Baby gangs, ovvero cronache dalla società piatta
Vincenzo Scalia

22.01.2023

Gli ultimi tre anni hanno registrato l’aumento, presso l’opinione pubblica italiana, del panico morale nei confronti dei giovani, in particolare dei minori, che le rappresentazioni collettive inquadrano come membri di pericolose baby gangs produttrici di serie minacce all’ordine pubblico. L’enfatizzazione di questo presunto pericolo trova lo sbocco politico nella promozione di misure repressive, intese come unica risposta plausibile alla degenerazione culturale e sociale che affliggerebbe i giovani italiani. In realtà ci troviamo di fronte a passaggi epocali più complessi, che necessiterebbero di risposte più articolate. Per questo è necessario tentare di abbozzare una genealogia della questione giovanile e di tracciare alcune linee interpretative.

La costruzione sociale della gioventù, intesa come gruppo dotato di una soggettività propria procede di pari passo all’affermarsi della modernità. Liberati dagli status ascritti della società pre-moderna, prevedeva il passaggio meccanico dall’infanzia all’assunzione di ruoli produttivi e riproduttivi, gli individui si trovano proiettati in una dimensione fluida, caratterizzata da una personalità in divenire, che bisogna però incanalare sui binari dell’individualismo funzionale alla società di mercato.

Jean Jacques Rousseau, malgrado le sue perplessità sulle proprietà privata, nell’Emilio sottolinea la necessità di educare i giovani sin dall’infanzia, al fine di socializzarli ai comportamenti e ai valori dominanti. Foucault (2001) in seguito decostruirà il processo di produzione di dispositivi disciplinari orientati verso l’omologazione dei futuri cittadini, che comprendono un'ampia gamma di istituzioni come la scuola, l’esercito o l’uso della medicina e della psicologia allo scopo di agevolare la governamentalità. La gioventù, in tutta l’età industriale, viene letta come il campo di battaglia all’interno del quale si configura la futura configurazione degli assetti sociali, quindi il destino del capitalismo stesso. Nell’universo reazionario, questa concezione assume una connotazione estrema, impregnata di un nichilismo vitalista, con la morte interpretata come il suggello, la maturazione della vita nella sua forma più estrema (Junger, 1922).

Il secondo dopoguerra, di pari passo all’affermazione della società dei consumi, comporta un erompere della soggettività giovanile. La relativa stabilità economica, l’aumento del livello medio di istruzione, si traducono nella produzione di una controcultura giovanile, che elabora una critica radicale della società industriale avanzata: la produzione e il consumo di massa, le famiglie tradizionali, le istituzioni totali, la disuguaglianza sessuale, il militarismo, vengono messe in discussione dai movimenti giovanili. La contestazione contiene anche una cospicua pars costruens, che spazia dalla musica alle arti, passando per il cinema. Il movimento del 1968, la cui influenza si estenderà per tutti gli anni settanta, rappresenta l’acme della controcultura giovanile, rappresenterà un vero e proprio spauracchio per la società ufficiale, autocompiaciuta nelle sue retoriche democratica e della crescita illimitata. I giovani verranno etichettati come veri e propri folkdevils (Cohen, 1971), ovvero soggetti privi di moralità e progettualità, da reprimere brutalmente, come avveniva nel Regno Unito già dagli anni sessanta, in occasione delle dispute tra mods e rockers.

In Italia, le manifestazione della controcultura giovanile, si manifestano di pari passo alla modernizzazione tardiva del paese, alla riluttanza della Chiesa cattolica e degli apparati retaggio del fascismo di fare un passo indietro, alla comparsa, improvvisa e tumultuosa rispetto ad altri contesti, della questione femminile. Non è casuale che per l’Italia si parli di un “lungo ‘68”(Moroni e Balestrini, 1998), che ha la sua tragica coda nella lotta armata e nei morti per eroina, che si protrarranno a migliaia per tutti gli anni ottanta.

Nella società contemporanea, la questione giovanile, si propone in modo contraddittorio e frammentato, in particolare in Italia. Da un lato, la fine delle utopie a partire dal 1989 ha depotenziato ogni velleità trasgressiva e contestataria la società, ripercuotendosi anche sull’universo giovanile. A questo elemento bisogna aggiungere la crescente omologazione prodotta dal capitalismo della conoscenza, con la comunicazione mediata da dispositivi elettronici predisposti e mediati dalla messa a valore, che enfatizzano la parte estetica della comunicazione e riducono sensibilmente quella progettuale. Infine, non si può trascurare il declino della natalità che ha avuto luogo in Europa dagli anni settanta in poi ( e in misura maggiore in Italia), che rende i giovani una categoria quantitativamente e qualitativamente marginale rispetto al passato. Si tratta di una società piatta (Pitch, 2022), ovvero rinchiusa in se stessa e incapace di slanci in avanti.

Dall’altro lato, esiste un vero e proprio rimosso nelle società europee e italiane in particolare. Si tratta delle migrazioni, diventate ormai un fenomeno endemico, la cui conseguenza più immediata è costituita dalla presenza di giovani generazioni nati e cresciuti nei nostri paesi, ma ai quali non viene riconosciuta la cittadinanza sostanziale. Se nel caso francese, spesso godono della cittadinanza formale ma si trovano in posizione marginale rispetto al mercato del lavoro, alla residenza (vedi le banlieues), al welfare, nel caso italiano non godono nemmeno delle prerogative formali. Ci troviamo di fronte a cittadini italiani senza cittadinanza, che continuiamo a definire marocchini, senegalesi, filippini, ma faremmo meglio a chiamare fiorentini, milanesi, napoletani.

Confinati nelle periferie, sospinti alla marginalità economica da un mercato sempre più segmentato e precario, il loro malessere si sovrappone a quello dei giovani italiani autoctoni, marginalizzati, come abbiamo visto, per ragioni demografiche. Questa sovrapposizione, non produce (o forse non ancora) uno sbocco collettivo come nelle generazioni passate, ma denota spesso una concorrenza che produce conflittualità interne.

E’ questo aspetto, probabilmente, che incoraggia la rappresentazione dell’universo giovanile contemporaneo come una corte dei miracoli infestata da baby gang, una rappresentazione che non ha alcun riscontro empirico con la realtà, ma che asseconda gli intenti semplificatori e repressivi dominanti. Dai quali, in qualche modo, bisogna uscire.


REFERENZE

Cohen, S. (1971), Folkdevils and moral panic, London, Routledge.

Foucault, M. (2001), Sicurezza, Territorio, Popolazione, Milano: Feltrinelli.

Junger, E. (1922), La battaglia come esperienza interiore, Roma: Piano B.

Moroni, P. & Balestrini, N. (1998), L’orda d’oro, Milano: Feltrinelli.

Pitch, T. (2022), Il malinteso della vittima, Torino: Edizioni Gruppo Abele.

Rousseau, JJ. (1988, ed.it.), Emilio, o dell’educazione, Milano: Rizzoli.