In memoria di Rudy Leonelli
Manlio Iofrida

18.11.2021

Il 17 ottobre, dopo una lunga e straziante malattia, è morto Rudy Leonelli, una figura importante dei movimenti bolognesi e un intellettuale che, a partire da quei movimenti, aveva svolto delle ricerche e un’attività che hanno avuto un respiro nazionale e internazionale.

Col tempo, e con l’accordo di Vincenza Perilli, la compagna della sua vita, spero che si potrà organizzare un momento di commemorazione ampio e approfondito su di lui; qui voglio solo esprimere qualche ricordo a caldo di quello che fu Rudy, del suo profilo umano e intellettuale.

La prima volta che ci incontrammo fu, nel 2005 o 2006, a Parigi, dove entrambi ci trovavamo per ricerche che riguardavano la filosofia francese; in qualche modo (i ricordi qui non sono precisi) avevamo saputo della nostra comune passione per Michel Foucault (su cui Rudy, in particolare, stava svolgendo una tesi di dottorato sotto la direzione di Étienne Balibar) e ci eravamo dati appuntamento a un caffè che dà sulla piazza del Centro Pompidou. Seduti al caffé ci rimanemmo poco, poiché a tutti e due piaceva parlare camminando; per circa due ore facemmo il giro della piazza del Pompidou, mentre Rudy, con un fraseggiare intenso, parlando, come faceva lui, quasi a mitraglia, mi sommergeva di mille spunti, riferimenti a documenti, ma soprattutto di ipotesi di ricerca e piste che riguardavano Foucault, ma specialmente il suo rapporto con Marx.

Dopo qualche anno questo argomento sarebbe diventato quasi un po’ di moda e avrebbe dato luogo a molte discussioni inutili e scolastico-accademiche, ma allora, e soprattutto come veniva fuori dall’eloquio di Rudy, era un tema nuovo e originale. Dopo due ore di giri e di colloquio fitto fitto ci lasciammo, impegnandoci a mantenere viva la nostra amicizia e collaborazione intellettuale.

Fu nei mesi successivi, quando eravamo tornati entrambi a Bologna, che cominciai a conoscere meglio Rudy e a mettere a fuoco il suo profilo, poiché egli mi portò alcuni saggi scritti molti anni prima, che collocavano la sua ricerca nel cuore dei movimenti bolognesi, e in particolare di quello del ‘77: la ricerca su Marx e Foucault che egli conduceva era una sorta di sublimazione di quella sua esperienza, di continuazione di essa su un altro piano e in un altra stagione storica.

Per me fu una doppia sorpresa, poiché del ‘77 bolognese, da Pisa, dove all’epoca vivevo e lavoravo, avevo avuto solo degli echi molto vaghi e distorti, e quando, nel 1993, ero approdato a Bologna, di esso erano rimaste attive delle frange assai poco significative, con l’eccezione di qualche figura ormai isolata.

Invece, in Rudy la militanza nell’Autonomia si era continuata in un percorso di originale ricerca intellettuale, che si accompagnava ancora, peraltro, a alcune forme di presenza politica, concentrate soprattutto sul tema dell’antifascismo (un tema su cui, ahimè, come sappiamo oggi, egli vedeva molto da lontano).

Ma la cosa più rilevante era il suo percorso di ricerca: in sostanza, la critica al marxismo ossificato, dogmatico e istituzionalizzato, che era stata tipica del movimenti del ‘77, aveva significato per Rudy incontrarsi con il pensiero di Michel Foucault.

A tutt’oggi, conoscendo un po’ il campo di militanti e studiosi che si collocano nella tradizione antiistituzionale e antidogmatica che, alla fine, ha la sua matrice nel ‘68, non posso non stupirmi della scelta di Rudy: in quell’area, infatti, le diffidenze verso l’autore di Storia della follia erano ben radicate; non si erano ben digerite le forti prese di posizione anticomuniste e anche antimarxiste che erano state specialmente del Foucault dei tardi anni Settanta; per non parlare di certe sue esitazioni e sopravvalutazioni a proposito del neoliberismo.

