Il virus alla prova dell'hopefulmonster
Orsola Rignani

01.10.2021

Ritorno di nuovo sul virus perché pandemia e post-pandemia continuano a essere ‘rumori di fondo’ che distraggono/attraggono l’attenzione. La quale sembra (purtroppo) ancora largamente attestata sul trinomio malattia/contenimento/ritorno alla normalità, e, con ciò, pare alimentata e sostanziata da automatismi che ne vengono a inibire la consapevolizzazione, l’approccio disincantato, l’interrogazione sulla novità ed eventualmente su come leggerla.

Cercare una scappatoia da questo cul de sac, o almeno un pertugio da cui guadagnare una visione un po’ più prospettica diventa a questo punto esigenza impellente; e l’impellenza spinge a rovistare anche negli angoli più riposti, ad aprire cassetti da altri serrati, a strappare lembi di buste sigillate, a porgere orecchio a parole rese ‘afone’ dalla desuetudine. Ed ecco che capita di risentire, tra queste parole, quelle di Michel Serres sull’intempestivo, ossia sull’inventore, da lui così detto per la sua abilità di ritrovare visioni del mondo dimenticate e/o ignorate eppure feconde (M. Serres, Pantopie: de Hermès à Petite Poucette, Le Pommier, Paris 2014, p. 365).

E immediatamente si arriva a chiedersi e contestualmente a rispondersi che l’intempestivo/inventore è lo stesso Serres, con il suo pensare mettendo in relazione elementi disparati, rapportandosi alla molteplicità (ivi, p. 366), partendo da ciò che si crede originariamente decostruito, diverso, contraddittorio (M. Serres, La Fontaine, Le Pommier, Paris 2021, p. 180); con la sua visione ‘saltazionista’ della vita e del pensiero, in cui ‘tentano il colpo’ monsters, hopeful se il colpo stesso riesce, e hopeless in caso contrario (M. Serres, Pantopie: de Hermès à Petite Poucette, cit., p. 367); con la sua idea della potenza del piccolo, che può diventare motore di un’energia superiore (M. Serres, La Fontaine, cit., p. 91 e p. 240) e del contre che può diventare avec (ivi, pp. 231-247).

Che dire? E, se queste intempestività, fossero spinte propulsive verso l’uscita dal collo di bottiglia? Se l’ancora piuttosto disconosciuto Serres, con le sue idee non mainstream, fosse la testa d’ariete in grado di aprire uno squarcio nel muro del trinomio suddetto? Che ne sarebbe allora della malattia/virus (con le connesse strategie di contenimento) e del ritorno alla normalità?

Una risposta verosimile potrebbe essere tentata ricorrendo all’immagine che lo stesso Serres impiega per rappresentare la propria opera: una foresta fluida in movimento perpetuo (M. Serres, Pantopie: de Hermès à Petite Poucette, cit., p. 361); dove alla fissità/stabilità (degli alberi/foresta) vengono ossimoricamente attribuiti lo scorrimento (fluidità) e il movimento incessante.

Per cui malattia/virus, cura, normalità aggetterebbero come ‘fissità fluide’ nell’atto di spiccare il salto, di tentare il colpo; cioè, in un processo di disattivazione sul piano ‘sostanziale’ e di riattivazione sul piano ‘potenziale’, emergerebbero come punto di biforcazione, colmo delle possibilità, che possono volgere, auspicabilmente, verso l’hopefulmonster, lo stadio evolutivo che può produrre una nuova linea di evoluzione, oppure anche verso l’hopeless monster, il colpo non riuscito, il binario morto.

Resta in ogni caso che, con Serres, le carte si scompigliano: come detto, ciò che è comunemente ritenuto diverso, contraddittorio, decostruito, eterogeneo – leggasi malattia/virus – può innescare/entrare in dinamiche relazionali, inventive di nuove dimensioni dell’ominazione; il piccolo, l’infinitesimale – leggasi virus – può indurre un dinamismo in cui l’opposizione può diventare co-appartenenza e con-vivenza; le trasformazioni non hanno luogo attraverso l’accumulo di piccoli cambiamenti graduali – leggasi normalità/ritorno alla normalità –, bensì grazie a grandi salti morfologici.

Il filtro dell’intempestività serresiana, quindi, scolora, fluidifica, de-sostanzia il trinomio malattia/contenimento/ritorno alla normalità e per così dire lo trasfigura e lo rifrange in una prospettiva caleidoscopico-metamorfica per cui il virus diviene un monster, ossia qualcosa di straordinario, rottura, punto di svolta, radice/potenza di cambiamento (a livello ecologico, evolutivo, economico-globale, di relazioni sociali, di ibridazione tecnologica, di corporeità, di consapevolezza e auto-percezione umana etc.); forse hopeless, ma forse anche hopeful appunto.

Il messaggio generale che da ciò si può raccogliere è che l’ibridazione – in questo caso l’interazione col virus –, i suoi diversi livelli, la consapevolizzazione di tutto questo sono sempre (fonti di) mutamento/novità. E che, quindi, la normalità è il cambiamento radicale, e il ritorno a essa è il cambiamento drastico consistente nel consapevolizzarsi del cambiamento stesso.

Nel controluce della riflessione serresiana il virus, segnatamente per e con la sua portata pandemica, in definitiva, assume il carattere/ruolo di monster, ossia di monstrum, prodigio, e quindi eccezione nonché rottura, che, quale derivato etimologico di monere, veicola il messaggio/avvertimento (della consapevolizzazione) del cambiamento, dalla carica peraltro appunto ‘bivalente’.

Per cui, se tutto questo ovviamente non mette in discussione l’essenzialità della continua implementazione di strategie di contenimento, può comunque costituire lo stimolo al risveglio dell’attenzione critica, la suggestione di ripensamento ‘intempestivo’ di ciò che è dato sbrigativamente e scontatamente per malattia e per normalità.

E poi comunque, perché non fare il salto di pensare che la vita è fatta di salti? Perché non riconoscere la foresta fluida in perenne movimento? Perché non credere ai monsters? E in fondo perché non avere fiducia che siano hopeful?

Ancora una volta Serres-Pantope/Passepartout può essere un efficace passepartout