Asimmetria digitale
Sabino Di Chio
05.03.2023
Il testo che pubblichiamo è l'Introduzione al volume di Sabino Di Chio, Asimmetria digitale. Il piano inclinato dell'innovazione tecnologica, edito da Meltemi.

Introduzione


Non è più tempo di preoccuparsi dei pericoli del digitale. L’innovazione tecnologica non è più un mistero per iniziati, la transizione è in atto, la scelta se adottarne o meno processi e strumenti è disattivata. Il primo decennio degli anni 2000 ha visto la materia ibridarsi con i dati ed è stata una luna di miele: l’innamoramento spensierato delle società avanzate con una tecnologia sconosciuta ma evocativa, potente, in grado di rimescolare tempo e spazio e quindi la posizione di ognuno nella stratificazione sociale. Chi era sul fondo della piramide ha trovato o sognato un’arma segreta per scalare le posizioni, chi era al vertice ha visto una nuova sfida ma anche le certezze sgretolarsi, la polvere avvolgere i privilegi delle rendite di posizione incrostate.

È durata poco, come un carnevale. Inesorabilmente il digitale si è istituzionalizzato, modellando una forma di vita in cui quella sensazione iniziale di liberazione permane come un riverbero a scandire le esistenze su piattaforme regolate, in cui gli utenti vivono esperienze intime e coinvolgenti, scegliendo di dimenticare lo stato attivo di sorveglianza che presiede ogni gesto, parola, passo e, in un futuro prossimo, sguardo. Di rimozione collettiva possiamo parlare perché nel corso degli anni ’10 del nuovo secolo si è gradualmente diffusa nell’opinione pubblica la consapevolezza dell’apparente contraddizione che permea le società digitalizzate: le disuguaglianze sociali si divaricano, i dibattiti si polarizzano, la coesione sociale si deteriora proprio mentre le tecnologie digitali garantiscono un accesso alla conoscenza mai come in questa fase storica aperto, libero e collaborativo. A dispetto della pionieristica retorica del “grande livellamento”1, l’accresciuta disponibilità di dati non ha modellato società più “armoniose” (Negroponte 1995, 230) ma forme di vita simili ad un piano inclinato che agevola la concentrazione di potere, redditi e ricchezza nelle mani di pochi e in basso, intrecciate alle opportunità, accumula incomprensioni, paura, rancore.

Perché la maggiore circolazione delle informazioni non si è tradotta in una distribuzione più equa delle opportunità di vita? La domanda è l’asse che sottende lo sviluppo di questo libro che, osservando un processo ventennale attraverso le lenti interpretative della teoria sociale, prova ad avanzare un’ipotesi di lavoro che individua tre percorsi di trasformazione nelle condizioni sociali che incorniciano l’attività culturale, cognitiva e comunicativa.

La prima trasformazione riguarda la dimensione materiale, a cui è dedicato il capitolo 2: se è vero che ogni sistema economico nella storia ha sviluppato inevitabilmente forme di accumulazione e distribuzione ineguale di potere e risorse, quello attuale fondato sui dati come nuovo fattore produttivo sembra implicare un rafforzamento ulteriore del vantaggio di chi gode della possibilità di appropriazione, selezione, correlazione e fusione. La convergenza e l’interoperabilità del bene “dato” favorisce il restringimento del numero dei soggetti necessari a governare i macrosistemi utili a trasformare i dati in informazione e poi in denaro.

La seconda trasformazione interessa la dimensione cognitiva: di fronte alla proposta apparentemente rapida ed efficiente di previsioni offerta dall’elaborazione algoritmica, il soggetto conoscente sembra affrontare un ridimensionamento dal ruolo moderno di costruttore di realtà, attraverso la progettualità, a quello contemporaneo di riduttore di entropia, propenso a delegare all’automatismo di modelli matematici il fondamento legittimante di decisioni di cui ha difficoltà ad assumersi la responsabilità. La delega è certamente effettuata in piena libertà, ciò che appare rilevante è l’ampliamento dello “scarto di conoscenza” tra utente e corporation. Il ridimensionamento sembra attuarsi seguendo due direttrici: nel capitolo 3 si parte dalla descrizione dell’alleanza utente-corporation, che fa da base legittimante quotidiana all’asimmetria digitale, per poi dettagliare la separazione e la crescente distanza tra una classe ristretta che ha accesso ai nuovi metodi di previsione e predizione e una maggioranza che, invece, da quelle previsioni ricava decisioni preimpostate e percorsi disciplinanti per le proprie scelte.

