Ivana Spinelli, artista interdisciplinare
Carmen Lorenzetti

Goddesses and Warriors, mostra, conferenza e talk, Istorijų Namai, Museo Nazionale Lituano, Vilnius, 2021. Still da videointervista LRT-TV.

15.01.2022

Ivana Spinelli ha vinto la seconda edizione del Carol Rama di Fondazione Sardi per l’arte contemporanea ad Artissima 2021, un riconoscimento ambito che corona una carriera coerente, impegnata e interdisciplinare.

Originaria di Ascoli Piceno, l’artista ora vive e ha il suo studio a Bologna, dove la vado a visitare. Ci mettiamo a conversare nel piccolo spazio accogliente, occupato da un grande tavolo ricolmo di opere in fieri e circondato da tracce del lavoro dell’artista tra cui spiccano una grande tela con due figure femminili tratteggiate in mondo sintetico e un boa di piume rosa attorcigliato al ramo di un albero.

 Queste opere cha accompagnano da anni il percorso dell’artista, raccontano i suoi inizi caratterizzati da uno sguardo centrato sul corpo femminile che sta alla frontiera tra intimità e socialità, estetica e linguaggio e che poi si allarga al corpo sociale e antropologico con ricerche approfondite e un confronto costante con filosofi, pensatori e ricercatori.

L’artista articola la sua vicenda creativa in tre momenti basilari.

Il primo, Global Sisters (2005-2009), è un ragionamento sul corpo femminile come vettore segnico e politico, ricettacolo di conflitti esterni che si iscrivono nella carne delle figure. Il corpo viene disegnato al tratto in un libro d’artista, si moltiplica nelle diverse soluzioni di un apparato guerresco, appendice sottile e lieve di figure incappucciate e prive di volto, che richiamano gli stereotipi della guerra d’Oriente e d’Occidente.

Questi segni contribuiscono a costruire un’”estetica del terrore” che si sovrascrive su corpi ammiccanti pescati dal mondo glamour del mediale contemporaneo.

Il secondo è un progetto complesso intitolato MINIMUM (2016), che riflette sul salario minimo attraverso le leggi nazionali di lavoro in otto paesi del mondo produttori di manifattura per il Made in Italy (Cina, India, Indonesia, Turchia, Bangladesh, Marocco, Romania e naturalmente l’Italia per il settore del tessile).

I dati raccolti sono stati disposti in un grafico a torta, che – ad apertura del libro MINIMUM - descrive il rapporto tra salario minimo e livello di povertà di ciascun paese. Il progetto è stato ospitato in diverse mostre: alla GALLLERIAPIÙ di Bologna (2016), dove il grafico era disegnato su carta e collocato su una scultura polimaterica, su una sorta di zattera – in balia delle fluttuazioni del mercato del lavoro e delle relative condizioni di vita; al Museo Baracco di Roma (2017) invece i performer, sparsi nello spazio e sotto a stendardi colorati (CCNL Traduzioni_ stampa su telo sintetico, alluminio anodizzato), recitavano il contratto tessile italiano tradotto nelle varie lingue, traslando attraverso la voce il linguaggio burocratico in una sorta di melodia polifonica che s’insinuava nelle corde emotive dello spettatore aprendolo all’empatia e quindi alla solidarietà.

Il libro è corredato dai testi critici di Silvana Borutti sulla traduzione, un concetto centrale nella poetica dell’artista, qui adottato letteralmente e metaforicamente all’interno di un ampio sistema linguistico attraverso cui si iscrivono nel mondo corpi determinati da una pervasiva biopolitica di stampo foucaultiano.

Vi è poi il testo di Franco “Bifo” Berardi intitolato Superstizione sulla necessità della decrescita. Infine Matthias Reichelt scrive sul salario minimo (Marx, capitalismo, concorrenza tra lavoratori, delocalizzazione, immigrazione e made in Italy), a margine del progetto di Spinelli.

Nella mostra di Barcellona (Centre Cívic Can Felipa, 2021) il progetto si esplicava attraverso un questionario incentrato sulla domanda “vuoi un lavoro o un lavoretto?”, un efficace riferimento ad un mondo del lavoro sempre più precario, privo di tutele, fai-da-te, a volte piacevole e smart ma gratuito, immateriale o fisico, paradigmatico di una trasformazione antropologica epocale.

Minimum # L.O.L.,  installation view e spazio partecipativo, Centre Cívic Can Felipa, Barcellona, 2021. PH Marc Llibre.

