Il flâneur, il blasé e l'individuo contemporaneo
Gianluca Viola

05.02.2022

Fra le categorie elaborate nell'esigenza di produrre una coscienza critica del nostro recente passato, nessuna sembra più adeguata - per descrivere le condizioni della vita sociale e della stessa esistenza concreta degli individui nell'Occidente capitalista e neo-liberista – che quella di "accelerazione".

Soprattutto a partire dalla ricerca intorno alla storia dell'ambiente – e dell'annoso problema di una datazione sensata dell'Antropocene – il termine si è imposto nell'analisi e ha goduto di una certa fortuna anche al di fuori dei circoli scientifici: la teoria della Grande Accelerazione, secondo la quale a partire dal 1945 si sarebbero intensificati fino al limite massimo i processi tecnici che hanno condotto al collasso ecologico, incrocia questa categoria con quella di "espansione"; l'espansione energetica, l'espansione demografica, l'espansione sempre più vasta dello stile di vita occidentale risultano complementari all'accelerazione del ritmo della produzione, del consumo e della stessa vita sociale.

Il concetto di "accelerazione" è pregnante anche nell'analisi sociologica ed il lavoro di Hartmut Rosa ne dà certamente testimonianza: i processi di accelerazione e di espansione non sono relegati solamente ai parametri dello sviluppo tecnologico, economico o industriale degli Stati, ma, chiaramente, producono conseguenze decisive soprattutto all'interno dell'esistenza concreta e dell'esperienza quotidiana di miliardi di persone.

Già da qualche decennio, però, appena il mito dell'inesorabile progresso e dello sviluppo infinito ha cominciato ad incrinarsi – fino a venire radicalmente confutato –, i processi di accelerazione e di espansione, pur non interrompendosi, hanno subito una seria messa in questione, soprattutto dal momento che si è raggiunta una coscienza più chiara di ciò che questi processi, effettivamente, comportano.

La pandemia di Covid-19 ha, infine, imposto un freno a questi processi: se è vero che la produzione, anche in questi ultimi due anni, non si è mai fermata, il Covid – a causa della sua natura di fatto sociale totale - ha impresso un urto al procedere storico delle società globali, non solo dal punto di vista dei dati oggettivi, ma soprattutto riguardo le stesse esperienze soggettive.

Malgrado ciò, alcuni di questi processi, piuttosto che subire una decelerazione, stanno invece intensificando costantemente il loro ritmo; lo sviluppo tecnologico, ad esempio, nel digitale, un po' come l'universo, è tuttora in espansione accelerata: la velocità con cui si espande continua ad aumentare nel tempo.

Il rapporto tra l'esperienza soggettiva e lo sviluppo tecnico a cui questa è sottoposta ha tracciato il profilo, all'epoca delle rivoluzioni industriali, di quella che è stata definita "vita moderna", ovvero l'esistenza vissuta nel turbine della metropoli; una certa forma di critica sociologica si è interrogata, allora, su questo rapporto, cercando di descrivere il tipo ideale della metropoli moderna, nella convinzione che cambiamenti così repentini, possibilità così nuove e sconvolgimenti sociali, morali, culturali così ampi, avrebbero dovuto produrre un'esperienza del tutto originale dell'individuo in società.

Oggi che gli sviluppi tecnologici coinvolgono sempre di più gli individui su larga scala e che l'espansione di un certo stile di vita ha assottigliato le differenze sostanziali tra la vita della cosiddetta "metropoli" e, ad esempio, la città di provincia, gettare uno sguardo su questi antecedenti può consentirci di isolare la specifica esperienza dell'individuo contemporaneo, sottoposto ai processi di accelerazione ed espansione, nel suo rapporto con così drastici e radicali sconvolgimenti.

Nella vita della metropoli moderna almeno due tipi umani si distinguono: il primo è il blasé, di cui si è occupato Georg Simmel; il secondo è il flâneur , reso celebre dalla poesia di Baudelaire e riportato in auge, negli anni '30 del secolo scorso, da Walter Benjamin.

La metropoli plasma il fattore della vita individuale che in essa si svolge: nel blasé, ad esempio, tutte le contraddizioni che essa porta con sé si sono, in qualche modo, reificate – specialmente da un punto di vista psicologico; secondo Simmel: "la base psicologica su cui si erge il tipo delle individualità metropolitane è l'intensificazione della vita nervosa, che è prodotta dal rapido e ininterrotto avvicendarsi di impressioni esteriori e interiori" (G.Simmel, "Le metropoli e la vita dello spirito", Armando, p. 36).

La condizione stessa dell'individuo blasé è la prova dell'intensificarsi delle possibilità di vita nella metropoli: essa ha un effetto diretto sul suo sistema nervoso – a causa, soprattutto, del bombardamento costante cui è sottoposto; questo diviene progressivamente sempre meno capace di reagire alle sollecitazioni provenienti dall'esterno.

