Ecologie in con-divenire
Tiziana Villani

10.04.2021

Nel suo Chthulucene, Zero Edizioni, 2019, Donna Haraway fa comparire alla fine del testo una sorta di racconto fantascientifico di cui è protagonista una bambina-simbionte, Camille. In realtà le Camille saranno poi diverse sino a Camille 5 destinata dal popolo delle farfalle monarca dopo il 2400 a intraprendere una rischiosa simpoiesi, in cui ci si si sarebbe trovati a confrontare con nuovi modi di vivere del mondo in evoluzione, un mondo nel quale i Bambini del Compost avrebbero dovuto esplorare nuovi con-divenire.

A sua volta I. Stengers, che sviluppa un’interpretazione dell’ecologia a partire da un confronto tra le scienze dure e quelle umanistiche, ci invita a considerare la questione dell’irreversibilità di numerosi fenomeni ed eventi che si producono su
scala ecosistemica, trasformando in modo irreversibile le condizioni di vita. E tuttavia ciò che la preoccupa in modo specifico, soprattutto a fronte della recente diffusione della pandemia è, come afferma in una sua recente intervista rilasciata a
Naïm Karraz per il sito “agirparlaculture” e ripreso da “Sinistrainrete.info” il 7 marzo 2021: “Ciò a cui abbiamo effettivamente assistito, sono le conseguenze di un idealismo. Quella del rifiuto di prendere sul serio ciò che avrebbe potuto mettere in
discussione l’onnipotenza di cio’ che è considerata l’unica legittima fonte di azione e di pensiero, in questo caso, per i nostri leader, la logica del mercato e della crescita. Per cui, quando l’idealismo si trova improvvisamente di fronte a qualcosa da cui non può più sfuggire, è il panico! Si trattava quindi piuttosto di un crollo del pensiero dello Stato, del pensiero di chi ci governa. Con tutta la brutalità del “non sappiamo più cosa fare, quindi fermiamo tutto!”.

Ora questa lettura affrontata nel corso degli anni da Stengers unitamente a Ilya Prigogine, (Prigogine, Stengers, La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza, 1999) ci prospetta una condizione in cui l’ecologia per essere davvero tale è chiamata a considerare il problema dei rischi dovuti ai modelli di sviluppo dominante, alle politiche di governance e al susseguirsi di catastrofi, incidenti direbbe Paul Virilio, (Virilio, L'incidente del futuro, 2002) che percorrono l’idea di uno sfruttamento infinito, di una distribuzione ineguale e alla fine politiche di selezione, non solo umana, ma dell’intero vivente. L’incidente a più riprese evocato da Virilio prende in carico il problema della tecnica come mezzo mai neutrale, quanto caratterizzato in sé dalla sua origine e applicazione che non solo compensa le carenze dell’umano, ma ne potenzia le facoltà distruttive. In tal senso l’ecologia non può prescindere da un’attenta considerazione della tecnica in stretta correlazione con il piano ambientale, pena cadere in letture neo-romantiche che si ostinano a rimandare al naturale perduto, al wilderness come talora accade in alcune letture dell’ecologia profonda, che infatti non esita a parlare anch’essa di Ecosofia (A. Naess, Ecosofia, 1968).

Lo spunto di queste riflessioni che come abbiamo visto spesso producono piani di riflessione tra loro profondamente alternativi, ci permette di mettere al centro della analisi ecologica le questioni del con-divenire in ambito sociale, etico, politico e tecno-ambientale, che offrono approcci di studio diversi, ma convergenti nell’intento teorico-politico di non relegare le questioni ambientali in settori di ricerca co-gestivi  rispetto allo stato delle cose. L’Ecosofia opera in questa direzione a partire certo dalla
proposta di F. Guattari, (Guattari, Le tre ecologie, 1989) ma anche da altri settori del pensiero critico di ispirazione francofortese e oggi dalle molte forme dell’attivismo e delle teorie queer e femministe. Un utile rimando, in questo senso, è quello al pensiero di M. Merleau-Ponty che trova un’importante collocazione nel recente libro di Gianluca De Fazio, Ecologia del possibile. Razionalità, esistenza, amicizia con Prefazione di Ubaldo Fadini ed editato da Ombre Corte quest’anno. Questo volume rimanda a un lavoro che De Fazio ha declinato nel corso delle sue ricerche personali, ma anche collettive con il laboratorio di Officine filosofiche.

Il testo percorre alcuni temi che si sono imposti con urgenza nel dibattito filosofico più recente, questi temi, tra cui la dimensione etica dell’ecologia, il superamento del dualismo natura-cultura, il problema dell’amicizia e dunque delle alleanze necessarie permettono l’assunzione di un terreno politico-filosofico che si nutre di diverse linee di pensiero che riprendono le facoltà kantiane e in primis quella dell’immaginazione, giungendo sino ai recenti lavori di Viveiros de Castro e dunque alla considerazione delle articolazioni coloniali di un dominio in cui le soggettività resistenti devono fare i conti con l’impronta del comando dell’uomo bianco. Ma è sempre ai numerosi riferimenti a Merleau-Ponty, che De Fazio riprende lungo tutto il testo, che emerge come centrale la questione del vivente non riducibile all’oggettivazione.

L’umano nella sua “stratificazione” rimanda così a una lettura della Natura come “possibilità”, a un’ecologia, un’ecosofia che intende sviluppare una vocazione “psico-sociale” e che accoglie l’“imperfezione possibile”. È in questo senso che il vivente viene inteso nella sua dimensione relazionale e quindi anche ambientale e che le passioni spinoziane aprono a prospettive immanentistiche. L’attenzione all’etnografia, all’antropologia, alle recenti ricerche dedicate al problema del colonialismo, come estensione di forme brutali di asservimento e “razializzazione” dell’umano e dei contesti ambientali trova un’interessante approfondimento nei testi di G. A. Anzaldúa, (Anzaldúa, Borderlands/La Frontera: The New Mestiza,1987).

Attivista, chicana, accademica, femminista, meticcia esploratrice di quella frontiera del queer, che in campo ecologico sta conoscendo giusta attenzione. Quello che Anzaldúa mette al centro delle sue ricerche è la condizione di transito, di vita e attraversamento della frontiera, delle frontiere che tanto sconvolgono, fratturano le individualità scacciate certo dalle proprie terre, private dei mezzi minimi di vita, ma anche schiacciate in ruoli, generi e “razze” predeterminate da strutture rigide che fanno del riconoscimento, della catalogazione il fondamento degli odierni sistemi di controllo (Deleuze, Post-scriptum sur les sociétés de contrôle, 1990) e che si declinano evidentemente ancora in stretta articolazione con i modelli disciplinari e di securizzazione analizzati da Foucault (Foucault, Sécurité, Territoire, Population,1978).

Questo continuo prodursi di condizioni estreme, spesso violente trova possibilità di resistenza e di riformulazione proprio nelle pratiche del con-divenire ossia di un’ecologia che non può darsi se non è in grado di ripensare radicalmente il paradigma positivista e idealista denunciato da Stengers. L’approccio dell’ecologie politiche è inevitabilmente un approccio critico verso una mentalità, un modello, una storia che continuano a segnare con cinica violenza i corpi, gli affetti, le amicizie, relegandole nello spazio dell’inessenziale, dell’inutile e del sacrificabile. Le alleanze ecosofiche si pongono come alternativa a questi scenari di sacrificio imposti come se non vi fossero espressioni di vita che si esprimono altrimenti. È il presente che deve tornare a nutrire futuri possibili.