Franco Basaglia e la psichiatria fenomenologica
Mario Novello
14.01.2024
Il testo che segue è tratto dalla Nota introduttiva di Mario Novello al volume di Mario Novello e Giovanna Gallio, Franco Basaglia e la psichiatria fenomenologica, con Postfazione di Eugenio Borgna, edito da Mucchi Editore.

Questo libro è nato dalla trascrizione di un seminario da me tenuto il 9 marzo del 2023, dietro invito del professor Stefano Righetti, presso il Dipartimento di lettere e filosofia dell’Università di Firenze, nel corso di Storia della filosofia morale. Il seminario si è svolto nell’ambito dei lavori dell’Unità di ricerca “Nuova antropologia filosofica”.1 La prima parte del volume comprende il programma così come è stato originariamente concepito, sotto forma di “montaggio” – lettura e discussione di diversi testi che gettano luce sul tema in oggetto: centralità e importanza della psichiatria fenomenologica nella formazione di Franco Basaglia e ripercussioni che la fenomenologia ha avuto sulla sua intera opera. La seconda parte è invece costituita dall’importante lavoro di ricerca di Giovanna Gallio, “La découverte de la réalité. Sartre ‘maître’ de Basaglia”, pubblicato in Les Temps Modernes nel 2012, e inedito in italiano.

Sono grato al professor Righetti di avermi offerto l’occasione per riprendere e mettere a fuoco un tema che è stato in generale trascurato e tenuto in sospeso negli studi sul pensiero e sull’opera di Basaglia, come se l’orientamento fenomenologico, e in particolare la Daseinsanalyse, che ha impregnato tutti i suoi scritti fino alla metà degli anni ’60, si perdesse sullo sfondo di un’esperienza che via via evolve e si realizza nella critica pratica del potere e sapere psichiatrico incarnati nel manicomio. Del resto nemmeno noi che nel ’72, freschi di laurea e dopo aver letto “L’istituzione negata”, ci eravamo precipitati a Trieste a lavorare con Basaglia, conoscevamo i suoi scritti fenomenologici, pubblicati in riviste poco frequentate. Non sapevamo niente, né della storia antecedente di Basaglia né della psichiatria fenomenologica di cui non si faceva cenno nell’insegnamento universitario, come se fosse un sapere esoterico, appannaggio di un’élite di psichiatri-filosofi. Eravamo tanto più distanti dalla possibilità di avvicinarci a questi studi in anni nei quali predominava la critica verso ogni forma di autorità e scienza, con l’attenzione tutta rivolta alle analisi sociologiche e politiche della psichiatria come istituzione, che andava radicalmente trasformata. Nemmeno Basaglia faceva mai cenno ai suoi studi fenomenologici. Nel 1979, poco prima di lasciare Trieste per Roma, mi aveva donato l’unica copia dei suoi scritti fino al 1965, la lunga lista che aveva preparato per l’ennesimo concorso universitario. Per me fu una vera e propria scoperta, ma negli anni complicati e difficili che hanno fatto seguito all’approvazione della legge 180, la lettura di quegli scritti non era certo agevole, come se fossero – già nel linguaggio – troppo distanti dai problemi che dovevamo affrontare giorno per giorno. Sarebbe stato un beneficio per tutti riuscire a leggerli e apprezzarne il valore, ma l’abbiamo capito solo parecchi anni dopo.

Certamente una cultura e una sensibilità fenomenologica era presente in alcuni di noi, suscitata dapprima dalla lettura dei libri dei due principali esponenti dell’antipsichiatria inglese, Ronald Laing e David Cooper, e in seguito dall’avvicinamento ad alcuni fenomenologi italiani e ai pochi testi di Minkowski e di Binswanger che allora circolavano, a cui si aggiunse per me, dopo la morte di Basaglia, un periodo di studi filosofici sotto la guida di Pier Aldo Rovatti.

