I tempi di Palermo, l'Annunciata, il tempo che viene
Marco Rovelli

02.04.2022

1.

Il tempo, a Palermo, scorre diversamente. Come per attrito. Più dimensioni temporali qui si incrociano, e si sovrappongono. Come nelle sue chiese, che sono meraviglia proprio per questo, per gli stili che stanno insieme, lingue diverse che si mischiano, una babele armoniosa, un punto d'equilibrio miracoloso, che ti pare fragilissimo ed eterno insieme. Ti lasci inondare dalla luce della Cappella Palatina, e taci. Poi ti muovi tra normanni e neomelodici, tra tarsie marmoree efflorescenti e - “Thomas Freeman, il profugo liberiano che gestiva la taverna qui a Ballarò, sai dov'è?” - “Ha fatto uno sgarbo che non doveva fare, gli hanno sparato ma non l'hanno ucciso, è tornato al suo paese”.

Quando eri venuto qui anni fa, dopo aver raccontato la sua storia nel tuo primo libro, lui ti aveva accolto con gli onori: eravate andati in una periferia imprecisata, tra enormi palazzoni di edilizia popolare, e tra essi, come una radura poco heideggeriana, si apriva un prato circolare dov'erano pecore, e lui ne aveva chiesta una, l'aveva fatta sgozzare dal pastore, e la sera te l'aveva cucinata. Adesso ce ne saranno molti altri qui, di Freeman. Alla Vucciria non c'è più quella trattoria dov'eri capitato per caso, e che poi avevi rivisto in un film di Wenders, ma c'è un ristorante senegalese. Ancora, altri tempi, spazi, voci, suoni.


2.

Poi – senza ricordare nulla, né di cosa ci sia dentro, né che anch'esso era nel film di Wenders – arrivi a Palazzo Abatellis. Prima, incontri la fantasmagoria fantastica del Trionfo della Morte, ti si squaderna davanti agli occhi tutto il tempo nell'attimo della sua fine, un tempo che non viene cancellato però, bensì ricapitolato: nel trionfo della morte, il tempo è più presente che mai (dove il mai, qui, non è, ma c'è la presenza ormai definitiva irrefutabile dell'essere).

Poi, d'un tratto, l'Annunciata di Antonello da Messina. In una piccola sala, al centro. Qui il tempo si congela. Ma senza freddo. Semplicemente si ferma. È e non è.

Qui, adesso, il tempo è sospeso. La mano ti chiede di sostare, di fermarti, di fermare il tempo – di stare a mezz'aria, come la mano stessa che ti ferma e ti chiede.

[Nel quadro, che è segno, il segno del gesto che ti sospende – ti sospende alla sospensione che è quella composizione, in ogni suo elemento.]

L'Annunciata ti chiama, chiama te - ma lei guarda in basso, a lato, in un punto preciso (che lei sa) – e pure indefinito. L'Annunciata guarda in un altrove che lei sa, immersa in un tempo dilatato in eternità (è lei stessa che riflette questa dilatazione in eternità) - e l'eternità che è tutta qui, è tutta nel gesto che ti chiama, che chiama la tua attenzione, che ti chiede di essere attento, attento a “questo qui” (il gesto originario, il gesto prima di ogni gesto e di ogni significazione), il “questo qui” che si presenta, e allo stesso tempo rappresenta ciò che si fa presente a lato, in quel punto preciso e indefinito dove lei guarda, in quel visibile invisibile, appena qui a lato, proprio di fianco a te, in quel di fianco dove tu non lo vedi, ecco è lì, proprio lì al tuo fianco. È il tempo che viene, e il tempo che viene è già qui, al tuo fianco, presente nella sua invisibilità, nella sua traccia.
È il gesto che ti chiama, che ti chiede attesa, silenzio, stillness. Still life.


3.

Poi esci fuori, e lì vicino c'è la natura viva. Entri nell'orto botanico, con il suo trionfo di vita e di intelligenza. Forme tra terra e luce, che conoscono tutto un altro tempo, un tempo molto più vicino del tuo a quell'attesa. Sembrano anch'essi gesti che ti chiamano a un altro tempo. Sono gesti di terra e luce, e tu, allora, rispondi a quei gesti, sfiori un albero con la mano, e taci.