Hauntology, tra arte e critica culturale
Luca Campestri
Trapped, 2023, stampa diretta su tessuto catarifrangente 70x95 cm. Courtesy Gallleriapiu. Photo credits Stefano Maniero.

01.01.2023

L'hauntology interseca l’ampio campo degli studi culturali, stimolando esami critici sul modo in cui la società affronta la propria storia. Il concetto getta luce sugli artefatti culturali, le ideologie e gli eventi, privati e collettivi, che sono stati soppressi o dimenticati, solo per riemergere secondo modalità inaspettate e spesso inquietanti. Analizzando queste riemersioni, è possibile scoprire tensioni sottostanti, traumi non affrontati e questioni irrisolte che continuano a plasmare la psiche collettiva. Inoltre, l'era digitale ha dato origine a nuove dimensioni dell'hauntology: in un mondo in cui l'informazione è effimera e soggetta a continua reinterpretazione, il passato può essere manipolato e ricostruito. Mentre la tecnologia evolve, le tracce di ciò che un tempo è stato perdurano nel regno digitale, formando un paesaggio paradossale di nostalgia perpetua.

Ein Gespenst geht um in Europa1

Alla genesi del neologismo di hauntology è lo scritto del filosofo francese Jacques Derrida pubblicato nel 1993 col titolo Spectres de Marx: l'état de la dette, le travail du deuil et la nouvelle Internationale2. Il titolo allude alla frase d’esordio del Manifesto del Partito Comunista: “Uno spettro si aggira per l'Europa: lo spettro del Comunismo.” - Subito viene delineato uno degli attributi principali dello spettro: l’anticipazione, o l’attesa di essa -. All’interno del testo, procedendo con metodologia decostruzionista, Derrida sostiene la natura storicamente spettrale dell’esperienza Marxista, all’indomani della caduta del Muro di Berlino e del progredire del capitalismo avanzato. Il termine di hauntology viene coniato come gioco di parole sulla tradizionale ontologia (ontology), la disciplina filosofica focalizzata sulla natura dell’essere in quanto essere, concepito in termini di presenza identica a sé stessa. Il concetto di hauntology succede ai precedenti derridiani di trace e différance, e come questi, si riferisce alla maniera in cui nulla gode di un’esistenza puramente positiva. Tutto ciò che esiste è possibile solo sulla base di una serie di assenze che precedono e circondano il soggetto, permettendogli di possedere coerenza ed intellegibilità.3 

Ma l’hauntology solleva esplicitamente la questione del tempo in una maniera che trace e différance non avevano ancora posto in essere; è possibile, all’interno della distinzione tra “non più” e “non ancora”, riconoscere due direzioni dell’hauntology: la prima è una traumatica compulsione a ripetere, e si riferisce a ciò che non è più ma che rimane attivo come virtualità; il secondo senso fa riferimento a ciò che non è ancora accaduto, ma che è già effettivo nel virtuale, un’anticipazione capace di dare forma allo sviluppo corrente delle cose.4 È dunque questa la logica della hauntology: un’ontologia che cova al suo interno la sua stessa escatologia e la sua teleologia, in una dimensione di interpretazione performativa, interpretazione che trasforma la materia stessa che interpreta. Lo spettro vive una non-origine rinviata, la temporalità alla quale esso è soggetto è paradossale: non è possibile asserire se la sua venuta testimoni il ritorno di un passato o l’incombenza di un futuro: ancora una volta, atemporalità e sfasamento, una situazione di disgiunzione temporale e ontologica.5

