14.11.2021
Nella coscienza filosofica contemporanea, quando viene tentata un'indagine foucaultiana sul presente e sull'attuale, s'impone al pensiero qualcosa d'inedito: se la finitudine dell'individuo è un tema classico della storia della filosofia, lo scenario scatenato dall'Antropocene e dal riscaldamento globale porta la filosofia ad interrogarsi invece sul tema della finitudine della specie.
La catastrofe ecologica, attribuibile in larga parte all'iperattività antropica sul pianeta Terra, resta un banco di prova fondamentale per il pensiero filosofico, poiché esige una metamorfosi dei concetti fondamentali che hanno finora guidato la riflessione; certamente, essa ci spinge a ripensare l'antropologia e a ricercare, per così dire, il "posto dell'uomo nel cosmo", in un senso che abbia attinenza con le difficoltà e le problematiche del presente.
La possibilità dell'estinzione umana entra dunque nell'orizzonte del pensiero come virtualità e fissa il nostro presente sull'idea di catastrofe.
La tesi di Walter Benjamin secondo cui la catastrofe è che tutto continui come prima risulta assolutamente attuale: la catastrofe sarà inevitabile se non si segnerà una discontinuità forte nel rapporto tra l'uomo e il pianeta, se non s'interromperà questo continuum secolare di sfruttamento e distruzione.
Il sentimento della catastrofe non è però qualcosa di moderno: esso ossessiona l'uomo fin dalle sue origini – sia nel senso della catastrofe individuale, la morte propria o di un proprio caro, sia nel senso della catastrofe collettiva, della "fine del mondo"; perciò, le comunità umane, nel corso della storia, hanno conosciuto un'esperienza che, da un lato, consentiva un'interruzione del continuum temporale, della vita quotidiana, e, dall'altro, era strettamente legata all'idea di catastrofe; un evento culturalmente determinato, soggetto all'ordine simbolico, a suo modo vincolante: si tratta dell'esperienza della festa.
Se ragioniamo sulla festa, immediatamente scorgiamo un carattere paradossale e fortemente ambiguo della stessa: mi servirò, per illustrarlo, della classica dicotomia nicciana di apollineo e dionisiaco.
Chiamo, in questo caso, apollinee le forze conservative, che agiscono al fine di mantenere l'essere nella sua positività, in un continuum strutturato da un ordine e una forma fissa; e dionisiache, invece, le forze dispersive, che agiscono al fine di interrompere la continuità dell'essere, facendo emergere un elemento di rottura e cambiamento.
La festa, nella sua essenza, tiene avvinte queste due dinamiche: il suo carattere apparentemente dionisiaco, votato alle forze dispersive, si scontra continuamente con la sua struttura apollinea, rigidamente codificata e finalizzata alla conservazione dello stesso ordine che essa mette radicalmente in questione.
A mettere in luce questo aspetto ambiguo della festa è stato soprattutto Georges Bataille, un pensatore la cui filosofia è, per altro, certamente un tentativo di rivolta, dell'uomo dionisiaco, contro l'intero universo apollineo: la sua riflessione è strettamente legata al tema della catastrofe come continuum del mondo apollineo, dell'ordine costituito, della storia, che porta al completo oblio di quella che egli definisce "intimità perduta", il cui possibile ritrovamento è insito nell'esperienza della festa.
L'intimità perduta è, per Bataille, l'esperienza vitale dell'animale che si muove in perfetta immanenza nel mondo, che partecipa alla totalità in cui è radicato.
L'uomo si distingue dall'animale poiché apre l'immanenza della sua condizione a un momento di trascendenza: si tratta della creazione dei primi utensili, che provocano una rottura dell'esperienza vitale e danno origine ad una storia in cui l'uomo si pone consapevolmente in quanto soggetto, ponendo invece il mondo nella posizione dell'oggetto, come qualcosa che può essere "a disposizione", utilizzato, manipolato, lavorato.
A partire da questo momento, l'uomo vive un universo di "cose" a lui subordinate – tra cui l'animale, divenuto cosa tra le cose – realizzate in vista di un'utilità che presuppone la durata e la perdita dell'originaria immanenza dionisiaca. Interrompendo il continuum spazio-temporale dell'universo immanente, l'uomo ha invece istaurato una nuova continuità, la continuità che è propria della storia, segnata da un criterio utilitaristico e fondata sull'universo del lavoro e sulla sua struttura.
