Con la restaurazione ritorna la "guerra fredda"
Vittorio Boarini

18.08.2021

Si parla, non sempre con cognizione di causa, di un ritorno della guerra fredda, di una nuova contrapposizione fra occidente e oriente, con gli Stati Uniti e suoi alleati atlantici, che in verità non sono solo atlantici, e alcuni paesi orientali che ora non possono più definirsi comunisti anche se la Cina seguita a proclamarsi tale. La nuova versione della guerra fredda nell’era di Biden non è, infatti, basata sul confronto tra la democrazia occidentale e il totalitarismo comunista, bensì sullo scontro fra i paesi che rispettano i diritti umani e l’insieme della nazioni, Russia e Cina in testa, che li negano.

Tutti vedono che si tratta sempre del rinnovato conflitto imperialistico per il controllo delle risorse naturali da depredare, dei territori strategici, dei mercati combattuto non con le armi in pugno, anche se non si escludono, ma con la produzione degli armamenti più sofisticati e potenti, cioè con la classica superiorità militare. Non soffermiamoci sulla facile ironia dell’America che si erge a difensore dei diritti umani dopo le tante guerre scatenate nel mondo a esclusivo beneficio dei produttori di armi o il mantenimento del lager di Guantanamo o la Turchia punta avanzata dell’alleanza atlantica o, e per finire, l’alleanza con l’Arabia Saudita e paesi analoghi.

Vediamo, invece, la più palese differenza con la situazione degli anni cinquanta: il palese tentativo di Biden di attuare una politica interna ispirata al New Deal roosveltiano, al keynesismo, anche per raffreddare gli aspetti dell’ apartheid che tuttora caratterizzano gli Stati Uniti. Inoltre sono cadute le vergognose bandiere del maccartismo, da un lato, e del dogmatismo staliniano dall’altro.

Per capire la sostanza del fenomeno che si ripropone credo sia necessario inserirlo nel quadro più ampio e complesso della restaurazione, intendendo per restaurazione il classico ritorno all’ordine dopo che quello precedente in qualche misura è stato turbato. Nato storicamente con il congresso di Vienna, convocato con l’assurdo proposito di ripristinare l’ancien regime, cioè l’ordine europeo precedente la rivoluzione francese, il processo restauratore ha sostituito il sangue versato dalle guerre napoleoniche con quello dei patrioti, dei liberali, dei democratici degli anarchici e, infine dei socialisti.

La repressione della Comune di Parigi tocca l’acme di questo processo, ma non dobbiamo dimenticare le cannonate del generale umbertino Bava Beccari sui lavoratori inermi che manifestavano in Piazza del Duomo, a Milano. A questo proposito voglio ricordare la proposta di Craxi, giusta anche se effettuata strumentalmente e subito lasciata cadere, di dedicare un monumento a Bresci, l’eroico anarchico che si sacrificò per vendicare i morti di Milano uccidendo Umberto I

Nel Novecento il concetto di restaurazione lo ritroviamo unito dialetticamente a quello di avanguardia per quanto riguarda la storia culturale di quel secolo, come Pietro Bonfiglioli, con la mia collaborazione, ha messo in evidenza nel volume Avanguardia e restaurazione, Zanichelli, 1976, ma può essere applicato anche al processo storico generale. Infatti le avanguardie storiche si esauriscono con la rivoluzione d’ottobre che assorbe il loro spirito polemico incanalandolo in una più vasta e impegnativa rivolta sociale.

In seguito, l’ottobre quasi coincide con la fine del conflitto mondiale 1914-18, si assiste a un evidente processo restaurativo, certamente culturale, ma ancor più esplicitamente politico- sociale dettato dalla paura del comunismo, il noto spettro già individuato da Marx ed Engels nel Manifesto. Il fascismo in Italia, la repressione del moto spartachista in Germania, che porterà al nazismo, Il franchismo in Spagna, ma anche lo stalinismo in Unione sovietica che, sulla scorta della teoria del socialismo in un paese solo, rovescia la spinta rivoluzionaria in un processo di modernizzazione forzata di un paese arretrato.

La seconda guerra mondiale, con la costituzione di un ampio fronte contro il nazifascismo, ridà fiato alle forze progressiste, democratiche e rivoluzionarie che daranno vita alla Resistenza in molti paesi europei, ma dovranno limitare i propri obiettivi , per ragioni internazionali (gli accordi di Yalta), alla cacciata dei tedeschi invasori, all’antifascismo e al ripristini della democrazia liberale (con l’eccezione della Iugoslavia di Tito).