A ben vedere tutta la parabola che va sotto il nome di “deistituzionalizzazione”, resa possibile a Trieste dalla messa a punto di nuove pratiche e dalla creazione di una rete di servizi territoriali alternativi al manicomio, era intimamente permeata dallo sguardo e dalla cultura fenomenologica che Basaglia ci aveva trasmesso. Penso in particolare a tutto il versante della critica teorica e pratica delle psichiatrie manicomiali e post-manicomiali, considerate ideologiche e istituzionalizzanti, e all’esercizio dell’epochè mediante la “messa tra parentesi della malattia”. Ma ancora di più penso al versante della non-alienità dell’altro, ben oltre il buonismo paternalistico, nell’attenzione che abbiamo sempre prestato alla singolarità della persona e ai suoi vissuti, nel riconoscimento di una dimensione esistenziale – dell’esserci – anche dei più deprivati e miseri, gli ultimi degli ultimi, sprovvisti di relazioni e di strumenti culturali, ma ancora capaci di esprimere una progettualità, pur nelle difficili contingenze in cui ciascuno si era trovato a vivere.2

Anche tutto il lavoro sul rapporto tra psichiatria e giustizia, sollecitato dalla profondità dei cambiamenti avviati da Basaglia riguardo allo statuto di pericolosità sociale del malato di mente e all’incomprensibilità della malattia, è stato informato da criteri di matrice fenomenologica, a partire dalla critica radicale delle categorie pseudo-scientifiche alla base del Codice penale del 1930 (Codice Rocco), riprodotte e cristallizzate nel tempo nonostante i dettami della Costituzione, e oggi riemergenti con rinnovata alterigia.3

Nella premessa al primo volume degli “Scritti” di Basaglia, pubblicato nel 1981, subito dopo la sua morte, la fase fenomenologica viene considerata da Franca Ongaro, sua moglie e collaboratrice, una dimensione preliminare, strettamente intrecciata, attorno al tema del corpo e della corporeità, alle fasi successive di “critica pratica” della psichiatria, sviluppata nel corso di quasi vent’anni nelle note esperienze di Gorizia, Parma e Trieste. Ma si deve soprattutto all’incessante e cristallina attività di Eugenio Borgna la riproposizione di Franco Basaglia come pioniere della fenomenologia esistenziale in Italia nel secondo dopoguerra, quando i principali esponenti di questa scuola – Jaspers, Binswanger, Minkowski, Straus – erano ancora in vita. Ci si potrebbe chiedere come mai un tale riconoscimento non sia partito da noi, allievi e stretti collaboratori di Basaglia.4 È difficile rispondere a questa domanda. Se in alcuni poteva esservi una sorta di resistenza sotterranea o un rifiuto ideologico nei confronti della scuola fenomenologica, così come di ogni altra ascendenza di un movimento che si è imposto per la sua radicale novità e originalità, per altri aspetti vi è stato per anni una sorta di pudore che ci ha impedito di parlare di Basaglia, e perfino di nominarlo. Da un lato nessuno voleva fare appello alla sua autorità per sentirsi più forte, dall’altro in Basaglia si incarnava il “noi” di una storia collettiva la cui posta in gioco non si era affatto esaurita dopo l’approvazione della legge 180, e le cui contraddizioni rimanevano più che mai aperte nella sfida di creare nuovi servizi di salute mentale in una prospettiva comunitaria.

La realizzazione degli obiettivi della riforma ci impegnava a non tradire il pluralismo dei soggetti, istituzionali e non, che avevano partecipato a vario titolo al processo di chiusura del manicomio, in un percorso collettivo di emancipazione e liberazione, arricchito dal protagonismo e dalle testimonianze delle persone che avevano esperito, o ancora esperivano, livelli intensi di sofferenza psichica.