Nel capitolo 4, invece, le riflessioni si spostano sulla terza dimensione, quella istituzionale, per affrontare lo sfaldamento operato dalla disruption delle strutture di mediazione culturale a cui l’individuo poteva delegare, per alleviarle, parte delle sue incertezze nella lettura del futuro. Apparentemente orizzontale e casuale, questa configurazione è in realtà veicolo di un’istituzionalizzazione rigida e nascosta in favore di un numero ristretto di hub2.

Come in economia l’asimmetria informativa distorce un mercato impedendo la piena efficienza nell’allocazione delle risorse, così le spinte centrifughe appena descritte costituiscono la dinamica di quel che possiamo definire un quadro interpretativo sociologico della “asimmetria digitale”, un fenomeno strutturale che, secondo Helberger et al. (2021, 51, traduzione nostra) “colpisce tutti i consumatori e non può essere superata fornendo maggiori informazioni. Dato che il consumatore è strutturalmente e universalmente incapace di ‘capire’ l’architettura digitale, le informazioni non possono fare da rimedio alle asimmetrie esisitenti”. L’asimmetria digitale è dunque una tara che condiziona l’attuale esercizio della cittadinanza democratica perché altera la distribuzione della conoscenza in favore della preservazione e consolidamento dei rapporti di forza esistenti.

Il rapporto tra digitale e disuguaglianze è stato ampiamente studiato in questi ultimi vent’anni, grazie a lavori di ricerca preziosi che hanno permesso di inquadrare il fenomeno del digital divide ben oltre l’iniziale dicotomia segnata dalla possibilità di accesso ai dispositivi e alle reti. Oltre al capitale economico necessario per disporre della strumentazione tecnica, Ragnedda (2018) ricorda che occorre avere chiari obiettivi e motivazioni nell’utilizzare il mezzo (capitale personale), raggiungere un buon livello di competenze digitali (capitale culturale e personale) e avere il sostegno di una rete sociale solida (capitale sociale e politico). Esiste una digital inequality prodotta dalle tecnologie (DiMaggio, Hargittai 2001), che distingue gli utenti per competenze operative, informazionali e strategiche (Van Dijk 2005) o varietà d’uso (dagli scopi più ludici a quelli più professionali). La disuguaglianza digitale poi si ripercuote sulla stratificazione sociale attraverso dei nessi causali che legano circolarmente posizione sociale, appropriazione tecnologica, inclusione sociale e partecipazione (Bentivegna 2009). In questo modo l’innovazione non fa che dilatare gli squilibri già esistenti nel tessuto sociale, come dimostra la riproduzione delle discriminazioni di genere in tema di accesso, specializzazione, occupazione, modalità d’uso e rappresentazione dei corpi (Lupton 2018, 99-104).

In questo lavoro proveremo ad indagare la relazione tra digitale e disuguaglianze da una prospettiva differente: la digitalizzazione non è solo un corredo di competenze da maneggiare con sempre maggiore padronanza per aumentare le chance di legare il proprio destino al carro del progresso. Esistono degli elementi endogeni al processo di datificazione che allargano la forbice delle disuguaglianze che occorre individuare non per accettarli come un destino ma per contrapporvi misure di riequilibrio adeguate.