Secondo Bataille, però, questa vera sopraffazione dell'uomo sul mondo svela immediatamente il suo carattere illusorio, dal momento che: "se l'uomo tiene il mondo in suo potere, è solo perché dimentica di essere lui stesso il mondo: nega il mondo ma lui stesso è negato" (G.Bataille, "Teoria della religione", SE, p. 22).
La nostalgia dell'uomo nei confronti dell'intimità perduta, insieme al timore che la reificazione, imposta al mondo, possa abbattersi su egli stesso, si scontra con l'angoscia della perdita della sua posizione privilegiata: l'uomo non vuole retrocedere dalla soggettività raggiunta, ma allo stesso tempo sente una crescente tensione verso il mondo che ha precedentemente abbandonato: da questa tensione scaturisce il sacro, che si concretizza in una duplicità essenziale: attraverso l'instaurarsi di divieti e di interdetti, esso si pone a baluardo del mondo profano – il mondo di cui l'uomo si è fatto "padrone e possessore" - mentre, soprattutto nella dinamica della festa, esso permette, per un periodo limitato di tempo, di attingere a quella pienezza vitale perduta: una sorta di minaccia "controllata" del continuum della storia.
La festa è una forma di trasgressione e, in quanto tale, è saldata ai limiti che pure cerca di eccedere: essa è dunque solo un momentaneo accedere all'intimità perduta, che non può mai, però, restituire integralmente.
Paradossalmente, più di chiunque altro Bataille sottolinea gli aspetti apollinei che sono la cifra dell'ambiguità della festa, dal momento che "la festa non è distintamente situata nella coscienza se non quando è integrata nella durata della comunità" (Ibid., p. 51). Dal punto di vista della comunità, però, la festa è situata nel continuum, nella durata, essendo subordinata a qualche scopo utile – in quanto operazione, ad esempio propiziatoria, essa guarda soprattutto alle necessità del mondo profano.
A differenza che nella riflessione di Walter Benjamin, Bataille non sottoscriverebbe mai il significato politico che il tedesco imprime all'esperienza festiva.
L'istante dell'immanenza, – vero punto di contatto tra le diverse tesi di Benjamin e Bataille – in cui appare finalmente la totalità del mondo nell'intimità, è irraggiungibile per la prassi politica, poiché quest'ultima subordina se stessa a un fine che le è esteriore; però, nell'esperienza della festa, è racchiusa comunque una chance dionisiaca.
Il tempo del mito non può amalgamarsi al tempo della storia: è l'individuo che, esiliatosi dalla storia, può raggiungere, immediatamente, il mito; può raggiungere una qualche forma di epifania.
Anche in Bataille, dunque, come in Benjamin, c'è questo continuo oscillare tra i due poli di catastrofe ed epifania: la catastrofe, in Bataille, coincide evidentemente con la possibilità che l'universo apollineo divenga così totalizzante, collettivamente ed individualmente, da rendere ancora più ferree le catene che impediscono all'uomo di esperire l'intimità perduta. Non si tratta, per noi, ancora di questo?
La possibilità di accedere a un momento ecologico, come quello dell'intimità perduta, non rompe il continuum della storia e non instaura un nuovo mondo possibile, ma ci dona un'altra chance, che è quella della messa in discussione di noi stessi, della nostra soggettività, della nostra individualità.
E un'ontologia del presente, pensata nel senso di Foucault, non è forse una critica profondissima che si rivolge in primis a noi stessi? Non siamo noi a sentire addosso, personalmente, questo sentimento della catastrofe? Non è lecito, per ognuno di noi, porsi la domanda retorica ma assai angosciosa: cosa ne sarà di me, se l'intera specie perisce?
Se le diverse soluzioni di Benjamin e Bataille, di fronte a questo sentimento, possono apparirci inattuali o romantiche, la loro riflessione deve spingerci a pensare al significato che l'epifania, che essi credevano di aver raggiunto, può ancora avere per noi oggi.
Se Benjamin è stato facilmente recuperato alla lotta ecologica in chiave neo-marxista, per quanto concerne il pensiero di Bataille è difficile tentare questo accostamento, soprattutto a causa del vizio hegeliano che è impresso nell'impostazione teorica del francese.
Eppure, alcuni dei concetti fondamentali dell'autore de La part maudite - la dèpense come forma di de-potenziamento, l'esautorazione dionisiaca dell'io, il concetto di amicizia – possono assumere un'importanza fondamentale nel quadro di un'ecologia intesa in senso ampio, pienamente filosofico, che non si fermi all'ambientalismo ed ambisca a costruire non solo un nuovo sapere, ma delle nuove possibilità esistenziali.