Il bagno come spazio politico. Corpi, disabilità e generi
Chiara Montalti

15.10.2021

Lo spazio-bagno si presenta come eterotopico, strutturandosi su “un sistema di apertura e di chiusura, che, al contempo, [lo] isola e [lo] rende penetrabil[e]” (M. Foucault, Spazi altri, 2011, pp. 11-13): un corpo, entrandovi, dev’essere incasellabile come maschile o femminile, e sono gli altri membri – o chi gestisce un edificio pubblico – a vigilare sul rispetto di questa norma.

La loro stessa conformazione permette o impedisce l’ingresso di alcune persone (ad esempio disabili, con malattie croniche, grasse). I bagni pubblici connettono tutti gli spazi, poiché è proprio la loro presenza a rendere questi ultimi frequentabili, abitabili, attraversabili: possiamo essere cittadini/e in modo compiuto soltanto se possiamo esercitare determinati bisogni primari in modo sicuro (minzione, defecazione, cambio dei pannolini e degli assorbenti, igiene personale).

In quanto eterotopie, i bagni presentano inoltre potenzialità di rottura o ri-negoziazione di una norma: possono essere impiegati come luoghi di resistenza e rivendicazione politica, e spingere a contestare i contorni degli spazi circostanti. Ogni spazio, inoltre, può andare incontro a molteplici interfacciamenti.

Le caratteristiche dei luoghi producono i soggetti e, viceversa, ne vengono da essi modellate. Tale processo vede la partecipazione diretta del corpo, che può farsi, in determinati luoghi, “strumento di trasgressione delle norme sociali”: esso “ri/crea lo spazio che attraversa, cambia i suoi connotati” (C. Cossutta et al., Smagliature digitali, 2018, pp. 12, 141).

I servizi igienici rappresentano il crocevia di numerosi processi politici: la partecipazione, l’esclusione, la norma, la violenza, l’intersezione pubblico/privato, la resistenza, la differenza, la disuguaglianza.

Movimenti di giustizia sociale che hanno preso in considerazione la struttura dei bagni sono, per esempio, “il movimento per i diritti civili, il femminismo, l’attivismo disabile, quello delle persone transgender”, con soggetti storicamente segnalati, attraverso questi spazi, come “outsider dal corpo politico” e dalla sfera pubblica (J. Plaskow, Embodiment, Elimination, and the Role of Toilets in Struggles for Social Justice, 2018, pp. 52-61). Questo posizionamento peculiare li rende terreno fertile per costruire alleanze.

Per quanto riguarda le persone disabili e trans/non binarie, l’attenzione viene posta sulla sicurezza e l’accessibilità dei servizi igienici. I progetti attivisti che se ne occupano sono prepotentemente incarnati, poiché come soggetti politici non rifuggono dall’evocare funzioni corporee (A. Kafer, Feminist Queer Crip, 2013; S. Chess et al. Calling all the Restroom Revolutionaries!, 2018).

L’obiettivo è infatti “rendere incarnata la teoria” e “teorizzare dal corpo”. Il corpo da cui prende le mosse l’attivismo attorno ai servizi igienici è “reale, è un corpo che mestrua, che piscia e caga, un corpo che potrebbe non accordarsi alla sua identità di genere, un corpo soggetto troppo spesso alla violenza e al ridicolo, un corpo che potrebbe avere parti mancanti o parti che non funzionano ‘adeguatamente’, un corpo che potrebbe aver bisogno di assistenza”.

Discutere di servizi igienici può apparire non soltanto “triviale” e “irrilevante”, ma anche “pericoloso a livello politico”. La discussione su “chi piscia dove” può essere considerata, a pieno diritto, politica? Le comunità queer e disabili scoperchiano il fatto che soltanto certe corporeità “vengano date per scontate nel design” (ivi, pp. 216-225) dei bagni, invisibilizzandone pertanto altre (nell’immaginario collettivo e, materialmente, nello spazio pubblico).

Le persone disabili, nonostante esistano richieste normative, non ne trovano sempre di accessibili e idonei. Le persone non binarie/trans, nei bagni genderizzati, rischiano maltrattamenti, violenze e persino l’arresto. Ciò può poi accadere a qualunque persona percepita come non conforme ad un genere (intersex, donne dyke, uomini femme…).

La natura dei bagni rende evidente la fertilità di un approccio intersezionale. In che modo i corpi performano – e allo stesso tempo subiscono – tanto le proprie identità di genere quanto le proprie disabilità? Le coalizioni favorite dai bagni, e che tuttavia le eccedono, illuminano alcuni aspetti minori al riguardo.