In queste frange, piuttosto si preferiva riprendere in modo dogmatico e oracolare la lezione di Althusser o contrapporre a Foucault il libertarismo ispirato alla Bohème del grande Gilles Deleuze. E invece il militante dell’autonomia Rudy Leonelli aveva trovato proprio in Michel Foucault il “suo” autore: frequentandolo, lavorandoci insieme, attraverso lunghe conversazioni, come la prima che avevamo avuto intorno al Pompidou (in particolare egli organizzò con Guglielmo Forni, che nel campo degli studi universitari ne è stato il vero e proprio maestro, un bellissimo convegno su Foucault e Marx, che lasciò una traccia importante nelle discussioni sull’argomento; ma anche dopo questa, numerose e quasi regolari furono le occasioni che avemmo e cercammo per collaborare), attraverso tutto questo ebbi per così dire una duplice illuminazione.

La prima riguardava la storia che stava dietro a Rudy, il movimento collettivo di cui egli era originale espressione, il ‘77; vi erano state in esso delle frange violente e inquietanti; ebbene, nulla di questo traspariva neppure minimamente nel profilo intellettuale e morale, e ancora meno nella persona di Rudy Leonelli: quel profilo e quella persona erano caratterizzate da tolleranza, dolcezza, ironia, apertura e curiosità, da un grande amore - per dire tutto questo in una parola - della libertà, quella individuale e quella collettiva, senza contraddizione fra esse.

Attraverso Rudy non emergeva del ‘77 un volto, o un rivolo in genere più sotterraneo, ma importante quanto gli altri più appariscenti? E questo rivolo non era quell’anarchismo endemico, fin dal tempo della loro soggezione al potere papalino, nelle terre romagnole, quella loro ansia di libertà in cui si esprimeva un amore e un rispetto profondo per tutti gli aspetti della vita ?

Certo è che il cercare di ravvivare la tradizione marxista del movimento operaio - a cui egli era saldamente legato - con un filone genuinamente libertario, risolutamente movimentista, tutto volto a valorizzare le esperienze che vengono dal basso, dagli ultimi e dai più semplici, certo è che questa era la cifra della figura politica di Rudy.

Ma sul piano intellettuale - ed ecco la seconda illuminazione - questo percorso getta a sua volta una luce inedita e originale su Michel Foucault: a partire dalla sua esperienza politica, Rudy trovava un Foucault che era riconducibile nell’alveo di Marx - ed era soprattutto quello di certe pagine di Sorvegliare e punire che egli mostrava esser state scritte in un vero e proprio corpo a corpo col Capitale; se Marx veniva così collegato al niccianesimo libertario del filosofo francese, di questo erano sottolineati gli aspetti che lo legavano ai movimenti collettivi, di massa, compresi quelli religiosi, come il francescanesimo: è il Foucault che non si era mai fatto affascinare dal superuomo, ma che aveva sempre valorizzato gli ultimi; quello a cui non era bastato redimere il proletariato, ma che aveva voluto rovesciare il tribunale della società borghese a favore dei folli, degli incatenati di Bicêtre, all’erede, insomma, di Antonin Artaud.

Dell’eredità intellettuale di Rudy, di ciò che, parzialmente ne è stato pubblicato e di ciò che tuttora è inedito, ci sarà modo di parlare in un momento e in un luogo più opportuno.

Qui voglio concludere questo ricordo riportando un’ultima testimonianza su di lui come intellettuale a tutto tondo, non accademico né settoriale: si tratta dei suoi interventi alla rassegna serale cinematografica che un gruppo di cinefili, di cui faccio parte, ha organizzato per molti anni presso il Vicolo Bolognetti: mai dogmatico, vi esprimeva una vastità di orizzonti, una finezza e profondità che ne facevano emergere il profilo di persona colta nel senso complessivo, capace di intervenire in modo competente e originale sugli aspetti più diversi del sapere. In questo momento in cui tutti sentiamo il grande vuoto che Rudy ci ha lasciato, è a questa immagine che vorrei affidare il suo ricordo.