Ciò non toglie che lo spirito della Resistenza, che aveva ispirato l’avanzatissima costituzione repubblicana ancora vigente, sia pure in parte menomata, nel nostro paese, fosse sentito come una minaccia anche da una parte rilevante della borghesia italiana che diede vita a un intenso movimento di restaurazione durante la guerra fredda, cioè con l’irrigidirsi del mondo in due blocchi contrapposti, Stati Uniti e paesi NATO contro le cosiddette democrazie popolari guidate dall’Unione sovietica.

La guerra fredda, dunque, la forma matura del cordone sanitario stretto attorno alla Unione sovietica All’indomani della presa del Palazzo d’inverno, è l’ideologia della restaurazione, un’ideologia dietro la quale l’impero staliniano giustifica i suoi crimini e le vergognose ingerenze nei “paesi fratelli”, mentre in occidente gli USA spadroneggiano nel mondo, in particolare in America latina, si pensi al Guatemala (1954) e al Cile (1973), ma anche in Corea e in Viet Nam, sempre in nome della lotta al nemico comunista.

In Italia le forze politiche seguono lo schema della guerra fredda: da un lato quelle anticomuniste, capeggiate dalla Democrazia cristiana, che stanno al governo e sventolano la bandiera della democrazia occidentale, dall’altro quelle d’opposizione guidate dal Partito comunista, che si richiamano alla giustizia sociale, alla “democrazia avanzata”, all’eguaglianza e all’emancipazione del proletariato. Il ritratto di questa situazione si coglie esattamente nelle accuse che i due blocchi si scambiano: servi di Mosca, comprendenti anche gli “utili idioti”, da una parte, monarchico-fascisti, servi dei padroni dall’altra.

Naturalmente il conflitto, che pure ha anche degli aspetti nobili e spesso da vita a dibattiti elevati, diviene meno rigido alla luce degli eventi storici quali la morte di Stalin, seguita però da un nuovo inasprimento dovuto ai fatti d’Ungheria. Complessivamente la situazione evolve positivamente anche per via del boom economico che investe l’Italia a partire dal 1958, anno in cui il Partito comunista tiene il suo ottavo congresso, quello della destalinizzazione.

Non solo ma all’inizio degli anni sessanta assistiamo alle prove di distensione messe in atto da Kennedy e Chrusciov che, anche se non avranno successo, (l’uccisione di Kennedy sarà seguita dalla destituzione di Chrusciov), daranno pur sempre fiato alle forze meno oltranziste.

Gli anni sessanta, oltre alla straordinaria esplosione delle nuove avanguardie, già annunciatasi nella seconda metà dei quaranta, sono fitti di eventi eccezionali come il conflitto russo-cinese e la rivoluzione culturale maoista, i movimenti in America latina seguiti alla presa del potere castrista a Cuba, l’infuriare della guerra nel Viet Nam , dove la guerriglia popolare fronteggia con successo il colosso americano, l’insorgere di teorie rivoluzionarie alternative a quella leninista che sembrano spostare i termini della guerra fredda contrapponendo ai sostenitori dell’America i fautori del terzo mondo e della sua emancipazione.

Tutto ciò metterà capo a un evento epocale, la rivolta giovanile del sessantotto, la cui spinta la cui spinta eversiva investirà tutto il mondo occidentale modificandolo profondamente con i suoi risvolti femministi, di rivoluzione sessuale e omosessuale, di potere nero e molto altro.

Ancora una volta seguirà un ritorno all’ordine, una restaurazione caratterizzata dalla conciliazione della coesione sociale con l’eversione permanente, cioè una società anarchica come sappiamo essere nella sua essenza il regime capitalistico, scopertamente per imprenditori e mercanti.

Questo ossimoro, ordine anarchico, si afferma gradualmente ma inesorabilmente facendo coesistere a lungo fenomeni eversivi e ripristino dei meccanismi socio-economici tradizionali, espressioni culturali tardo avanguardistiche e ritorno all’arte, profonde riforme sociali (in Italia il diritto di famiglia, l’assistenza pubblica e gratuita, il divorzio, l’aborto e, infine, l’abolizione dei manicomi) e gli anni di piombo culminati con l’assassinio di Aldo Moro.

