La rivolta della società prima, durante e dopo la pandemia
Elia Zaru

03.06.2021

La percezione comune sembra considerare l’esistenza di una cesura tra ciò che c’è stato prima del COVID-19 e la diffusione contagiosa di quest’ultimo nella popolazione umana. Ora che i mesi più duri della pandemia sembrano (condizionale d’obbligo) alle spalle, lo sprazzo che si intravede permette di riannodare il filo di alcune riflessioni che la comparsa del virus aveva, nei mesi passati, congelato. In altre parole, sembra possibile una riconnessione con il “prima” che permetta, anche se in modo embrionale, di cogliere continuità nella discontinuità, e di riconsegnare così alla temporalità della storia umana quella pluralità senza la quale quest’ultima si trasforma in semplice cronologia.

Proprio a questo scopo è utile ritornare a un’opera pubblicata appena prima della crisi pandemica. Con La rivolta della società. L’Italia dal 1989 a oggi (Laterza, 2020) Francesco Tuccari analizza i cambiamenti radicali che hanno investito il paese negli ultimi trent’anni. La transizione dalla Prima alla cosiddetta Terza Repubblica viene indagata su molteplici piani e tramite una lente complessa che è in grado di inquadrare le vicende italiane in un contesto più largo, che considera il quadro trans-statuale entro cui l’Italia è compresa (operazione non sempre scontata quando si tratta di analisi di questo tipo).

Tuccari recupera sul piano del metodo la lezione di Karl Polanyi, ma ne “aggiorna” (per così dire) il contenuto affinché aderisca a un contesto giocoforza differente rispetto a quello osservato dall’autore di The Great Transformation. È a partire dalla tensione prodotta dalle forze del mercato capitalistico che si sviluppa quel “doppio movimento” che stringe la società tra sussunzione e protezione, originando così le sue crisi, le sue rivolte e i tentativi politici di rivendicare una sua difesa. Rispetto alle analisi di Polanyi, tuttavia, oggi l’elemento di novità rappresentato dal grado di globalizzazione raggiunto nel mondo produce una tensione ulteriore, che si scarica sulla sovranità degli Stati-nazione e rende sempre più difficili e vani i loro tentativi di “difendere la società”.

Questa incapacità statuale libera una dialettica tra ordinamento e disgregazione, tra globale e locale tale per cui al movimento di “ricomposizione locale” – la «corsa velleitaria e spesso molto pericolosa alle “piccole patrie”» (p. 22)1 – corrisponde dall’altra parte un processo «di segno contrario» quale «la formazione e il consolidamento di grandi organizzazioni transnazionali e sovra-statali» (p. 22), a cui va aggiunta «l’affermazione del predominio capillare e sempre più difficilmente aggirabile delle grandi reti dell’economia e della finanza mondiali» (p. 22).

È all’interno di questo complicato intreccio tra «sovranità concorrenti», in cui «la via per la “difesa della società” ad opera della politica si è fatta […] stretta e tortuosa» (p. 23), che Tuccari inserisce la storia italiana, osservandola alla luce delle dinamiche infra e trans-statuali che la attraversano. Il quadro che ne esce ha al suo centro «l’urto prima strisciante e poi frontale tra le forze cieche e sempre più prepotenti della globalizzazione, in particolare del mercato e dell’economia globali, e un paese messo progressivamente in ginocchio dai suoi effetti destabilizzanti» (p. 7). Da questo scontro, prosegue l’autore, nasce la “rivolta della società” che, negli ultimi anni, ha ingrossato le fila dei populismi, in Italia come altrove.

Alla luce dell’urto triangolare tra società, mercato e politica (e sua frantumazione) nell’incedere del processo di globalizzazione, Tuccari analizza dapprima la storia della caduta della “Prima Repubblica” tra il 1989 e il 1994 e, con il suo crollo, la fine della capacità di mediazione politica degli organi intermedi (soprattutto i partiti). In secondo luogo, l’autore si concentra sull’ascesa della “Seconda Repubblica” tra il 1994 e il 2013, e sul modo in cui in essa si sono riprodotti i germi del «leaderismo populistico-plebiscitario» in una società conscia della «strutturale incapacità delle forze politiche di volta in volta al governo di “difenderla” dalle sfide dell’interdipendenza e del mondo globale» (p. 7).

