Crepe nella città. Una nota su Progetto Minore di Camillo Boano
Alessio Kolioulis

02.07.2021

I grandi progetti sono l’asso nella manica dello Stato neoliberale. Ogni qualvolta un disastro socio-ambientale colpisce l’Italia - dal crollo di un ponte autostradale all’attuale pandemia - i ministeri di competenza accorrono sui luoghi del disastro promettendo progetti di ricostruzione per “rilanciare il paese”. È capitato di recente a Genova, con la firma di Renzo Piano al progetto del nuovo Ponte Morandi. Stava per accadere con i padiglioni temporanei a forma di primula per la campagna di vaccinazione anti-Covid-19 affidati allo Studio Boeri Architetti (progetto poi bocciato per evitare ulteriori ritardi al piano di vaccinazione). Quando si tratta di ricostruire, rilanciare, ripensare, lo stato cala dall’alto il mega progetto, deus ex machina, simbolo di un capitale che distrugge e crea. Stato che fa del simbolo una convenzione, come nel caso di Build back better (“ricostruire meglio”), messaggio dei conservatori inglesi e dei democratici statunitensi per il ricovero economico durante la pandemia. Un progetto, quello della grande opera, che è quindi trasversale e funzionale allo stato neoliberale.

Progetto Minore dell’architetto Camillo Boano ha il pregio di rompere con il discorso della grande opera, ripensandone grandezze scalari e gradi di prospettiva. Il saggio, uscito per LetteraVentidue, ricerca anzitutto linguaggi capaci di minare la natura puramente infrastrutturale del progetto, ponendo invece al centro la questione sociale che caratterizza le dinamiche di urbanizzazione contemporanee. A questo proposito, Progetto Minore propone tre direzioni di ricerca importanti: il rifiuto dell’operosità, la lotta decoloniale e il piano istituzionale di una comunità minore. Queste tre declinazioni sono i tre ‘minori’ articolati dall’autore – il minore inoperare, il minore decoloniare e il minore istituire – sviluppati dentro e fuori la ricerca urbanistica e architettonica. La stazione di partenza è la riflessione sul progetto, un concetto che l’autore rivede anche alla luce dell’esperienza accumulata nel campo della pianificazione urbana in Medio Oriente, in Sud America e nel Sud-Est Asiatico. In questo senso, mi piace pensare che il saggio di Boano inviti a una più ampia elaborazione del progetto decoloniale specialmente nel contesto delle città italiane.

Rispetto alla necessità di una tale ricerca, le note che costituiscono Progetto Minore sono già importanti in quanto frutto di una ricerca originale che i lettori italiani potranno esplorare andando ad approfondire riferimenti non particolarmente noti al di fuori della letteratura specialistica in inglese. La novità di questo saggio è dunque anche un confronto tra “letterature minori”, presentando al pubblico italiano autori come Catherine Walsh, Jane Rendell e AbduMaliq Simone (solo per nominare alcune delle numerose referenze bibliografiche), di cui si spera vengano presto tradotte in italiano le opere principali. Il lavoro di Boano, sia ricco che denso, presenta in questo modo pensatori importanti per il pensiero critico in campo urbano.

In merito alle qualità teoriche del saggio, vorrei soffermarmi sulla bella formula di Boano “la minorità che affronta il negativo”, in quanto rinvia a un concetto chiave per Progetto Minore: la crepa o grietas - elaborate nel testo di Catherine Walsh Pedagogias decoloniales. Se l’operosità del progetto individua nella crepa una nota di disturbo da correggere tecnicamente, la crepa del disegno minore rimanda a un fuori non negativo, un fuori che rovescia i segni della crisi e ne fa dinamica di sviluppo, ne fa processo aperto ai conflitti: “Il progetto ed il fare progettante richiedono quindi una tensione inoperativa che riproponga la sua effettualità capace di rinunciare alla arroganza di un divenire sempre uguale, senza salti né rotture, senza grietas. Una linea immanente da ricercare che anticipa un’inoperatività capace di invertire, una destituzione capace di resistere e una decolonialità in grado di sovvertire il presente, per aprire al possibile”. (p. 35)

Questo passaggio rimanda anche al forte impatto di Giorgio Agamben sul lavoro di Boano, già ampiamente rintracciabile nella monografia apparsa in inglese The Ethics of a Potential Urbanism: Critical Encounters Between Giorgio Agamben and Architecture. A testimonianza di questo confronto, i due capitoli sul “divenire” sviluppati in Progetto Minore sono filtrati attraverso la lettura di Agamben e di Elizabeth Grosz. Rispettivamente al primo, Boano recupera il movimento dell’immanenza contro il negativo – che non può fondare un soggetto, ma al massimo sfondarlo, disfarlo, destituirlo. Circa la seconda, Boano sovrappone il virtuale al reale per affermare le possibilità di una pluralità di mondi post- e de-coloniali, pluriversi, secondo il pensiero d'Isabelle Stenger. In conclusione, i due capitoli confluiscono nell’elaborazione di alcuni lineamenti di una teoria minore in cui la finalità del progetto è sciolta nel suo processo, provando a superarne logiche e ordini interni.

È su questo punto che, a mio avviso, un confronto più stretto con l’opera di Félix Guattari avrebbe problematizzato il minore, ponendolo criticamente a fianco del “micro” e del “molecolare”. Il filosofo francese e amico di Deleuze ha più volte posto l’attenzione sulla problematicità delle soggettività micropolitiche. Lungi da farne un’ode, per Guattari la micropolitica è costellata di tecniche particolarmente insidiose, le quali però costituisco il terreno di battaglia del capitalismo ad alto contenuto tecnologico. Il micropolitico, soprattutto se declinato nel processo comunicativo-finanziario e in quello di significazione del quotidiano, è un minore dominato a distanza, un cosmo solo apparentemente differente, specialmente quando è il capitale umano a essere automatizzato da piattaforme e algoritmi. C’è, tuttavia, una via di uscita dal totalitarismo delle tecniche di controllo.

 Come ricordano Tiziana Villani e Ubaldo Fadini attraverso i multiversi urbani di Walter Benjamin e le crepe di Theodor W. Adorno in Minima Moralia, il vagabondare tecnico può aprire a un nuovo progetto fissato nel corpo. È possibile attraverso la tecnica un’esperienza non negativa del mondo se l’attraversamento della crepa va a costituire una metamorfosi non solo di corpo ma anche di relazioni politiche, di trasformazione delle relazioni di potere. In questa prospettiva il contributo di Progetto Minore è allora un fattore d'interesse per chi si occupa di ecologia politica, teoria critica e filosofia della città. Progetto Minore apre alle grietas, alle crepe improvvise che fendono le mura della polis, e quindi alle alterità che resistono i disegni gerarchici del potere.