Di questa dimensione collettiva e plurale del movimento di chiusura dei manicomi Basaglia non è stato solo il principale interprete, ma anche colui che più aveva coscienza dei rischi a cui ci eravamo esposti nel nostro “furore” pratico contro l’istituzione. D’altra parte non si può negare che la terminologia e le categorie concettuali della psichiatria fenomenologica possono essere astruse, molto distanti da quel linguaggio e sentire comune indispensabile nella pratica quotidiana, là dove si intrecciano saperi e ruoli diversi. Inoltre nell’ambito della scuola fenomenologica, anche tenendo conto delle sue evoluzioni più recenti, vengono esplicitate posizioni e definizioni cliniche secondo le quali lo psichiatra continua ad essere il “decifratore di senso”: posizioni e definizioni che Basaglia ci ha insegnato a mettere in discussione nel processo di superamento del manicomio.

Non a caso, quando tra il 2006 e il 2012 ho invitato Eugenio Borgna a tenere alcuni seminari a Udine, nel Dipartimento di salute mentale da me diretto, gli ho chiesto di tradurre i temi e i principi della fenomenologia in un linguaggio accessibile a tutti gli operatori, impegnati a vario titolo nel lavoro di salute mentale. In quei seminari Borgna si è rivelato un maestro insuperabile quanto alla capacità di trasmettere pensieri difficili in un linguaggio semplice e chiaro. Ed è in quel contesto che l’ho sentito ammettere per la prima volta che senza Basaglia la fenomenologia sarebbe rimasta appannaggio di una ristretta cerchia di studiosi, psichiatri senza dubbio dotati di una cultura raffinata, ma incapaci di incidere nella realtà dei manicomi.

Anche per me è stata una scoperta, e una fonte di apprendimento, vedere il modo in cui Borgna accettava di confrontarsi con le esperienze e i problemi che gli operatori gli proponevano, discutendo di realtà dure e complesse, praticamente vere, di fronte alle quali egli ammetteva alcuni limiti della fenomenologia, mentre riconosceva il valore dell’operatività di ciascuno, cogliendo la pluralità delle prospettive in gioco. I seminari erano aperti anche a chi aveva esperito o ancora esperiva forme di sofferenza psichica, e con ciascuno Borgna dialogava con pacatezza, serenità e rispetto. Per questa grande apertura e disponibilità all’ascolto, dove si realizzava il senso della presenza e la reciprocità nello scambio comunicativo, i seminari udinesi avevano riscosso un grande interesse, registrando sempre il pieno di operatori e operatrici dell’intera regione Friuli-Venezia Giulia.

Tra tutti i seminari ricordo in particolare quello tenuto da Borgna nel 2012, aperto a tutti ma specialmente dedicato alla formazione di giovani psichiatri e psichiatre, nel quale ci si prefiggeva di condividere una serie di conoscenze sui percorsi di accoglienza e ascolto delle persone che chiedono aiuto per gravi forme di sofferenza mentale. Il tema veniva proposto non in astratto, ma nella cornice della complessità organizzativa e culturale di servizi di salute mentale che erano stati istituiti simultaneamente alla chiusura del manicomio.5 Non ambulatori progettati a tavolino, com’è accaduto in molte realtà locali e regionali dopo la riforma, ma servizi aperti e funzionanti sulle ventiquattro ore, concepiti nell’ottica della presa in carico globale della persona. In centri di salute mentale così organizzati, dove le competenze professionali si intrecciano necessariamente con le culture e le reti di supporto informali presenti nel territorio, l’impostazione fenomenologica nei criteri di accoglienza evidenziano a tuttora l’importanza della “messa tra parentesi della malattia”, non solo per mettere al centro dell’attenzione il malato nella singolarità della sua vicenda biografica, evitando atteggiamenti e posizioni oggettivanti, ma anche per dialettizzare il tema spinoso e contraddittorio di una diagnosi formulata sulla base di una lista di sintomi definiti a priori6.

