lenta e riflessiva. Vale tuttavia anche l’effetto contrario: Visible World è un lavoro a tratti respingente, e non tanto per l’enorme quantità di immagini che sollecitano il nostro sguardo, né per una loro presunta densità e complessità sul piano del significato. È, ad ogni modo, proprio al livello del contenuto che si manifesta il carattere “difficile” dell’opera, la sua forza ambigua capace, ad un tempo, di attrarre e respingere l’osservatore; La sterminata serie di fotografie in questione, infatti, altro non è che una paradossale, e per certi versi romantica, celebrazione della piattezza del reale. O meglio della sua messa in scena: destinazioni turistiche come spiagge e località montane, zone residenziali cittadine, infrastrutture, aeroporti, ogni singola immagine non fa trasparire nulla se non la sensazione familiare di qualcosa di già visto e conosciuto, di inevitabilmente poco interessante che riesce tuttavia, per qualche misteriosa ragione, a porre delle questioni.

Peter Fischli and David Weiss, Visible World, 1995/6, 15 light tables with 3000 transparencies. Each transparency: 5 × 7 cm. Overall length of 15 tables: 28 m. Copyright Peter Fischli David Weiss, Zurich 2022. Installation View Dream On, Hellenic Parliament + NEON. Photography © Natalia Tsoukala, Courtesy NEON

Visivamente, la serie di fotografie ammicca senza indugi a un’estetica da cartolina, da depliant pubblicitario, dove la condizione indicale dell’immagine pare appiattirsi se non addirittura annullarsi. Qui risiede il paradosso di fondo dell’opera, cioè le ragioni della sua efficacia: nella sua standardizzazione, la serie di immagini rimuove e al tempo stesso conferma un principio di autorialità. Da un lato, essa si riduce a sequenza infinita di simulacri capace di mettere in secondo piano referenti effettivi e, come correlato, la presenza tangibile dell’artista nell’opera; dall’altro – Fischli & Weiss lo lasciano ben intendere – ciò che è davvero tangibile è l’intenzione di rendere conto della messa in scena di un caos organizzato. Operazione, quest’ultima, che eleva l’importanza della figura dell’autore proprio alimentando il paradosso della sua sparizione. Le quasi 3000 fotografie sono state scattate dagli artisti durante viaggi o semplici momenti di osservazione nel corso di oltre due decenni, ricalcando con precisione la piattezza di un’estetica meramente pubblicitaria, e concependo l’opera Visible World come una sorta di archivio impossibile. Del resto, è il titolo stesso a svolgere con chiarezza il ruolo di manifesto, lasciando trasparire l’obiettivo di voler classificare, o quantomeno fare il punto, su ciò che esiste “là fuori”.

La struttura del lavoro e la sua messa in scena scomodano predecessori illustri. Non si può non pensare all’atlante Mnemosyne di Aby Warburg, padre degli odierni studi sulle immagini, e soprattutto all’Atlas di Gerhard Richter. Il progetto del duo svizzero, tuttavia, si distanzia profondamente da quello del grande artista tedesco per una ragione in particolare: l’assenza di un sistema effettivo di classificazione. Per Fischli & Weiss, classificazione e interpretazione non vanno di pari passo; i due non seguono motivi iconografici, bensì riportano una sorta di diario di bordo di percorsi spesso casuali, così come i soggetti delle immagini, costruendo una narrazione – intima e generica al tempo stesso – anziché una costellazione. Un anti-atlante, quello concepito dai due artisti, in cui è dunque l’ambivalenza ad attivare la forza significativa delle immagini. Immagini da cartolina, ma installate su supporti retroilluminati che fanno pensare alla necessità di uno sguardo analitico; immagini spersonalizzate, eppure scattate dagli artisti e accuratamente selezionate; immagini che sembrano celebrare il mondo visibile, lasciando però trasparire che si tratta di un mondo a buon mercato.

Come tanti lavori di Peter Fischli e David Weiss, Visible World è un’opera colma, anche se forse involontariamente, di ironia, qualità comune solo ai grandi artisti. Ad ogni modo, c’è un ultimo elemento da aggiungere che, seppur aneddotico, mi pare importante. L’”archivio impossibile” – per citare il titolo di un libro di Cristina Baldacci – ideato dal duo svizzero ci accompagna per tre decenni fino all’inizio del nostro secolo, di cui pare simboleggiare alcuni tratti. Dà forma brillante e ironica al concetto di “morte dell’autore”, evoca le questioni dell’archivio e della referenzialità dell’immagine, ci restituisce in forma profondamente innovativa il motivo della griglia: topos per eccellenza degli ambienti mediali contemporanei, popolato da sequenze di immagini alle volte randomiche, alle volte organizzate, quasi sempre simulacrali.