La letteratura, l'arte e l'impegno: a partire da Walter Siti
Stefano Righetti

30.04.2021

In un bell’articolo apparso sul Domani di domenica 25 aprile, Walter Siti denuncia il modo in cui la letteratura è stata assunta (e potremmo forse dire ridefinita, nel ruolo come nella forma) dall’industria culturale degli ultimi anni. Il tema del rapporto tra arte e cultura di massa non è certo nuovo, ma che quello che Siti evidenzia nel suo articolo è un fatto che sembra incontrovertibile: ciò che oggi si intende comunemente con la parola arte e, nello specifico, con la parola letteratura è un prodotto che mostra ormai un cambiamento essenziale rispetto a ciò che definiva "tradizionalmente" (qui il termine ha un valore specifico) un testo letterario. Poiché il tema riguarda il rapporto tra l’arte e il pubblico che le forme artistiche selezionano, e a cui si rivolgono, vale la pena riprendere le parole di Siti.

Siti sottolinea due tratti caratteristici della letteratura corrente: due aspetti che si mostrano tra loro intrecciati e conseguenti. Provo a rovesciare l’ordine di presentazione in cui Siti li indica, perché questo rende la sua critica ancora più evidente. Il primo aspetto riguarda la letteratura in quanto prodotto artistico. Ciò che chiamiamo oggi letteratura e che viene venduto (nonché pubblicizzato) come tale si presenta, rispetto al significato che la letteratura ha assunto nella tradizione degli studi e della scrittura letteraria, con una generale noncuranza per la "ricerca stilistica" e le forme espressive del linguaggio.

Le forme artistiche di scrittura (uso questa formula nella consapevolezza della sua ambiguità) erano ciò che definiva fino a pochi decenni fa, all’interno di un pubblico particolare, che aveva gli strumenti per comprendere e apprezzare questo tipo di scrittura, il luogo di un’alterità specifica. Questa alterità definiva in parte (ma non necessariamente) anche una differenza da quello che si chiamava il sentire comune, dai valori della morale o dai modi codificati del vivere. Ma, soprattutto, il linguaggio letterario costituiva un’alterità dalle forme discorsive che, in modo automatico o irriflesso, appartengono all’uso corrente del linguaggio, nel quale si definiscono e si diffondono, allo stesso tempo, i valori "dominanti" della contemporanea società di massa.

Tornerò più avanti su questo aspetto. Dobbiamo intanto aggiungere che questa alterità, rappresentata dal linguaggio letterario, è qualcosa che non riguarda soltanto le forme più estreme di sperimentalismo, come sono state le avanguardie. Il problema della lingua, della ricerca stilistica e formale riguarda la letteratura, possiamo dire, fin dalla sua origine come l’aspetto essenziale del lavoro letterario. La stessa Commedia di Dante non avrebbe potuto prendere forma se non attraverso questa riflessione che, come sappiamo, Dante ha a sua volta affrontato, insieme a altri, nel momento in cui cominciava a costituirsi un linguaggio scritto volgare. Ma, come sottolinea Siti, questo tipo di attenzione al linguaggio, nei prodotti di quella che chiamiamo oggi letteratura, sembra per lo più scomparso.

Questa scomparsa implica certamente una novità. Rende evidente un mutamento del prodotto letterario in sé, e esprime allo stesso tempo una novità rispetto al pubblico contemporaneo della letteratura. I mutamenti delle forme e del linguaggio, sia di quello parlato che di quello letterario, come ci direbbe Auerbach, e come Riegl ci ha fatto notare per l’arte, hanno sempre seguito nella storia i mutamenti e i rivolgimenti politici e sociali. E lo stesso sembra avvenire oggi. Ed è questa consapevolezza a dare ulteriore significato al testo di Siti: "Dal 1989 la Storia (data per morta) si è rimessa a correre [...]. Gli scrittori si sono sentiti presi in contropiede, si sono vergognati del loro precedente formalismo e hanno reagito con un ostentato disprezzo per la cultura stilistica: in trincea non stai a vedere come sei pettinato" (W. Siti, La letteratura non deve essere per forza dalla parte giusta, Domani, 25 aprile 2021).