Il terzo progetto deriva da una ricerca identitaria e poetica di Spinelli, che, ricostruendo la sua genealogia artistica personale a partire da Alighiero Boetti e Bruce Nauman e, dal lato femminile, di Cindy Sherman, Anna Wilke, Ana Mendieta, Valie Export, Maria Lai, è approdata alla scoperta dell’archeologa e linguista lituana Marija Gimbutas e dei suoi libri tra cui il fondamentale “Il linguaggio della dea nell’Europa Antica” (1974).

La studiosa ha analizzato la società e la cultura dell’Europa dell’Est pre-indoeuropea, risalente all’età neolitica (3500 anni fa), caratterizzata da un’organizzazione pacifica, una struttura matriarcale e una grande produzione di suppellettili decorate e statue soprattutto femminili.

I segni ricorrenti di tale civiltà sono stati adottati, fino a diventare quasi una sorta di scrittura automatica, da Ivana, che attraverso la ripetizione ha ricostruito una grafica mitologica.

L’idea di un mondo interconnesso, di una de-gerarchizzazione dei rapporti tra umani, animali e piante, di un’origine femminile, materna, armoniosa diventano i valori di una nuova poetica appassionata dell’artista. I segni vengono tradotti attraverso un esercizio giornaliero e trasmigrano in diversi supporti e forme estetiche: dalla carta alla scultura, dall’installazione al digitale, alle App, acquisiscono una valenza contemporanea e non sono più circoscritte nella lontananza di un mitologico passato, ma rivivono in una semiotica visiva portabile e portatile, in cui il corpo ritrova se stesso in una dimensione umana, pacifica, dialettica e ricuce la propria identità.

Contropelo, Installation view mostra e performance, GALLLERIAPIÙ, 2020. PH Stefano Maniero.

Proprio l’idea del cucire e del ricucire è centrale nella poetica di Ivana: trovare il filo (di un racconto), mostrare il rovescio di un abito, resistere a visioni totalizzanti e invece proporre una propria versione (anche qui l’etimologia aiuta) del mondo.

E insieme, ancora, la traduzione come concetto fondativo di una poetica della coesistenza, nella possibilità di un linguaggio dinamico e infintamente contestualizzabile, diventa un utensile utile per riallacciarsi alle infinite storie del vivente.

Prima di Natale ho partecipato ad una piacevole passeggiata dove Ivana conduceva un gruppo di appassionati a scoprire “i segni della dea” sparsi in cartelloni all’interno del tessuto connettivo della città. I zig zag che ritrovavamo ad ogni sosta, commentavano il nostro girovagare, e nello stesso tempo si innestavano nei racconti della città: a volte i zig zag interpretavano il mare, la profondità, la vita, altre volte erano invece i segnali della vulva e così via. All’interno del Cheap Festival, l’arte di Ivana si adattava al contesto e faceva transitare il proprio racconto mitopioetico aperto a tutti.

Oh my Goddess! Urban zig zag, public art, Cheapfestival, Bologna, 2021. PH Margherita Caprilli

Lungo la strada Ivana mi raccontava del suo recente viaggio in Lituania, dove era stata invitata in occasione dei festeggiamenti in onore dell’anniversario di Gimbutas.

L’artista ha tenuto una conferenza e ha inserito alcune delle sue opere nella mostra in onore della studiosa lituana. Il passato neolitico così circondava gli interventi contemporanei e ricostituiva il filo di un racconto possibile, una radice umana volta al femminile e ai suoi valori armonico-estetici di pace.

Letture ispiratrici per l’artista sono state Rosi Braidotti per la concezione olistica e organica di un mondo degerarchizzato e inclusivo ed Eva Cantarella e i suoi studi sulla discriminazione del genere nella civiltà greca. Tutto si coagula attorno al segno, che è disegno, ripetizione e, nel rapporto con il corpo da cui parte per esserne prolungamento, diventa energia, musica e danza.

L’elemento naturale inserito discretamente nei disegni-contenitore di Spinelli costruisce la metafora della possibilità di trovare un rifugio, un luogo dove essere protetti che diventa sistema inclusivo, che si oppone ad un sistema linguistico che invece nel definire, taglia ed esclude, gerarchizza il mondo all’interno di un sistema di potere dato come inalienabile.

La proposta dell’artista diventa quindi un potente antidoto allo statu quo, un modo di riscrivere “la storia contropelo” in maniera benjaminiana, una visione altra, una protofilosofia aperta alla ricerca e alla scoperta di tracce antiche e globali, utili anche e soprattutto oggi.

Mostre in corso

GODDESSES AND WARRIORS, House of Histories, Lietuvos Nationalinis Muziejus, Vilnius (Lt) 23.09.2021-13.03.2022

MINDBOMBS Visual Cultures of Political Violence, curated by Sebastian Baden, Kusthalle Mannheim (DE) 09/10/21 to 04/24/22