Potremmo anzi sostenere che la restaurazione dell’ordine in forma anarchica ha in Italia, ma non solo (si pensi alla Germania con la Rothe Armee Fraktion), la forma del terrorismo, sia rosso che nero, ambedue oggettivamente funzionali al nuovo ordine. E’ però lo stragismo nero il vero marchio della restaurazione post sessantottesca, gli attentati fascisti alla Banca dell’agricoltura di Milano, al comizio sindacale di Piazza Della Loggia a Brescia, le bombe sui treni e, culmine della criminalità ostentata, alla stazione di Bologna costate 85 morti e 200 feriti del tutto innocenti.

Si tratta di attacchi diretti al sociale, alla popolazione in quanto tale, che svelano la necrofilia implicita in ogni concezione fascista, necrofilia che, in ultima istanza, è incistata anche nel capitalismo il quale, nei momenti di estrema necessità, ricorre al fascismo per difendere i propri privilegi (così accadde in Italia negli anni venti, in Germania e in Spagna nel decennio successivo).

Tutto ciò all’insegna della lotta contro i “rossi”, del contenimento dell’espansione comunista quale giustificazione dello stato permanente di guerra fredda che in Italia assume una torsione particolarmente nefasta. Infatti, proprio la strage di Bologna conferma quello che l’opinione pubblica più avvertita e dotata di spirito critico sapeva fin dall’attentato alla banca di Milano del1969, cioè che la “strage è di stato”. Lo stragismo, infatti, è la forma paramilitare assunta dalla lotta politica per restaurare l’ordine precedente il sessantotto, lotta politica che coinvolge gli apparati dello stato, gli alti poteri militari, i poteri occulti come la P2 e perfino la mafia, tutti strettamente intrecciati a parte rilevante della classe politica e dirigente del paese.

Infine, a partire dagli anni ottanta, la restaurazione si afferma definitivamente con la reaganomic, imposta dal presidente statunitense, che si afferma anche in Europa, grazie alla Thatcher, e in tutto il mondo per effetto della globalizzazione. In Italia ha la faccia del socialista Craxi, che la interpreta con originali mediazioni attuandola con particolare rapacità. Alla fine di quel decennio, con la caduta del muro di Berlino e l’implosione dell’URSS, la guerra fredda pare terminare con la vittoria dell’occidente e la scomparsa del suo avversario storico.

Ma sappiamo che non sarà così perché il capitalismo ha bisogno di un avversario esterno e per imprescindibili ragioni economiche, l’industria bellica è trainante, e per compattare gli alleati mantenendo lo spirito del patto atlantico anche se il motivo per cui è sorto non esiste più. Intanto gli S.U. avevano cominciato a preparare un’alternativa dai tempi dell’invasione sovietica dell’Afganistan, appoggiando Osama bin Laden e armando Alqa’ida, la cui rapida evoluzione diviene un articolato terrorismo islamico che sostituirà il tradizionale nemico comunista.

Coerentemente, gli Stati uniti, anche attraverso la perversa alleanza con l’Arabia Saudita, punto di riferimento permanente dei terroristi, alimentano l’islamismo armato, il quale arriverà a fondare un vero e proprio stato, l’ISIS, pagando anche dei prezzi molto alti, si pensi alle torri gemelle, ma facendoli rientrare nel “rischio calcolato”. Non solo, ma gli attentati consentiranno all’America di intervenire militarmente in varie regioni del mondo implementando a dismisura l’industria delle armi e non tenendo in alcun conto la totale inutilità di tali interventi dal punto di vista della strategia antiterroristica. Infine tenteranno di compattare contro la jihad islamica le organizzazioni internazionali , il consiglio di sicurezza dell’ONU e la Commissione UE in particolare, ma anche gran parte delle nazioni Europee ed extra europee, dall’Italia al Giappone, dalla Germania alla Corea del sud, dalla Russia all’Australia, dal Canada alla Svizzera.

Tutto ciò, nonostante i soliti intellettuali servizievoli iniziassero a delirare di un conflitto permanente e insanabile fra la civiltà occidentale e il mondo islamico, non riuscì a tradursi in blocchi ideologici contrapposti, anche perché il neoliberismo nel suo inquietante sviluppo poneva problemi strutturali sempre più gravi.

