Il personaggio del grapich novel
Emilio Varrà
Hamelin Associazione Culturale
Majid Bita, "Lui, sempre più consapevole dei tempi in cui dormiva.", Pen & Ink on Paper, 2019

03.05.2021

Tra la seconda metà degli anni Sessanta e per tutti gli anni Settanta abbiamo avuto la produzione fumettistica più importante al mondo. È una provocazione ovviamente, ché sarebbe impossibile trascurare (solo per dirne alcuni) la rivoluzione dell’Underground Comix americano o la produzione di Will Eisner, il gegika giapponese, il sovvertimento formale dell’opera di Moebius o quello più sottile di Tardi in Francia, la particolare compenetrazione di avventura, fantascienza e militanza politica del fumetto argentino e lo sperimentalismo nell’opera di Alberto Breccia. Eppure rimango convinto del fatto che il nostro fumetto di quei quindici anni non abbia avuto ancora il riconoscimento che merita.

Alcuni autori sono diventati icone attraverso la riconoscibilità dei loro personaggi, penso al Corto Maltese di Pratt o alla Valentina di Crepax, ma anche alle masse folli dei personaggi del più anziano Jacovitti; altri sono riconosciuti pienamente nello loro maestria (Battaglia, Toppi, Magnus), altri ancora non hanno superato la stima e il rispetto di una cerchia consistente ma ancora troppo ristretta di conoscitori (De Luca, Buzzelli, Muñoz a Sampayo), altri infine sono stati “oscurati” da altre direzioni – più visibili e diffuse - della loro produzione (Altan, Bonvi). L’editoria contemporanea rende possibile la conoscenza e l’acquisto di tutto questo corpus di opere e la critica di settore non ha la minima esitazione a celebrarne la grandezza. Ma non è sufficiente: non è stato ancora interiorizzato davvero l’impatto innovativo ed espressivo di questi lavori al di là del settore specificatamente fumettistico, per l’arte e la cultura tutta.

Un “travaso di confini” che sarà compiuta in parte dalla generazione successiva, quella di Pazienza, Mattotti, Igort, e che diventerà endemico con l’affermazione nell’immaginario del graphic novel, il fumetto “finalmente diventato grande”. Lo scrivo con tutto il sarcasmo che si possa immaginare, perché davvero questa è una lettura ottusa nel suo approccio evoluzionistico (o addirittura
teleologico) e cieca perché incapace di cogliere la grandezza già “da romanzo” (ammesso – e non lo è - che questo sia una categoria di superiorità artistica) di tante opere nel corso di tutta la storia dei comics.

E tale fastidio si accentua se penso all’ignoranza di lettori e lettrici che fortunatamente si sono avvicinati al fumetto solo recentemente ma che interiorizzano lo stereotipo per cui è solo il fumetto contemporaneo, pardon il graphic novel, che vale la pena leggere a partire da una certa età… Fraintendimento di cui in parte è colpevole la nostra critica fumettistica, incapace di produrre un approccio davvero ermeneutico e di partecipare a un discorso culturale più complessivo.

Gli autori a cui faccio riferimento creavano fumetti e non graphic novel, non facevano romanzi ma storie brevi per lo più (per quanto il rapporto con la tradizione letteraria sia più volte presente e anche intenso), non pubblicavano volumi per le librerie ma per riviste e spesso sui periodici rivolti ai ragazzi. Ma l’innovatività del loro lavoro a mio avviso si può paragonare per impatto a quello del
nostro neorealismo cinematografico. Una rivoluzione che in primo luogo era formale nella visione stessa del medium e nei modi con cui veniva coniugato. Due almeno i fronti di questa rivoluzione: il primo è la sperimentazione sulle strutture narrative delle storie e su quelle visive della tavola a fumetti.

Le dilatazioni e le pause “ingiustificate” nelle storie d’avventura di Corto Maltese, la riflessione sulla simultaneità nella scomposizione grafica di Crepax o nelle sintesi multiple di De Luca, la struttura drammaturgica e la fissità ieratica delle immagini di Toppi sono solo alcuni esempi di un laboratorio comune, pur nell’individualità dei percorsi, volto da una parte a far esplodere la sequenzialità classica delle storie a fumetti, dall’altra a indagare la relazione tra tempo e spazio che nel fumetto ha una sua specificità irriducibile, data dalla necessità di far procedere il tempo – e di simulare il movimento - attraverso una visualizzazione nello spazio di una sequenza di singoli immagini statiche.

Il secondo fronte di innovazione concerne lo statuto del personaggio: proprio in questa fase vanno riconosciute quelle radici che hanno portato alla progressiva affermazione della figura dell’autore rispetto a quella dell’eroe. Alcuni esempi: nel 1966 Guido Buzzelli fa la sua prima dichiarazione di poetica con La rivolta dei Gracchi, grottesco e crudo apologo sociale in cui l’autore si autorappresenta, qui ancora come personaggio inserito nell’intreccio e poi via via, già a partire da Labirinti, come punto di vista smarrito di fronte a una realtà in pieno disfacimento.

Nel 1967 La ballata del mare salato di Hugo Pratt mette in scena Corto Maltese che, già nella sua prima avventura, perde la statura di deus ex machina per farsi testimone di vicende di cui non ha il controllo e sempre più diventerà viandante nostalgico in un panorama storico crepuscolare e che fa della crisi la sua essenza. Nel 1975 Magnus abbandona il successo in pieno corso di Alan Ford, dopo quelli di Kriminal e Satanik, per produrre opere più personali e dare vita a Lo sconosciuto, che con il suo brutto ceffo ha ancora l’iconicità dell’eroe, anzi dell’antieroe, ma non può che subire i terremoti delle trasformazioni socio-politiche degli anni Settanta, di casa nostra come internazionali, che lo faranno letteralmente saltare in aria.

Anche lui è ridotto a essere puro testimone di fronte a una complicazione della realtà che si è trasformata, insegna Buzzelli, in labirinto. Le esplorazioni oniriche di Valentina, su un asse di equilibrio sempre precario tra curiosità, diponibilità all’avventura, passività, sono una forma trasfigurata di una simile rinuncia. E anche la solidità del Commissario Spada di De Luca si sfalda di fronte alla mutazione della criminalità, della complessità di fenomeni come il terrorismo o la droga.

Si fa sempre più evidente la progressiva erosione di quei generi letterari classici che avevano fatto da fondamenta fino all’inizio degli anni Sessanta: l’avventura, in primis, o la detective story che, ad esempio tiene ancora nelle prime due storie di Alack Sinner di Muñoz a Sampayo per poi cedere in intrecci decostruiti e volti allo scavo interiore dei personaggi o alla denuncia politica. 

Decostruzione dei generi (pensiamo anche al Ken Parker di Bernardi e Milazzo), prime apparizioni autobiografiche (oltre a Buzzelli è doveroso citare Bonvi), eroi ancora iconici ma ridotti a testimoni, sparizione infine della figura di un protagonista riconoscibile e che ritorna in più storie e conseguente abbandono della forma più evidente della serialità (Battaglia, Toppi) sono tutte caratteristiche che siamo abituati a trovare nel graphic novel contemporaneo.   (continua)