Mark Fisher popolarizza, a partire dalla seconda parte del decennio 2000-2010, il concetto derridiano per descrivere un pervasivo senso di cui la cultura contemporanea postmoderna, perseguitata dai “futuri perduti” della modernità, cancellati dal neoliberalismo e dal capitalismo avanzato, trasuda. La modernità è stata edificata sulle “tecnologie che ci hanno resi fantasmi”, e la postmodernità può essere definita come il soccombere del tempo storico al tempo spettrale dei dispositivi di registrazione. L’hauntology ripristina il carattere perturbante della registrazione rendendo la superficie registrata nuovamente udibile. Se la metafisica della presenza privilegia il qui-ed-ora, allora la metafisica dello scricchiolio (metaphysics of the crackle) suppone discronia e smaterializzazione: sconvolgendo la distinzione tra sfondo e primo piano, il rumore di fondo palesa un mezzo in decadimento, la precondizione temporale della registrazione. Fredric Jameson teorizza la modalità nostalgica postmoderna in termini di nostalgia mode, indicando, non una nostalgia psicologica, paradigmaticamente modernista, ma una nostalgia legata ad un attaccamento formale alle tecniche e alle formule del passato6: una technostalgia che comprende il desiderio per rituali sociali, pratiche, luoghi e stili di vita associati a determinate tecnologie e che spesso prende la forma di una nostalgia vicaria, spesso sfruttata commercialmente, un sentimento indiretto di desiderio malinconico per un momento accaduto prima o al di fuori dell'arco della propria memoria, ma riconoscibile a causa della ripetuta esposizione mediata ad esso. La relazione tra spettri e decorso tecnologico sembra dunque indissolubile e sintomatica dello sviluppo e della commodificazione dei mezzi tecnologici atti alla registrazione digitale.

Un’Arte hauntologica viene dunque delineandosi attraverso l’opera di artisti quali Jon Rafman, la cui pratica, quasi antropologica, indaga le tecnologie digitali e le comunità che queste creano, concentrandosi sulle perdite, sui desideri e sulle fantasie che modellano oggi le nostre vite intrise di tecnologia. I suoi personaggi sono riferimenti di riferimenti estremi ambigui: volti deformati, corpi che si sciolgono e immagini rinvenute nei più profondi interstizi di Internet, esperienze di alienazione, nostalgia, solitudine, memoria, che influenzano i processi di formazione del sé nell’era digitale. Dotata di un calore diverso, l’opera di Gregor Schneider edifica eterotopie spettrali, luoghi infestati da memorie personali e collettive asfissianti, che, con una costante pressione nei confronti del fruitore fanno sì che esso si trovi a mettere in dubbio qualsiasi sicurezza sulla propria identità spazio-temporale, e, confrontandosi con l’incoerenza del “fuori” si rivolga all’interno. Io a mia volta inserisco la mia pratica all’interno di una così descritta Hauntological Art attraverso opere che costituiscono paesaggi ipnagogici abitati da presenze compromesse, e che spesso mettono in scena luoghi e presenze affettivi, divisi tra dinamiche di disgregazione mnemonica e coazione a ripetere. Varie forme di elaborazione e conversione digitale creano un parallelo tra erosione di una memoria personale e disgregazione della realtà fisica in insiemi di informazioni ed astrazioni binarie, in opere in cui prevale un notturno costante, visioni desaturate esplorate torcia alla mano.

La natura ricorsiva del concetto di hauntology permette un costante rinnovo nelle potenzialità e nei mezzi espressivi dell’arte ad esso connessa: essendo questa un’arte connotata non tanto formalmente, quanto culturalmente, legata ad un eterno ritorno, al discronico perpetuarsi dei fantasmi privati e collettivi che popolano le nostre esistenze, gli esiti estetici futuri hanno a che vedere con il continuo disgregarsi e rinnovarsi delle forme culturali, con il progressivo decadere del reale all’interno del virtuale, e con la sopravvivenza di qualcosa, di uno scarto spettrale, negli interstizi hauntologici delle società umane.


1 Marx K., Engels F., Il manifesto del Partito Comunista (1848), Einaudi, Torino, 2014. Traduzione: “Uno spettro si aggira per l'Europa”.

2 Derrida J., Spectres de Marx: l'état de la dette, le travail du deuil et la nouvelle Internationale, Editions Galileé, 1993.

3 Fisher M., Ghosts of my life. Writings on depression, hauntology and lost futures, Zero Books, Alresford, 2014, p.26.

4 Hägglund M., Radical Atheism. Derrida an the time of life, Stanford University Press, Redwood City, California, 2008.

5 Derrida J., Op. cit., p. 123.

6 Fisher M., Ghosts of my life. Writings on depression, hauntology and lost futures, Zero Books, Alresford, 2014, p. 21.

Abisso, 2023, stampa diretta su tessuto termocromico applicato su dibond, 28x21 cm. Courtesy dell’artista.