Contro le tirannie del silenzio. La poesia in Audre Lorde
Melania Moltelo

15.02.2023

«Di’ loro che non sei mai veramente una persona intera se stai zitta, perché c’è sempre quel pezzettino dentro di te che chiede di essere detto e, se tu continui a ignorarlo, diventa sempre più arrabbiato e più intrattabile, e se non parli un giorno o l’altro prende e ti dà un pugno in bocca».


Per anni ho diffidato della poesia e dei suoi eccessi di maniera, un esercizio di stile che mi sembrava marcire nelle fortezze accademiche o affare di padri bianchi con la mania di sterili giochi di parole. La poesia mi sembrava, salvo poche eccezioni, sottrarre per definizione agli emarginati l’ultima possibilità di riscatto, celebrando l’isolamento di un’arte pura e con esso il rafforzamento delle forme di potere.

Così ritenevo il silenzio dissacrante, una fonte di resistenza alle parole del potere (o al potere – repressivo – delle parole) macinato nella musicalità seduttiva dei versi degli uomini di cultura.

Ma nel tempo mi sono scontrata con l’opera di Audre Lorde e soprattutto con il suo saggio La poesia non è un lusso, contenuto nella raccolta ripubblicata nell’ultimo anno da Meltemi e intitolata Sorella outsider, in cui viene fuori tutta la forza del pensiero della femminista nera che ha straordinariamente anticipato la corrente dell’intersezionalità. Le pagine del testo ruotano intorno alla riscoperta del concetto della differenza, rivalorizzato come opportunità di ripensare il mondo a partire da un punto di vista alternativo, attraverso una disamina dei limiti del femminismo bianco e di quei posizionamenti che trascurano la violenza dell’eteronormatività, dei razzismi e delle differenze di classe: è una considerazione ancora attuale che fa della differenza un ventaglio problematico in grado di offrire lo spunto per denunciare la debolezza di rivendicazioni che sfruttano le questioni di genere senza liberarsi dei privilegi di classe e di razza. È nello stupore di questa lettura che ho cominciato a realizzare che anche il silenzio è una tirannia. Il silenzio è una tirannia dal momento che ci condanna ad arrenderci allo stato delle cose, non salvaguardandoci comunque dalla morte. Anche nel silenzio abbiamo paura, siamo indifesi.

Lorde mi ha insegnato “brutalmente” che non vale la pena di restare zitti, che preme, invece, in ogni momento, la necessità di inventarsi nuove armi che non rientrano tra gli «strumenti del padrone», che l’unico atto di rivoluzione è la trasformazione di quel lungo silenzio in parola e azione, in amore e lotta. C’è una poesia, allora, che non è celebrazione del sé, ma produzione di sorellanza, di collettivismo e testimonianza di vite al margine. La poesia è rivoluzionaria quando tenta di dire l’indicibile, quando lascia intravedere la dirompenza del possibile e il carattere non definito e non definitivo della realtà. Lo è quando si alimenta dei sogni collettivi di libertà, correndo il rischio di nominarli e rendendoli, in questo modo, in parte già realizzati perché è nella condivisione che si scopre il primo grado di realizzazione.

Contro la gabbia del pensiero sancita dal Cogito della grande filosofia, la Madre Nera che è in ognuno di noi – come traccia vitale dell’emarginazione e della violenza messa in atto e in sistema dai più forti – rianima quel sentire che non si concede alle logiche del profitto e agli schemi consolidati di certa prosa, ma li disattiva con la sua natura inedita ed emergendo dal silenzio punitivo in cui si tenta illusoriamente di sopravvivere. Perché la parola più sovversiva è quella che prende forma nei mutismi della povera gente, della gente offesa, derisa, insultata, sul punto di morire, senza mai tralasciare il peso di quel silenzio provvisorio: come imparare a gridare con la bocca ancora tappata.

Come ricorda Lorde, inoltre, la poesia appartiene alle classi subalterne non solo per l’imprevedibilità con cui rompe il silenzio più soffocante, ma per precise ragioni economico-sociali: la poesia è la forma d’arte più economica, «quella più segreta, che richiede meno fatica fisica, meno materiale, quella che si può praticare tra un turno di lavoro e l’altro, nella dispensa di un ospedale, sulla metropolitana, e su pezzi di carta da recupero». Questo ribadisce l’influenza delle risorse materiali e delle condizioni economiche nella produzione di arte, smentendo le concezioni più ingenue e quelle dominanti, ripensando finalmente la creatività in termini reali di socialità e lotta.

La vita vince sulla morte quando raccoglie le voci di chi ha corso fino in fondo il pericolo di “stonare” i ritornelli del padrone, dando ritmo a una produzione per lo più dimenticata dai manuali e dalla storia ufficiale della poesia.