Infine, l’ultima parte del libro è dedicata a quanto accaduto tra il 2013 e il 2019, anni segnati dal dispiegarsi delle conseguenze della Grande Recessione post 2008 e dall’esplosione – speculare e interrelata – della “reazione populista” (la cui massima espressione sono state, secondo l’autore, le elezioni del 2018). In conclusione, Tuccari riporta in primo piano la complessità dei processi con cui si confronta la contemporaneità, e afferma l’impossibilità di una concreta “difesa della società” all’altezza dello Stato-nazione: fintanto che questo sarà il piano in cui verranno declinati i tentativi di reazione alla pervasività del mercato capitalistico globale, nessun populismo – più o meno reazionario, più o meno progressista – sarà in grado di andare oltre un’effimera e formale affermazione elettorale, che nulla potrà sul piano della sostanza e dell’inversione dei rapporti di forza.

Tra i meriti del libro, spicca la capacità di Tuccari di tenersi lontano tanto da derive sovraniste, quanto da “globalismi tecnocratici”. La “rivolta della società” origina da una mancanza. La scoperta (e il dolore) della sua vulnerabilità rispetto al mercato portano la società alla richiesta di una “difesa” da parte di una politica che, tuttavia, appare sempre più frantumata in queste due direzioni: localismo esasperato e populista da una parte, globalismo tecnocratico dall’altra. La capacità di evitare la chiusura nel vicolo cieco dell’alternativa netta tra queste due dimensioni cogliendone, invece, l’intreccio e la tensione è ciò che caratterizza la complessità dell’analisi di Tuccari (emblematico, a questo proposito, il capitolo dedicato allo “choc migratorio”).

Proprio questa complessità permette a La rivolta della società di sfondare il muro della pandemia, ed evitare così che gli stimoli che il libro fornisce vengano relegati al “mondo di prima”. L’ulteriore crisi vissuta dall’Italia e dal mondo intero a partire dal febbraio 2020, infatti, ha manifestato per certi versi le caratteristiche che Tuccari descrive. I tagli alla spesa pubblica che hanno ridotto posti letto e personale sanitario, chiuso gli ospedali, demolito la sanità territoriale ecc. altro non sono che l’epifenomeno della (deliberata) rinuncia politica a quel ruolo di “difesa” di una società che si è trovata investita da un virus letale. Essi rappresentano la concretezza di quelle «forze impersonali e invisibili» (e, tuttavia, in grado di personificarsi) che «agiscono attraverso una miriade di canali e non devono rispondere a nessuno se non a loro stesse» (e a chi investe nei loro prodotti finanziari), e che «hanno per lo più l’aspetto post-umano di pacchetti azionari, fondi pensione e transazioni finanziarie gestite indipendentemente da una miriade di piccoli e grandi brokers e complicatissimi algoritmi in frenetico movimento su scala planetaria» (p. 88).

La crisi pandemica, in altre parole, rappresenta un nuovo capitolo di quell’urto tra le «forze cieche del mercato e dell’economia globali» e una società sempre più precaria, materialmente ed emotivamente. Non a caso, sul piano politico-sociale la reazione al contagio ha seguito in qualche modo lo schema presentato da Tuccari, e ha oscillato tra l’approccio “leaderistico” (e a tratti paternalista) del secondo governo Conte e il “tecnicismo” del governo Draghi. Ma, come la situazione pre-pandemica ha dimostrato e come Tuccari mette in luce, entrambi i poli di questa oscillazione presentano problematiche di rilievo: «dopo dieci anni interminabili di crisi», a cui si somma un anno e mezzo di pandemia, «il bisogno di una più autentica ed efficace “difesa della società” è sempre più sentito e potente, e al tempo stesso sempre più difficile da soddisfare» (p. 88).

La crisi pandemica ha portato in primo piano l’importanza della “cura”. Se la politica vorrà evitare che nel contesto post-COVID «la “rivolta della società” assuma tratti davvero distruttivi» (p. 93) dovrà, con tutta probabilità, affrontare la questione della “cura” della società a partire dai suoi bisogni reali, tralasciando sia le cifre impersonali di cui si nutre la tecnica, sia le personalizzazioni identitarie su cui si fonda il populismo.

1 I numeri di pagina si riferiscono all’edizione digitale del libro.