Le crisi economiche che evocavano, come quella del 2008, lo spettro del ’29, la congiuntura ecologica con il riscaldamento terrestre e il saccheggio delle risorse naturali, l’inquinamento con tutte le sue implicazioni e, infine, la pandemia chiaramente provocata da un rapporto con la natura incompatibile con la sopravvivenza dell’umanità, costituiscono certamente pericoli ben più concreti della minaccia islamica. Il capitalismo, almeno le sue forze più rappresentative internazionalmente, hanno un periodo d’incertezza, del quale le sinistre non possono approfittare perché praticamente estinte, e da più parti si gioca la carta del populismo, tenendo buone, non si sa mai, le frange dichiaratamente fasciste.

Questo in Europa, ma negli Stati uniti si registra un fenomeno analogo, una forma di nazional populismo bianco che porterà al potere il sottoproletario miliardario Donald Trump. Ma la carta del populismo è perdente e l’impero americano, un po’ acciaccato, corre ai ripari e, con l’aiuto dello stesso Trump, che stoltamente ha pensato di assaltare il Congresso, lo mette da parte e inaugura l’era Biden, un ritorno al classico. Biden, infatti, ricompatta l’Europa, rinnova lo spirito degli anni cinquanta, rimette a nuovo la NATO, collaudato strumento imperialistico sorto per fronteggiare il pericolo sovietico ma rimasto in carica per intervenire nei conflitti regionali, offre gli States come guida di un fronte atlantico democratico e umanitario contro le autocrazie orientali che non rispettano i diritti dei popoli (!).

Parte così il tentativo di restaurazione dopo che il sistema è entrato in crisi e per ragioni economiche, lo strapotere della finanza che produce denaro a mezzo denaro penalizzando la produzione di ricchezza, e per lo scempio che la brama di profitto, lo abbiamo detto, ha arrecato al pianeta con l’inquinamento, il surriscaldamento e il saccheggio selvaggio delle risorse naturali.

La restaurazione, grazie alla spinta delle forze democratiche, destinate alla sconfitta (il capitalismo si mostra sempre più incompatibile con il sistema democratico), prevede alcuni interventi correttivi dei danni maggiori che si stanno verificando, ma coperta dalla santa alleanza contro i paesi nemici dei diritti dei popoli, rilancia il radicale antiumanesimo che è alla base dell’economia di mercato, cioè il prevalere del profitto rispetto a ogni altro valore sociale.

A questo proposito si sta da tempo preparando un progetto di ampio respiro, un progetto concreto, nonostante i suoi aspetti futuribili, dei quale abbiamo già visto realizzarsi alcune premesse. Si pensa all’eliminazione della forza lavoro, dato che i lavoratori sono costosi e, soprattutto, non sempre stanno al loro posto, protestano, fanno sciopero e, a volte, pretendono anche di far valere i propri diritti, cosa inconcepibile nell’era del neoliberismo degli algoritmi.

Sembra alle classi dirigenti, che hanno neutralizzato la classe politica con vari mezzi, leciti e illeciti, compreso quello apparentemente democratico applicato in Italia con l’attuale governo di unità nazionale, che in realtà è la negazione della democrazia rappresentativa, e la delega praticamente in bianco al presidente del consiglio, che ora resti da eliminare l’ultimo ostacolo al libero sviluppo delle forze produttive, cioè la classe operaia, includendo in essa i riders, i dipendenti dei call centers e la piccola borghesia proletarizzata.

Si pensa che la tecnica possa risolvere il problema, che l’automazione sia in grado di sostituire i lavoratori, anche parte di quelli intellettuali, si pensi all’impegno con cui si lavora all’intelligenza artificiale. Non si dice che il lavoro manuale è più che mai necessario perché lo si fa compiere ai nuovi schiavi, che muoiono di sfinimento nei campi di pomodori, ma non sono considerati lavoratori bensì cose.

Ma seguiamo il disegno che tende a sostituire i lavoratori con l’automazione generalizzata e si trova di fronte al problema di come impiegare tutti coloro che restano senza lavoro. La soluzione più semplice sarebbe un reddito di cittadinanza, un sorta di sussidio di disoccupazione permanente che assicuri la sopravvivenza e renda ubbidienti gli assistiti alla pubblica amministrazione.

Ma c’è anche un più ardito progetto futuribile che si sta già sperimentando, travestito da turismo spaziale, attraverso la privatizzazione dello spazio cosmico, la il possesso dei pianeti sui quali, quando sarà il momento, verrà deportata la popolazione eccedente costituita per la maggior parte da disoccupati, ma anche da affamati del terzo mondo, da pazzi (si sta ristabilendo questa categoria che sembrava abolita) e delinquenti (ricordo, per inciso, che l’Inghilterra popolò l’Australia svuotando le carceri di Sua Maestà e deportandovi, assieme ai galeotti, le prostitute).