In questo nuovo contesto, gli scrittori hanno anteposto allo stile la necessità di prendere una posizione su alcune tematiche sociali e politiche, incoraggiati in questo dallo stesso mercato editoriale e dei media. Ne è derivato così, come denuncia Siti, "un contenutismo orientato sulla cronaca quanto angusto, con temi che non è difficile elencare: migranti, vari tipi di diversità, malattie rare, orgoglio femminile, olocausto, bambini in guerra, insegnanti eroici, giornalisti o avvocati in lotta col potere, criminalità organizzata, minoranze etniche".

Questo prodotto culturale, votato a quello che Siti definisce un "neo-impegno", ha però finito per incorrere in una serie di inciampi: quello di dare luogo a una ritrattistica spesso stereotipata della differenza, del tutto artificiosa riguardo alle questioni sociali che dovrebbe rappresentare; declinata in un sentimentalismo o in un’estetismo altrettanto kitsch della violenza, che rende ininfluente anche il piano della critica politica che alcuni di questi prodotti vorrebbero esprimere. Il tutto (e torniamo al punto precedente) declinato in un linguaggio medio editoriale che elimina, inibisce e attenua (e probabilmente scoraggia) ogni ricerca formale e differenza linguistica (quella, per intendersi, che tanto aveva ossessionato le neo-avanguardie come il Pasolini di Petrolio) facendo prevalere al suo posto un linguaggio immediato, funzionale a una veloce lettura di intrattenimento.

Questa rappresentazione della differenza fondata su contenuti stereotipati porta con sé un rischio ulteriore, come ricorda Siti: quello di una semplificazione generalizzata, risultato di un "engagement che mi pare sostanzialmente dimidiato e perfino controproducente". Poiché i problemi e la loro percezione da parte del pubblico non si danno mai negli stessi termini all’interno dei diversi periodi storici, l’impegno sociale e politico di un testo letterario rischia di rimanere confinato al tempo editoriale della sua pubblicazione, o poco più. Siti fa l’esempio de La capanna dello zio Tom di Harriet Beecher Stowe, libro che quando uscì fu accolto come bandiera della lotta al razzismo ma che al lettore di oggi mostra invece le sue evidenti ambiguità, che sono però nascoste innanzitutto nel suo linguaggio.

Vecchia sapienza dello strutturalismo: se demandiamo la differenza a quelli che chiamiamo "i contenuti", il linguaggio medio corrente con i quali questi sono espressi rischiano di rovinare l’intento facendo apparire proprio ciò che si voleva contestare. L’intento anti-razzista dello zio Tom può infatti risultare appannato al lettore di oggi, che ragiona all’interno di altri riferimenti culturali, grazie ai quali la consapevolezza su certi temi è divenuta nel frattempo più netta e ha saputo affermarsi anche sul piano della critica all’ideologia. Viceversa, ricorda Siti, Tolstoj rimane grande anche "quando scriveva sillabari per gli scolaretti".

La letteratura che rinuncia alla ricerca stilistica rischia di cancellare la differenza mentre pretende di farne l’oggetto della propria narrazione. Fa dell’arte la ripetizione del medesimo facendoci credere che il linguaggio possa essere un veicolo neutro e uniforme. Eppure, come ci hanno insegnato i post-strutturalisti, non può esserci affermazione della differenza che non sia al tempo stesso critica all’ideologia del discorso e alla sua "polizia interna" – come scriveva Foucault. L’inquieta consapevolezza che ogni discorso pone da sé il proprio contenuto, indipendentemente da ciò che crediamo di far dire al linguaggio: è su questo fondo scuro che scruta da sempre la letteratura.

Per emanciparsi dalle regole del discorso, dalla loro imposizione di senso e dal loro dire anonimo, i buoni sentimenti (o le buone intenzioni) non bastano, come Siti ricorda, e non garantiscono certo della qualità letteraria di un testo. E men che meno, possiamo aggiungere, questo valore può essere garantito dal numero di amanti necessario affinché un commissario di polizia possa diventare il passatempo preferito di un lettore, o dall’estetismo esotico del camorrista medio, divenuto così di moda nel lettore contemporaneo "impegnato".