Sviluppando questi temi il seminario tenuto da Borgna ebbe ancora una volta un grande successo, come se l’orientamento fenomenologico continuasse, e continui a essere tuttora, il solo in grado di offrire all’operatore un orientamento scevro da pregiudizi e un’etica del lavoro in psichiatria: non conoscenze normate e codificate, ma un insieme di atteggiamenti, gesti, sguardi, modi di essere nel rapporto intersoggettivo. Di fronte all’entusiasmo degli operatori mi sono chiesto se questa esperienza formativa non rischiava di diventare un’ideologia di ricambio, definita criticamente da qualcuno come “psichiatria gentile”, o se bisognava invece apprezzarla come la riproposizione del significato originario della fenomenologia come critica della scienza oggettivante: critica che è stata alla base della formazione e dell’opera di Basaglia. Non ho ancora trovato una risposta alla mia domanda; di certo quello che accadeva in quei seminari, il clima che si creava tra i partecipanti era in sintonia con tutto ciò che sentivo lavorando con Basaglia, nella scia dei suoi insegnamenti.

Più che mai oggi, nella crisi evidente di servizi sempre più rinchiusi nei loro poveri spazi, soffocati da procedure e da classificazioni diagnostiche, sono convinto che la domanda che dobbiamo porci continui ad essere la stessa: fino a che punto è possibile – non solo sensato, ma obbligatorio – tenere aperta la contraddizione della specificità della psichiatria in tutto ciò che la contraddistingue dalle altre discipline mediche, e quali nuovi scenari si sono aperti nelle politiche di salute mentale, là dove la psichiatria da sola non può dare risposte alla complessità delle domande e dei bisogni delle persone più vulnerabili.

Per tutte queste ragioni ho accettato volentieri la proposta di riprendere e approfondire l’importanza che la fenomenologia ha avuto per Franco Basaglia e per la sua esperienza, personale e istituzionale, al fine anche di sollevare una serie di interrogativi sul ruolo che il metodo della Daseinsanalyse, associato all’esercizio dell’epochè o “messa in parentesi” delle categorie psichiatriche, potrebbe avere oggi, in tempi e contesti completamente mutati.

Il seminario, di cui ho mantenuto la struttura di dialogo pur ampliando le citazioni e i testi di riferimento, si presenta come un percorso antologico costituito da brani di diversi autori, con alcuni dei quali ho lavorato e collaboro a tuttora. Suggerendo spunti e percorsi di analisi, i brani permettono di delineare un quadro complessivo, rimandando necessariamente alla lettura dei libri e delle pubblicazioni da cui sono tratti. Del seminario si è conservata l’idea di canovaccio, un laboratorio in cui le riflessioni, talvolta ridondanti, procedono di pari passo con l’affiorare alla memoria di immagini e parole di Basaglia, costituendo solo l’avvio di un lavoro più ampio e allargato, auspicabilmente collettivo e condiviso.7

L’esposizione è strutturata in tre parti. Nella prima, dedicata a introdurre concetti e parole-chiave della psichiatria fenomenologica, e in particolare della Daseinsanalyse, si comincia a evidenziare il ruolo e la posizione originale di Franco Basaglia, tenendo conto del suo primo ampio studio del 1953 che inaugura la serie degli scritti fenomenologici. Nella seconda parte evoco i momenti salienti dell’esperienza basagliana, da Gorizia a Trieste, soffermandomi su quelli che Basaglia stesso indica come tappe evolutive della sua opera, chiedendomi quali sono le tracce persistenti del suo orientamento fenomenologico. Infine nell’ultima parte mi soffermo sul tema dell’epochè e della “messa tra parentesi della malattia”, cercando di rintracciare elementi di continuità e di confronto tra gli anni ’60 e ’70, chiedendomi quali sono state le evoluzioni di quello che è considerato uno dei segni distintivi dell’esperienza basagliana, e quali possono essere le possibili attualizzazioni di quello che Rovatti chiama “il gesto fenomenologico”.8

Poiché nel corso del seminario ho constatato che la maggioranza degli studenti era del tutto sprovvista di conoscenze, non solo sul movimento riformatore degli anni ’60 e ’70, ma anche sulla legge 180 e sull’assetto attuale della psichiatria nel confronto col passato, ho ritenuto necessario costruire un ricco apparato di note, fornendo una serie di informazioni e di indicazioni bibliografiche, nella speranza che i futuri studenti-lettori siano sollecitati a portare avanti la ricerca su questi temi.