Sospendiamo la critica ai visionari piani dell’élites internazionali per vedere la restaurazione nel breve periodo in un paese assai significativo come il nostro, dove alla fase di incertezza politica seguita alle elezioni del 2018, è succeduto un periodo populista dal quale, per un incrocio di circostanze, è sorto un governo, il Conte2, insidiosamente, per l’establishment italiano e non solo, riformista, un riformismo moderato, molto soft, ma giudicato intollerabile dai poteri forti che ritenevano incompatibili con i loro privilegi i tentativi di redistribuzione del reddito; l’intento di colpire la corruzione e l’evasione fiscale, sappiamo che in Italia l’illegalità è sempre stata funzionale allo sviluppo economico; una riforma della giustizia che in larga misura aboliva l’impunità per i colletti bianchi.

Quando poi il governo, dando prova di grande capacità politica, fece accettare all’Europa il Recovery Found e ne ottenne la parte più cospicua (209 miliardi su 750), la misura è stata colma. Le forze politiche conservatrici e la grande stampa, sempre incline al servo encomio ed al codardo oltraggio, hanno condotto una martellante campagna contro il governo e, con l’aiuto di un killer come era già successo con il primo governo Prodi, sono riuscite a insediare alla presidenza del consiglio “l’uomo della provvidenza”, il prestigioso e affidabile. Mario Draghi, gradito anche alla borghesia internazionale, che ha formato “il governo dei migliori”, in realtà, per dirlo con espressione arcaica ma semanticamente corretta, il governo dei padroni.

Inizia la restaurazione in Italia a partire dalla totale subalternità agli Stati Uniti, modello anni cinquanta, che arriva fino a seguirli supinamente nella vergognosa ritirata dall’Afganistan lasciando quel popolo, già martoriato dalla proterva invasione, alla mercé dei vendicativi talebani (ora il nemico non è più il fondamentalismo islamico). Poi il progetto per il Next Generation UE (così ora si chiama il Recovery) svuotato dei suoi contenuti più innovativi come il Green Deal.

Qui il riferimento al passato non sono gli anni cinquanta ma l’era berlusconiana. Poco o nulla è previsto per la difesa del territorio e i trasporti locali, mentre tantissimo va all’alta velocità e alle grandi opere, compreso il mitico ponte sullo stretto (sembra incredibile ma è così). Le fonti energetiche continueranno ad essere il gas e il carbone, mentre il tanto decantato idrogeno sarà quello blu, cioè quello prodotto con il gas e il carbone.

I progetti da realizzare sono in gran parte vecchi di anni rimasti in attesa di tempi migliori che finalmente sono arrivati e molto probabilmente saranno gestiti dalle stesse grandi imprese che hanno già prodotto enormi disastri anche ambientali: ponti crollati, strade franate, alluvioni per la cementificazione selvaggia, incendi ferroviari con decine di morti e l’impunità assicurata ai colpevoli. 

Sempre ispirata al modello berlusconiano la controriforma della giustizia. Infine la libertà di licenziare con i nefasti risultati che constatiamo ogni giorno. Non inganni il fatto che questa libertà non è concessa alle aziende in crisi, ad esse infatti si provvede con danaro pubblico, cioè provvedono i cittadini, ma quelle non in crisi ne approfittano per disfarsi di manodopera costosa e con diritti acquisiti per ricorrere poi al precariato, cioè a forza lavoro più economica e soggetta al ricorrente ricatto del periodico rinnovo del contratto di lavoro.

In realtà il il resoconto non è finito, ma credo sia sufficiente a rendere, anche se in forma succinta, l’idea di quanto sta accadendo. Debbo però aggiungere ancora un’osservazione: quando fu nominato commissario alla sanità, campo in cui il governo non si è comportato male anche perché la difesa dal virus riguarda tutti, il generale Figliolo, in molti ci stupimmo. Non capivamo perché affidare a un militare una funzione tipicamente civile.

A me venne in mente, ma non ne parlai perché mi sembrava un accostamento insensato, l’URSS che imponeva alla Polonia come ministro un generale dell’armata rossa. Un politico italiano, considerato da molti contro ogni evidenza uno statista esemplare, diceva che a pensar male si fa peccato ma ci si prende quasi sempre. Che avesse ragione? Speriamo di no, ma potremo sempre consolarci con le quaranta medaglie olimpiche vinte dall’Italia.