La “natura” è là, “fuori”, enorme, stupita, pacifica, vicina, fuori tiro.
Fernand Deligny, I bambini e il silenzio
Uscire dalla filosofia, fare non importa cosa, in modo da poterla produrre dal di fuori.
Gilles Deleuze, Claire Parnet, Conversazioni
Questo libro assume come punto di partenza alcune affermazioni di Gilles Deleuze, scritte da solo o insieme ad altri, in merito al compito della filosofia, che viene descritta come un’invenzione di concetti suscitata da un incontro con il sensibile. In questa prospettiva il lavoro del filosofo (o della filosofa) non è l’esercizio metodico e volontario della riflessione quanto la capacità di creare personaggi concettuali che possano rispondere alle domande, alle urgenze che arrivano alla filosofia da una dimensione extrafilosofica. Da questa affermazione, che descrive in modo convincente il lavoro dei due autori citati, ma anche quello di tutti i grandi pensatori, si possono trarre alcune conseguenze.
La prima è il fatto che la potenza creativa del pensiero è sempre animata da una dimensione extrafilosofica, un piano del sensibile che nella sua urgenza assume a volte dei tratti violenti o traumatici. A questa asserzione, apparentemente semplice da accettare, consegue il fatto, invece non proprio ben accolto dallo spirito dei nostri tempi, che la pratica filosofica propone non sagge meditazioni, bensì invenzioni spesso controintuitive, che sfidano il senso comune nella loro creatività. Ad animarla, un fuori sensibile che nella storia del pensiero è stato avvicinato attraverso molte figure, le quali, sebbene non siano sinonime tra loro, costituiscono però una costellazione: il caos, l’immanenza, la vita in sé, il sublime, il reale, l’eros. Questa descrizione dell’emergere del pensiero implica un’idea di soggettività che Félix Guattari ha definito patica: è infatti attraverso una rottura di senso, un evento che arriva, appunto, da fuori che si può generare un movimento di soggettivazione. L’idea di soggetto come processo ed esito dell’incontro con l’alterità trova in questo libro un alleato importante e nello stesso tempo problematico in un certo pensiero psicoanalitico, quello che descrive l’inconscio come risultato di un messaggio (enigmatico per chi lo riceve ma anche per chi lo trasmette) che arriva dall’esterno.
La seconda conseguenza è l’atmosfera che potremmo chiamare estetica in senso lato della filosofia, risultante prima di tutto dall’importanza dell’aistheton, del sensibile, per l’inizio del pensiero, ma anche dal fatto che il lavoro filosofico diviene una pratica risonante con le varie arti se la sua peculiarità è quella di inventare concetti, produrre nuove parole, o più spesso nuovi significati per parole antiche. Qui l’esperienza estetica non è intesa come esperienza di un insieme di oggetti separati e differenti dagli oggetti della nostra vita ordinaria, bensì come situazione qualitativamente differente, che può nascere nel contatto con l’arte o con la natura, e che è in grado di far emergere e mostrare – condensati ed evidenti – dei tratti tipici del nostro stare al mondo. In questo libro le considerazioni sull’arte, che sia visiva o letteraria, riguardano soprattutto la possibilità e la natura del contatto che le opere consentono di instaurare con questa dimensione.
La terza conseguenza è un uso nello stesso tempo manipolatorio e amicale della storia della filosofia, un uso che riprende i concetti ereditati dalla tradizione per trasformarli, cercando complici nell’impresa di rispondere alle domande che ci sollecitano, ma anche e soprattutto ci tormentano. E li cerca tra i pensatori con cui sente di avere una causa in comune, con l’intento però di tradirli, di trasformarne e distorcerne il pensiero in una singolare fedele infedeltà, e addirittura a volte, come scrive lo stesso Deleuze nella sua famosa lettera a Michel Cressole, critico severo, di “fargli fare figli mostruosi”. Questo libro non vuole nascondere infatti un certo gusto nell’andare a cercare complici in luoghi a volte inaspettati della storia del pensiero, fuori strada o fuori mano, allargando alcune crepe magari solo accennate e riprendendo vie al tempo abbandonate, attuando quella che Walter Benjamin avrebbe definito una “vendetta sul passato”. Andando a cercare ciò che si è perso lungo il percorso per offrirgli un’altra possibilità, una vendetta, appunto, contro l’esito che a suo tempo si è rivelato vincente.
I capitoli di questo libro seguono le differenti direzioni che ho appena elencato, accostandovisi da vari lati, prendendo in prestito e riattivando concetti elaborati da differenti autori, in un momento storico in cui il fuori appare più che mai traumatico e rispetto al quale sembra più che mai necessaria una risposta critica e nello stesso tempo creativa. La prima parte affronta quindi il tema del rapporto tra filosofia e sensibile, evidenziandone la vitalità ma non tralasciando il pericolo di un contatto con la dimensione caotica del divenire e con la contingenza degli incontri inaspettati che arrivano dal reale, anzi lo costituiscono. Nella seconda parte il fuori, oltre che come sollecitazione necessaria al pensiero, viene descritto come emersione di forze pulsionali, piacere doloroso descritto in un confronto con la classica categoria di sublime. La terza parte è dedicata più direttamente alla questione dell’oggetto estetico e dell’immagine, che in questo quadro acquistano però la forza di un fuori potente e per certi versi passivizzante rispetto a un soggetto assunto come esito degli incontri e delle relazioni. L’ultima parte prende le mosse dalle possibilità originali del linguaggio letterario per arrivare infine al valore collettivo ed istituente del discorso artistico e filosofico, fuori dall’arte e dalla filosofia.
In questi ultimi anni l’avverbio fuori ha a volte designato anche un luogo proibito, quando le circostanze, e i governi, invitavano a un ritiro verso l’interno, a una chiusura spaziale o sociale. Se la sfida al pensiero arrivata da un fuori che ci appare caotico e non addomesticabile ma anche desiderabile e vitale non si può lasciar cadere, di fronte alla inappropriatezza di ogni risposta immediata e meccanica si è tentata un’altra strada. Quella di girare attorno alla questione più classica, generale e inattuale possibile, cioè il rapporto tra il pensiero e le cose, tra l’umano e il mondo, facendo lavorare soltanto sottotraccia il tema della crisi socio-ambientale e l’esperienza della pandemia, temi che emergono esplicitamente solo di rado nel corso del libro, e che forse hanno operato più potentemente proprio quando sono stati taciuti.
Alla sfida del fuori si può reagire solo collettivamente, e i pensieri presenti in questo volume sono infatti l’esito di una lunga “enunciazione collettiva”. Ringrazio quindi non le singole persone ma i gruppi cui ho avuto la fortuna di partecipare in vari modi in questi ultimi anni, in “ordine di apparizione”: l’area di Estetica del Dipartimento di filosofia, comunicazione e spettacolo dell’Università di Roma Tre; le amiche e gli amici del Master Studi dell’ambiente e del territorio – Environmental Humanities; il gruppo lacaniano di via Corsi, esperimento concluso in pratica, ma non negli esiti di pensiero. Molti dei capitoli di questo libro sono apparsi in una forma embrionale o differente su diverse riviste, di queste iniziali e importanti occasioni di elaborazione ringrazio i vari direttori e curatori.