Del teatro e del suo abuso nel capitalismo
Giulio Carbone

08.11.2021

Che sia il grande teatro d'opera, con scene e costumi da capogiro, che propina sempre gli stessi titoli per il pubblico borghese, o che sia questo teatro postmoderno, più incolto ma non meno elitario; ricco o povero il teatro va in malora, e mi stupisce e mi rattrista vedere come tutti questi “artisti” se ne accorgano solamente quando questa crisi annosa colpisce infine il loro stato di occupazione (causa chiusura per emergenza sanitaria). La meschina considerazione delle istituzioni, della società tutta, di noi stessi per quel che appunto è chiamato anzitutto "spettacolo", e l'ormai più che diffuso disimpegno culturale sono evidentemente la medesima cosa.

Come indicato dall'ultima “Relazione sull’utilizzazione del Fondo Unico per lo Spettacolo e sull’andamento complessivo dello spettacolo, del Ministero della cultura, l'incidenza del FUS (Fondo Unico Spettacolo) sul PIL è dello 0,0194% (0,0!): una condizione emblematica non soltanto dell'arte.

D'altronde, quale sia la forma cui l'artista sia indotto ad osservare (d'accademia o d'avanguardia), la quasi assoluta mancanza di discernimento e praticamente l’incompetenza comune al nostro storico sostrato sociale, rendono la sostanza poetica del tutto insignificante.

Un formalista del novecento scrive: «Possiamo perciò definire il teatro come "ciò che avviene tra lo spettatore e l'attore". Tutto il resto è supplementare (...)», ma vi dirò di più: per il pubblico è necessario un principio di valore - che bisogna esprimere in sostanza... Altrimenti sfondiamo porte aperte. Quanti ne ho visti, dilettanti, atteggiarsi a Pierrot in appelli, e invece piangere soltanto per i fondi d'emergenza o i guadagni al botteghino, ma chiediamoci: se facciamo del teatro il trastullo di una maschera, in realtà di chi stiamo facendo gli interessi?

Giacché "cultura" non sta a indicare una mera pratica dell’intelletto, ma è il complesso delle cognizioni per la nostra coscienza (che genera la vita sociale e civile, animale e spirituale dell'uomo), chi sotto qualunque aspetto vi si dedica dovrebbe prendersene gli oneri piuttosto che gli onori o, molto peggio, i privilegi. Chi non ha l'integrità, le capacità o perfino la voglia per l'impegno (a Napoli si dice "'o genio"), almeno comprenda di star scalzando un'istituzione fondamentale, alla stregua di qualunque villania da cui il "signore" si pensi allora progredito.

In epoca classica andare a teatro era un considerevole motivo morale, vi ci si recava come a un consiglio di stato, con altrettanta disposizione d'animo. E sebbene di evo in evo, con la morale, la cultura muti, tuttavia - la poesia, per l’appunto l’ispirazione - evolve per sintesi mica per conflitto.

Oggi i media saranno pure altri, certamente ne abbiamo una maggior varietà che all'epoca de "L'Orestea" o de "Il candelaio", ma la loro funzione resta sempiterna: l'impegno civile di Eschilo, primo tragediografo rinomato (525 a.C.), fu tale da consacrargli sulla lapide i meriti militari: Machiavelli fu notoriamente drammaturgo oltre che un politico e diplomatico: durante il ventennio tenemmo l'Istituto luce, la televisione commerciale già nei settanta, e oggi quante piattaforme streaming, serie Tv e personaggi edificanti ci coscrivono le menti?

Il riconoscimento delle funzioni pubbliche è fondamentale per legittimare le arti non meno delle altre professioni portanti.

Nella città di Napoli ci son nientemeno che trentadue teatri (32!), almeno cinque dei quali sale stabili, e con tanto di associazione istituita, che quindi per antonomasia dovrebbero fornire un servizio pubblico (si definisce infatti "stabile" ogni teatro di proprietà e volontà comunale, invece che privata, e dunque dalla particolare attenzione alla realtà territoriale)... In Italia rasentiamo forse i duemila.

Dopotutto la modernità pur non è che una crisi culturale - l'aspetto stesso dei teatri, il suo stile tipico, è memore d'aspirazioni di classe -, ma resta comunque un processo tale da aspettarsi un altro atto ancora; che succederebbe qualora tanta rete di canali trasmettesse piuttosto informazione, analisi e ricerca? Una catarsi che accresce sempre più il numero degli uomini desti, coscienti e capaci: la possibilità di ascensione e partecipazione di ognuno alla verità.

Siamo tutti entusiasti, infine, della riapertura di cinema e teatri, ma se il sipario si rialzasse nuovamente con anche quella forza che pure prima della pandemia non pare sia stato proprio in grado di soddisfare, allora si che al teatro si farebbe onore.