Il senso della parola "libertà" per la destra
Stefano Righetti

25.07.2021

Le polemiche intorno ai vaccini, all’obbligo del certificato e alle restrizioni sanitarie stanno forse mettendo in discussione qualcosa che potremmo chiamare il significato occidentale della libertà costruito dopo la seconda guerra mondiale; e aprono, per altro verso, un enigmatico dubbio sul suo valore, dato ormai per scontato. Di che libertà stiamo parlando quando parliamo oggi di libertà?

La libertà che viene rivendicata nel diritto di poter decidere se vaccinarsi oppure no, di voler tornare a tutti i costi a essere "liberi come prima" e "padroni della propria vita", a quale idea di libertà appartiene? E, soprattutto, perché una libertà così rivendicata è oggi lo slogan di quella destra che le libertà ha invece sempre dimostrato di sopprimerle piuttosto che di promuoverle? Che cosa si intende qui con libertà?, e da che cosa dovremmo liberarci secondo questa idea di libertà?

Difficile attribuire a questa libertà la bandiera del liberalismo classico; per il semplice motivo che il liberalismo classico non è mai stato nel nostro paese una cultura abbastanza dominante da poter insorgere a furor di popolo contro l’oscurantismo delle attuali forme sanitarie di dominio (la definizione è ironica). Mill ha dunque poche responsabilità, così come non ne hanno Locke, Hume e Dewey. È già stato fatto notare. Ma allora?

Qualcuno dovrà fare un giorno la storia della libertà nel secondo 900, quando gli elettrodomestici e la motorizzazione di massa diedero l’idea che un risparmio del tempo aprisse al genere umano delle civiltà progredite il regno di una libertà prima di allora per pochi, ma che era in realtà soltanto un "tempo libero" (sbarazzato da occupazioni e faccende per lo più "domestiche" che richiedevano in genere molto impegno, spostamenti compresi), e a cui occorreva ora dare nuovo significato e nuovi contenuti.

Mentre la liberazione dal tempo del lavoro è progredita molto più lentamente e a fatica, e ha dovuto conquistarsi col dolore la propria libertà, la valorizzazione del tempo libero è progredita celermente quanto più era possibile estrarne nuovo valore. A quel punto hanno cominciato a contrapporsi anche due modelli di libertà. Una libertà fondata sulla solidarietà della lotta e dell’impegno, che si chiamava libertà in quanto si riconosceva comune e condivisa, e si faceva in questo aspirazione ideale per tutti; e una libertà che era invece gestione privata del proprio tempo a disposizione, e che privatamente sceglieva le forme di intrattenimento con cui "far passare" nel modo il più possibile spensierato quei momenti.

Da un lato una libertà come aspirazione e impegno; dall’altro una libertà come tempo da riempire di qualcosa che desse un senso, seppur vago, a quel più di tempo a disposizione. Mentre la prima è una libertà che cela in sé il proprio significato; la seconda ne è però priva e deve continuamente cercarne uno, il più delle volte attraverso il pagamento di una quota del proprio denaro.

La prima forma di libertà è necessariamente solidale e fondata su una partecipazione spontanea a un obiettivo comune (materiale e ideale insieme); la seconda è di natura privata e anche quando prevede una partecipazione di gruppo, la partecipazione implica quasi sempre un contratto tra un fornitore di beni e servizi e un fruitore degli stessi. Anche quando per quella fruizione qualcuno paga per noi, il nostro rapporto con questa forma di libertà che è lo "svago" rimane formalmente privato (compriamo un biglietto e entriamo a teatro, liberi di vedere lo spettacolo).

Si tratta però di una libertà che non consente per contro l’immaginazione di alcun’altra forma di esistenza diversa da quella convenuta. La sua ragione privatistica ne fa una ‘libertà’ tanto individuale quanto profondamente conformista. Per lo stesso motivo, anche il lavoro declinato all’interno di questa libertà ha sempre un senso privato e individuale (è sempre e solo il mio bar, il mio ristorante, il mio negozio, la mia discoteca ecc., che sento oggi minacciati, e nei quali la libertà è a sua volta declinata nella forma dei consumi di cui sopra – in un circolo di privati bisogni e privati servizi commercialmente regolati).

La libertà a cui la destra di oggi si richiama appartiene certamente a questo genere di libertà. Il fatto che se ne rivendichi il diritto in termini ideali non ne modifica la sostanza. La libertà che si celebra è la libertà del mondo che si chiamava un tempo "piccolo borghese" e che oggi potremmo aggiornare con la definizione meno datata di "consumismo" (per quanto, come diceva De André, l’essere "piccolo borghesi" è una malattia che scomparirà probabilmente solo quando sconfiggeremo anche il cancro, cioè forse mai – mentre nel frattempo abbiamo messo insieme altri rischi sanitari non meno pericolosi).

In ogni caso, è un’idea di libertà fondata sulla convinzione individuale di poter essere e fare quel che ci pare nel momento in cui lo riteniamo opportuno e secondo il nostro privato interesse e piacere. Volendo riassumere la critica di Pasolini al neo-capitalismo proporrei la frase appena scritta. Rende del resto bene, mi sembra, l’insieme degli argomenti che al grido di "libertà!" la destra rivendica in questi giorni nelle piazze di molte parti del mondo. Che è destra, possiamo aggiungere, non solo in quanto si identifica in una concezione meramente individualistica della libertà, ma in quanto si identifica unicamente nella sua concezione più consumistica, che è appunto il contrario di ogni concezione solidale di libertà, quale si è formata nelle lotte interne al mondo produttivo e del lavoro.

Il consumismo può invece riferirsi a qualcosa che oltrepassi la sua sfera d’immediata soddisfazione solo in modo molto indiretto. Posso certo elevare la mia coscienza sociale attraverso la visione di un film, ma dove impegnare questo di più che ho raggiunto senza una condivisione già viva e in atto in un impegno concreto? – nel voto politico?

Il postmoderno ha voluto farci credere per molto tempo che esistesse una possibile forma di lotta al capitale attraverso il consumo di beni in grado di orientarne la produzione; ma possiamo forse enumerare i cambiamenti concreti di un tale atteggiamento? Il caporalato non sembra averne in ogni caso risentito. Forse dovremmo rivendicare con forza anche un altro significato della parola libertà.