Il capitolo 5 accoglie le conclusioni, indicando nella ripubblicizzazione dei dataset una possibile strada per ridurre i divari materiali e nella ricontestualizzazione, l’impresa culturale da intraprendere per permettere all’utente digitale di riappropriarsi delle operazioni cognitive che sfociano nella previsione, superando la delega algoritmica e la sua potenza tecnica e retorica. Anche nella molteplicità delle condivisioni, i soggetti godono di una libertà che, priva di supporto istituzionale, si trasforma in zavorra per chi non ha gli strumenti culturali, scientifici ma anche emotivi, relazionali, fisici per reggere in solitudine la sfida dell’autodeterminazione e dell’autorappresentazione pubblica permanente.

L’aumento delle disuguaglianze sembra, dunque, poggiare su un divario materiale, su una delega cognitiva e su un substrato di svalutazione culturale della mediazione istituzionale, ovvero gli schemi di condotta duraturi in grado di offrire all’individuo, in quando membro di una comunità politica, un corredo comune di strumenti per l’apprensione del mondo circostante. Quella capacità di comprensione dei contesti che permette di misurare le distanze da chi si trova in condizioni differenti, di inserire la propria vicenda personale assoluta, fatta di gusti, opinioni, scelte e casualità in un bacino collettivo di storie.

Ringraziamenti

Questo libro è il prodotto di mesi di scrittura solitaria solo in apparenza. In ogni concetto, in ogni parola c’è il confronto e il conforto di una comunità scientifica che ha ispirato, ascoltato, criticato e suggerito. È dedicato al mio maestro, Franco Cassano, per avermi insegnato a prendere parola da sud sui fenomeni globali, senza chiudersi in provincialismi, senza complessi di inferiorità ma con l’ambizione di arricchire il dibattito da una prospettiva autonoma.

Grazie a Ota De Leonardis e Federico Neresini che, accettando un paper per la Rassegna Italiana di Sociologia nel 2015, hanno dato convinzione alla necessità di approfondire. A Patrizia Calefato, Pino Cascione, Ylenia De Luca, Armida Salvati, Daniele Petrosino, Onofrio Romano, Alfredo Ferrara, Paolo Inno, al Direttore e ai colleghi del Dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia e Comunicazione dell’Università di Bari per animare un contesto che favorisce una ricerca libera e curiosa. A Carmen Leccardi, Francesco Giorgino, Vincenzo Cicchelli per i dialoghi sempre ricchi di spunti ed appunti. Ai revisori anonimi per la lettura attenta e i suggerimenti che custodirò per migliorare le mie ricerche future.

Grazie al Corecom Puglia per il sostegno costante alla ricerca teorica ed empirica sulla comunicazione. Ad Agenda Digitale per lo spazio di riflessione che mi offre. Agli studenti dei miei corsi che hanno levigato questi concetti con le loro domande. A Valeria Forzano per avermi aiutato a capire il valore degli obiettivi. Grazie, infine, a Marinella, Stella ed Ernesto per il supporto e la pazienza con cui hanno sorriso a qualche fine settimana passato a scrivere invece che al parco.

Lo spunto di partenza del testo è il paper “Grandi Numeri, Piccole Élites. Il potere dei big data e la concentrazione del potere” pubblicato sulla Rassegna Italiana di Sociologia, n° 3-4/2015, pp. 433-453. I paragrafi 2.3, 2.4, 3.4, 4.1, 4.2, 4.3 e 4.6 sono rielaborazioni di articoli pubblicati nel corso del 2021 sulla testata giornalistica scientifica e registrata “Agenda Digitale”, diretta da Alessandro Longo.


1 “The Great Levelling?” è il titolo di un documentario in quattro puntate che la BBC dedicò alla rivoluzione digitale nell’ottobre del 2010.

2 Il web, secondo Albert Lazlo-Barabasi, apparterrebbe alla categoria delle “reti a invarianza di scala”, con tre caratteristiche: orientamento alla crescita (nuovi nodi ne sono attratti e vi si inseriscono); rapporti asimmetrici tra i nodi (un nodo nuovo tende preferenzialmente ad agganciarsi a un nodo con più relazioni); la presenza di nodi più forti matematicamente destinati a essere sempre più forti (Barabasi, Bonabeau 2003; Furia 2017).



© Sabino Di Chio, Asimmetria digitale, Meltemi 2023