Questa incapacità di reazione non può mai risolversi, però, in un'indifferenza nei confronti della vita della metropoli: egli deve comunque parteciparvi, pur cercando di ritagliarsi un luogo di riservatezza che gli consenta di coltivare i residui spirituali della sua personalità.

Al centro della vita moderna s'instaura una discrasia tra spirito soggettivo e spirito oggettivo: l'individuo è, infatti, continuamente risucchiato all'interno di una istanza che non solo lo trascende, ma lo determina affievolendo ogni sua possibilità di costruirsi una difesa personale dai meccanismi tecnici che minacciano continuamente la sua esistenza. Il blasé è dunque il tipo dell'individuo isolato, ingranaggio della macchina-metropoli: la sua coscienza, una volta che è riuscita a parare gli choc che gli provengono dall'esterno, gli dona adesso la sensazione del continuum spazio-temporale in cui egli si muove; probabilmente il blasé non è nemmeno il prodotto dei processi di accelerazione ed espansione, ma ne è solo un sintomo.

A questo ideal-tipo della vita moderna, può essere contrapposto il flâneur, il passeggiatore parigino che si muove senza meta per le strade della città; a differenza del blasé, egli è il rappresentante di un disimpegno pressoché assoluto nei confronti della vita sociale, la quale può essere ridotta unicamente agli stimoli che gli provengono dall'esterno e non ad una qualche progettualità reale, ad un qualche ruolo specifico.

Il suo girovagare senza meta gli consente di fare esperienza della nuova conformazione della metropoli, della trasformazione delle cose in merci e della stessa città in esposizione perenne. Piuttosto che ricercare uno spazio di isolamento e di riservatezza rispetto alla vita snervante che si conduce nella metropoli, egli va incontro all'esistenza effimera che in essa si svolge, si abbandona al fluire della folla, catturato dalle luci scintillanti, dagli abiti alla moda, dai magnifici passages parigini. Egli si immerge nella vita moderna e, in questo modo, subordina la coscienza alla percezione degli choc, moltiplicando i momenti distruttivi, di rottura del continuum dell'esperienza vissuta: il flâneur che passeggia per le strade di Parigi accetta il gioco che gli sottopone la metropoli stessa.

La sua esperienza svela, in questo modo, un carattere completamente spaesante: a partire dalla percezione degli choc, l'individuo moderno si lascia catturare dalle istanze distruttive e insieme creative, emergenti dalla stessa trama della vita metropolitana.

Baudelaire ha fatto della figura del flâneur il tipo umano della metropoli moderna; l'immersione del flâneur nell'esperienza dello choc – interruzione feconda del continuum della vita moderna, cui invece è sottoposto, suo malgrado, il blasé - ha consentito a Baudelaire di "resistere" alla metropoli, di comprenderla e di viverla autenticamente.

Cosa resta di questi due così diversi atteggiamenti nell'esperienza specifica dell'individuo contemporaneo, sempre più esposto ai processi di accelerazione e di espansione? Gli choc dovuti al progressivo incremento delle innovazioni tecnologiche ci assediano e la vita nervosa si intensifica ogni giorno di più: la condizione del blasé - di colui che recepisce passivamente gli choc e li organizza nella durata della sua esistenza quotidiana relegando lo spazio della sua intimità al solo isolamento - appare dominante nell'umanità più a stretto contatto con il progresso tecnologico.

L'aumento vertiginoso delle sofferenze mentali, imputabile ai meccanismi della produzione sociale, tinge il nostro presente, così iper-connesso e dominato dalle moltitudini, dell'inchiostro nero di una solitudine ancor più spirituale, ancor più profonda.

Di fronte ad uno choc totalizzante come quello della pandemia, mentre il capitalismo globale riorganizza i suoi ritmi di produzione e gli Stati inventano nuove forme della vita sociale, l'individuo contemporaneo sembra sacrificare la chance che è insita nell'esperienza dello choc sull'altare della "nuova normalità", garanzia del continuum della storia.

Se la flânerie non può essere innalzata ad atteggiamento generalizzato, essa, nella sua dolce ingenuità, manifesta l'esigenza di rottura che è la stessa vita moderna ad imporre; riacquistare la contemporaneità del contemporaneo, non limitarsi più a vivere nel presente – nel meccanismo macchinico che fa dell'individuo un blasé - ma tentare di vivere il presente, di vivere criticamente i processi cui siamo sottoposti e, infine, accogliere l'esperienza dello choc – ed anche la stessa pandemia, in quanto choc, è imputabile ai processi di espansione accelerata – in quel che essa promette di più prezioso, la possibilità radicale di un cambiamento decisivo: è questo, forse, il compito – insieme esistenziale e filosofico – che si prospetta all'umanità post-pandemica, all'individuo contemporaneo, nell'aspirazione, mai sopita, di guadagnarsi il futuro e quello che, qualche decennio fa, si sarebbe definito un altro mondo possibile.