Sono grato a Giovanna Gallio per avermi dato preziosi consigli e aiuti nella trascrizione del seminario e nella composizione del libro.9 Senza la sua disponibilità a discutere i passaggi di quella che per entrambi è stata un’esperienza che ha cambiato le nostre vite, sarebbe stato più difficile decantare le mie riflessioni, liberarle dal groviglio di una memoria non pacificata in un racconto che alcuni considerano stabile e definitivo, e che io invece ritengo più che mai aperto per la forza stessa delle contraddizioni che Basaglia ha svelato, e che non si sono di certo ricomposte dopo la chiusura dei manicomi.

Sono anche grato a Eugenio Borgna per aver letto la prima trascrizione del mio seminario e avermi inviato uno scritto che, più che un commento, rappresenta una viva testimonianza del suo lavoro di psichiatra.

Trieste, 25 settembre 2023




1 L’invito è stato rivolto alla Conferenza Permanente per la Salute Mentale nel Mondo “Franco Basaglia”, di cui sono socio sostenitore. Co.Per.Sa.M.M., denominata anche Conf/Basaglia, è un’associazione che persegue finalità civiche e solidaristiche a favore di terzi, promuovendo interventi educativi, formativi e di cooperazione internazionale. È stata creata nel 2010 a Trieste per volontà di Franco Rotelli ed è attualmente presieduta dalla psichiatra Giovanna Del Giudice.

2 Alludo qui alle contingenze – economiche e sociali, storiche e politiche – in cui si erano trovati a vivere molti internati dell’ospedale psichiatrico di Trieste durante e dopo la seconda guerra, specie quelli di origini istriane e dalmate che avevano patito le sofferenze dell’esodo.

3 Il Trattato di psicopatologia e psichiatria forense, pubblicato nel 1972 da Giovanni De Vincentiis, Antonio Castellani e dal fenomenologo Bruno Callieri, anticipava il tema dell’imputabilità anche in presenza di gravi disturbi psichici, in opposizione a una prassi consolidata nella psichiatria forense dell’epoca, che prevedeva l’invio automatico della persona in Ospedale psichiatrico giudiziario sulla base del giudizio diagnostico. Negli ultimi anni tale prassi si è nuovamente consolidata con pretese di scientificità: un vero ritorno al passato, suggestivo di una crisi di sistema.

4 È stato per primo Franco Rotelli a sottolineare l’importanza della fenomenologia nell’opera di Basaglia nel 1983, a tre anni dalla morte, ma il suo scritto è passato inosservato (F. Rotelli, “L’uomo e la cosa”, in Quale psichiatria, Edizioni Alphabeta Verlag, Merano 2021, p. 21-32). Molto tempo dopo, nel 1995, a riavviare una discussione sul pensiero di Basaglia e sull’impianto fenomenologico-esistenziale della sua formazione è stato il Laboratorio di filosofia contemporanea di Trieste, diretto da Pier Aldo Rovatti, in un ciclo seminari tenuto nella sede del Dipartimento di salute mentale (cfr. P.A. Rovatti, “Che cos’è un soggetto”, in Follia e paradosso. Seminari sul pensiero di Franco Basaglia, a cura del Laboratorio di filosofia contemporanea e del Centro studi e ricerche per la salute mentale del Friuli-Venezia Giulia, edizioni “e”, Trieste 1995). Sul versante filosofico Rovatti ha continuato a insistere nel corso degli anni sull’importanza del pensiero di Basaglia, proponendo sfide e sollecitazioni (sull’epochè, sul rapporto tra fenomenologia e “pensiero debole”, sulla restituzione della soggettività, sulla trasmissione delle conoscenze e dei saperi) che non hanno avuto risposta, così che un vero dibattito su questi temi non è mai nato nel gruppo di coloro che più da vicino hanno conosciuto Basaglia e collaborato con lui.

