La figura dell’autore ai tempi del graphic novel - 1
Emilio Varrà
Hamelin Associazione Culturale

10.04.2021

Quando più di quindici anni fa ci trovammo a presentare la prima edizione di BilBOlbul, neonato festival di fumetto a Bologna, uno dei segnali che desideravamo lanciare con più forza era ribadire la centralità dell’autore, il desiderio di dare spazio alla sua voce e alla sua opera. Prevalevano ancora in questo settore manifestazioni di carattere più fieristico che festivaliero e il manifesto che le promuoveva era, classicamente, una folla di icone tratte dalla storia e dalla contemporaneità fumettistica. Serviva da una parte a catturare con la sua riconoscibilità pop un pubblico di curiosi, dall’altra a interessare l’occhio degli appassionati, filologi provetti nel riconoscere gli stilemi dell’autore di turno nella reinterpretazione di personaggi celebri. BilBOlbul, ma non solo, mirava invece a spostare l’asse dell’attenzione dal personaggio all’autore, alla sua poetica, al suo immaginario e al suo stile.

Dichiarare oggi una cosa simile farebbe davvero sorridere e non per una perdita di validità del discorso, ma perché questo processo si può davvero compiuto. Uno degli effetti più eclatanti dell’affermazione del graphic novel è stato proprio quello di porre la figura dell’autore al centro, non solo nella conoscenza di lettori abituali ma a livello di immaginario comune. Se proviamo a comparare il comportamento di un lettore o una lettrice assolutamente neofita che desidera affacciarsi al mondo dei comics oggi rispetto a venti anni fa ci accorgeremmo di almeno due grandi differenze: andrebbe a cercare il suo acquisto in una libreria e non più in un’edicola o in una fumetteria; chiederebbe il volume citando il nome di un autore o di un’autrice o al massimo cercando di spiegare quale tipo di storia cerca. Il personaggio non è più una coordinata di orientamento.

Questo nuovo posizionamento della figura dell’autore, specifico per la storia del fumetto, si interseca con trasformazioni più trasversali che riguardano l’arte e la cultura tutta, la sua funzione e il sistema di relazioni con altri settori della società, dell’esperienza e dell’immaginario. Suona banale, ma rimane necessario ricordare che è sempre più difficile districare processo e prodotto artistico dalla sua comunicabilità. Non si tratta certo di cantare la nostalgia di una visione dell’arte non ancora compromessa da meccanismi economici, chimera mai esistita (e per fortuna), ché altrimenti l’arte non sarebbe parte attiva della comunità e delle pratiche sociali. Ma da anni viviamo in un contesto in cui il peso economico si è spostato di molto dall’esito creativo al processo, che sempre più deve essere pubblico, raccontato, comunicato appunto.

Una mutazione che porta inevitabilmente l’autore a sollecitazioni e a una esposizione diversa ed è necessario inserire le trasformazioni del graphic novel cui facevamo riferimento all’interno di tale contesto. Questa nuova centralità comporta anche una moltiplicazione di funzioni e un aggravio di lavoro per chi crea e tanto più per un autore di fumetti che lavora con le immagini, quindi con un mezzo naturalmente connesso alla visibilità. Non si tratta solo di mettersi a disposizione per un tour di presentazioni a libro finito, spesso in un numero davvero ingiustificato se confrontato agli esiti di vendita per ognuna di queste occasioni, ma di promuovere se stessi in ogni fase della lavorazione.

Non è un caso, ad esempio, se alcune firme che si sono imposte all’attenzione di un pubblico vasto hanno iniziato il loro lavoro attraverso il web e un dialogo quasi quotidiano con lettori e lettrici. E capita sempre più spesso, di sentire editori che valutano l’opportunità di pubblicare autori o autrici esordienti anche in base alla loro progettualità di marketing rispetto all’opera che stanno
proponendo. La promozione di sé diventa parte integrante della professionalità e, cosa più preoccupante dal punto di vista pedagogico, è presenza ingombrante anche durante il processo di formazione, che più di tutti dovrebbe ancora godere di una sua separatezza, volta a capire chi si è prima che a come offrirsi.

Non si deve dimenticare, d’altra parte, che l’affermazione del romanzo a fumetti in Italia (ma non solo) è avvenuto attraverso racconti autobiografici e che è attraverso una autorappresentazione che si è via via affermato anche quello che ormai siamo abituati a chiamare graphic journalism: se Maus di Spiegelman è stato il primo grande “caso”, Persepolis di Marjane Satrapi o Palestina di Joe Sacco non avrebbero avuto lo stesso impatto senza mettere sulla scena se stessi nella veste di personaggio, utile a creare – attraverso topoi tradizionalmente di margine come il bambino e lo straniero - un ponte di identificazione e di empatia con lettori altrimenti troppo distanti dagli scenari o gli eventi storici raccontati.

Se pensiamo ai nomi italiani che sono riusciti a imporsi in un mercato e in un immaginario davvero diffuso negli scorsi anni, e alludo a Gipi a Zerocalcare a FumettiBrutti, la rappresentazione, per quanto finzionale, del sé è stata fondamentale nel
costruire un’adesione e un rapporto con il pubblico. Ma su questo torneremo. Rimane da accennare, in questa rapida considerazione sul riposizionamento della figura dell’autore nella cultura del fumetto contemporaneo, a un ulteriore fenomeno che ha avuto negli scorsi anni un certo peso e che sembra oggi meno significativo.

Faccio riferimento all’autoproduzione, ovvero ad autori – e spesso a collettivi – che decidono di porsi autonomamente sul mercato, senza cercare il tramite e la certificazione di un marchio editoriale. Non certo una novità, l’autoproduzione si era caratterizzata fino a tutti gli anni Novanta come una via non solo autonoma ma anche antagonista ai normali circuiti editoriali e distributivi. Non ha questa impronta ideologica invece il fenomeno che si sviluppa nel nuovo millennio e che dà vita a pubblicazioni esteticamente lontane dai canoni undeground e che spesso per cura, formati, contenuti difficilmente possono essere distinte dalle altre, se non per una rivendicazione identitaria nella gestione di tutte le fasi di lavorazione di un libro: la selezione di autori e autrici coinvolti, la cura editoriale e la stampa, la distribuzione e la vendita, il rapporto con il pubblico. L’identificazione dell’autore con il processo e il prodotto veniva così sancito con assoluta chiarezza.  (continua)