Per esempio, dove sono, o non sono, presenti distributori di tamponi igienici? Dove vengono collocati? Sembra infatti che “il diritto ad avere tamponi e assorbenti sia riservato a persone che utilizzano bagni specifici per il genere femminile, e che possono raggiungere una leva sospesa a un metro e mezzo da terra” (Chess et al. 2008, p. 218).

La diffusa assenza di questi dispenser nei servizi igienici per persone disabili, inoltre, reitera la persistente assunzione secondo cui i corpi disabili non performino adeguatamente il proprio genere (in questo caso quello femminile), e ciò rimanda al processo di desessualizzazione che subiscono. Inoltre, non tutte le persone che mestruano sono donne.

Dove immagiamo necessaria, invece, la presenza dei fasciatoi? In molti paesi non si è ancora concluso il dibattito sulla loro presenza nei servizi igienici maschili; richiederebbe perciò uno sforzo immaginativo ancora maggiore esaminare la questione relativamente alla comunità trans.

Possiamo concepire che persone non conformi al binarismo di genere possano essere genitori, e quindi immaginare servizi igienici unisex con fasciatoi?

Il dibattito al riguardo, nel caso dei bagni per persone disabili, si biforca in due direzioni. I fasciatoi vi sono spesso inseriti per questioni di spazio, allungando così i tempi d’attesa. I genitori con figli/e disabili, invece, richiamano l’attenzione sulla necessità di fasciatoi di grandezza sufficienza a cambiare persone adulte.

È significativo che una terza opzione sembri assente dal dibattito: i genitori disabili potrebbero averne necessità, e i fasciatoi dovrebbero pertanto risultare accessibili per loro in quanto persone che accudiscono e non come assistite.

Per quanto riguarda, infine, il posizionamento della toilette per persone disabili, esse sembrano appartenere ad una specie di “terzo sesso”.

Ad uso singolo, vengono spesso posizionate al di fuori del box maschile e di quello femminile, “[c]ome se la disabilità fosse un tratto talmente potente da obliterare genere, sesso e sessualità” (B. Casalini, S. Voli, “We just need to pee”, 2015). Sono pertanto le uniche persone a cui già viene garantito l’accesso a servizi igienici pubblici non genderizzati – ciò per cui l’attivismo trans/non binario invece lotta.

Dovrebbero, quindi, lottare per essere integrate nei bagni genderizzati – perlomeno chi non è non-binary –, piuttosto che esserne situate sempre al di fuori?

Sottolinearne l’appartenenza ad uno dei due generi potrebbe infatti agevolare conversazioni socio-culturali riguardo agli stereotipi stigmatizzanti che le estromettono dalla sessualità e dalle strutture di genere. Mentre le persone non binarie non sono interessate a tale inclusione, inoltre, alcune persone trans (e disabili) potrebbero voler rinforzare la propria identità di genere, frequentemente messa in discussione.

Questo particolare posizionamento dei corpi disabili potrebbe, al contrario, metterli nelle condizioni favorevoli per disturbare i testi culturali attorno al genere? Per Sally Munt, in quanto donna butch, la toilette per persone disabili è “uno spazio senza stress, uno spazio queer in cui [può] momentaneamente prender[si] una pausa dallo spazio pubblico genderizzato”, e in cui non subisce molestie (The Butch Body, 2001, p. 102).

La stessa potenzialità è evidenziata da Alison Kafer e nel progetto PISSAR (Chess et al. 2018). Tale approccio, che tende alla coalizione politica e alla presa in carico di identità stratificate, incarna il concetto di trasgressione delineato da Flavia Monceri.

Se il dissenso qualifica “uno strumento strategico” che ha l’obiettivo di “rinegoziare regole”, la trasgressione “implica” invece “la richiesta di stabilir[ne di] nuove” (Beyond the rules, 2012, p. 30). In questo caso, pertanto, si prospetta una condotta inedita che sostituirà quella precedente. Il posizionamento politico di certi corpi, mercati come “trasgressivi” rispetto alla norma, può affermare nuove possibilità.

La contestazione iniziale sull’inadeguatezza dei bagni può diventare una contestazione più ampia degli spazi in cui le persone non vogliono essere forzate ad entrare: bagni piccoli, poco sicuri, divisi in modo binario, oppure strutture di genere a loro volta binarie, anguste, poco confortevoli.