5 La chiusura dell’ospedale psichiatrico Sant’Osvaldo di Udine è avvenuta nel 1999, dopo un intenso lavoro di deistituzionalizzazione documentato in scritti sparsi. Cfr. L. Scoppelliti, Manicomio addio. Storie di matti, Prefazione di F. Ongaro Basaglia, Arti Grafiche Friulane, Udine 1997; M.A. Bertoni, K. Duesberg, B. Galmo, C. Simonitti (ed.) Parole e gesti di cura. Testimonianze e narrazioni a quarant’anni dalla legge 180, L’Orto della Cultura Editore, Udine 2018; M. Novello, “Is it possible to reproduce Trieste’s System? The experiment in Udine from 1995 to 2012”, in Community Mental Health: the Trieste Experience, ed. R. Mezzina, S.P. Sashidharan, Oxford University Press, in corso di stampa; M. Novello, Fondazione e fine del manicomio di Udine (1904-1999). Attualità di una storia, Atti dell’Accademia “San Marco”, Pordenone 2022.

6 Parlando a San Paolo del Brasile, nel giugno del 1979, dei nuovi centri di salute mentale che erano stati creati a Trieste man mano che gli internati dell’ospedale psichiatrico venivano dimessi, Franco Basaglia così si esprime: “Avevamo una struttura esterna molto agile, nella quale era affrontata la malattia fuori dal manicomio. Vedevamo che i problemi riferiti alla pericolosità del malato di mente cominciavano a diminuire: cominciavamo ad avere di fronte a noi non più una “malattia” ma una “crisi”. Noi oggi mettiamo in evidenza che ogni situazione che ci viene portata è una “crisi vitale“ e non una “schizofrenia”, ovvero una situazione istituzionalizzata, una diagnosi. Allora noi vedevamo che quella “schizofrenia” era espressione di una crisi, esistenziale, sociale, famigliare, non importa, era comunque una crisi. Una cosa è considerare il problema una crisi e una cosa è considerarlo una diagnosi, perché la diagnosi è un oggetto mentre la crisi è una soggettività, soggettività che pone in crisi il medico, creando quella tensione di cui abbiamo parlato prima.” (In F. Basaglia, Conferenze brasiliane, a cura di F. Ongaro Basaglia e M.G. Giannichedda, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000, p. 13).

7 Il seminario comprendeva brani e citazioni di Franco Basaglia, Franca Basaglia Ongaro, Ludwig Binswanger, Eugenio Borgna, Mario Colucci, Pierangelo Di Vittorio, Giovanna Gallio, Enzo Paci, Agostino Pirella, Franco Rotelli, Pier Aldo Rovatti, Sergio Zavoli. La trascrizione del seminario, in vista della composizione del libro, ha suggerito di apportare alcune modifiche per rendere più chiara l’esposizione. Ho rinunciato a riportare alcuni passi letti nel seminario perché aprivano problemi importanti, ma difficili da sviluppare; contemporaneamente ho ampliato alcuni brani e ne ho scelti di nuovi, ritenendoli più illuminanti o più coerenti con la trattazione.

8 Mi riferisco al saggio introduttivo, scritto da P.A. Rovatti, del numero monografico della rivista “aut aut”, Il gesto fenomenologico, n. 390, il Saggiatore, Milano 2021.

9 Giovanna Gallio ha svolto una funzione di editor della prima trascrizione del seminario, colmando spazi lasciati vuoti o in sospeso, stabilendo dei raccordi e suggerendo nuovi inserti. Inoltre, dato il carattere propedeutico del libro, indirizzato prima di tutto agli studenti, mi ha aiutato nella stesura di note, chiarimenti e indicazioni bibliografiche. È stata una straordinaria esperienza di dialogo e confronto tra due posizioni e prospettive diverse, tenendo conto dei molti piani su cui l’indagine andava sviluppata: il lavoro sul campo, la ricerca, la riflessione storico-filosofica e politica.



© Mario Novello, Giovanna Gallio, Franco Basaglia e la psichiatria fenomenologica, Mucchi Editore 2023