30.03.2024
Ho avuto la fortuna di studiare filosofia a Firenze negli anni '70. La sede del corso di laurea in Filosofia – per la facoltà di Lettere e Filosofia – era quella un po' scomoda di via Bolognese e comunque là si dava la possibilità di seguire le lezioni di Eugenio Garin, Cesare Luporini, Ettore Casari, Paolo Rossi, Francesco Adorno, Andrea Vasa e molti altri significativi studiosi. Diverse erano le linee di ricerca che s'incontravano in quelle aule: analisi raffinate di carattere logico, teoretico, storico-filosofico, filosofico-morale e filosofico-politico. Certo, le sensibilità intellettuali erano differenti e spesso anche in urto (“un po'” mascherato accademicamente...) tra loro. Un referente esterno (ma esterno per modo di dire) era quello del mondo della sinistra politica, con un forte protagonismo del partito comunista italiano. Ma non mancavano accenti diversi, essenzialmente “eretici”, supportati più o meno consapevolmente dal radicato impegno politico degli studenti. Sempre a Firenze, nella facoltà di Magistero, in particolare nella sede di via San Gallo, erano presenti altri studiosi filosoficamente decisivi: penso, ad esempio, alla figura complessa e stimolante di Sergio Moravia (ed era ancora particolarmente vivo il ricordo delle lezioni di Giulio Preti).
Stili di ricerca differenti, ho scritto. Quello proprio di un raffinato storicismo oppure quello di riferimento per questioni di carattere teoretico e logico-matematico. Inoltre apprezzamenti sempre più articolati per ciò che si muoveva in ambito tedesco (l'influenza crescente della “Teoria Critica”) e i richiami dovuti, accanto a ciò, al marxismo novecentesco, anche e soprattutto alla sua versione che più consentiva di dare vigore a posizionamenti politici risoluti nel complicarsi del presente. Insomma, un combinato di saperi, conoscenze filosofiche e non solo, personalità di studiosi, umori politicamente contrassegnati che per me costituiva un serbatoio inesauribile a cui rinviare per ridare linfa vitale a una predisposizione all'avventura intellettuale, per ricordare così uno studioso straordinario, fiorentino ma di difficile collocazione in città, come Ferruccio Masini. La mia scelta di iscrivermi a Lettere e Filosofia, in particolare al corso di laurea di Filosofia, era dovuta all'“amore” (come chiamarlo diversamente, dalla parte di un “ragazzo”?) per la figura e l'opera di Walter Benjamin: avevo individuato in Eugenio Garin un possibile punto di riferimento, anche per via di un suo giovane assistente, Michele Ciliberto. Il “mio” Benjamin era infatti quello del libro sul dramma barocco tedesco e lì pensavo di cogliere delle ragioni d'interesse specifico (Panofsky, Saxl, Warburg ecc.) per arrivare il meno disarmato possibile al grande “Maestro”: ricordo ancora con piacere che quest'ultimo – vedendo che mi aggiravo nei corridoi di via Bolognese con il libretto benjaminiano, con la sua prima copertina verde nella edizione Einaudi – mi fermò con simpatia e con il suo abituale pizzico d'ironia e mi dette dei consigli – tanti – per andare avanti con la mia ricerca. Riuscii anche a fare in tempo per il mio esame di valenza “iniziatica” (scherzo!) proprio con lui, prima che se ne andasse a Pisa.
Filosofia e impegno politico. Per molti degli studenti di allora volle dire il confronto ricco e difficile, spesso consapevolmente azzardato, con il piano delle pratiche, di quelle che più semplicemente erano indicate come “lotte”. Gli anni '70 sono anche così schematizzabili, sia pure con la cautela dovuta per non incorrere in semplificazioni eccessive. Oltretutto vorrei ricordare l'importanza dell'Istituto Gramsci Toscano, con la sua storica sede in piazza Madonna degli Aldobrandini: luogo volutamente “aperto”, che consentiva di assistere a incontri, conferenze, seminari con il meglio dell'intellettualità progressista italiana (e non soltanto), al di fuori quindi degli abituali spazi di “raccolta” all'interno delle diverse facoltà o in altri centri culturali cittadini, sporadicamente però frequentati dagli studiosi di questioni filosofiche (a parte la storica Sala Ferri del Vieusseux). Dall'interno di tale Istituto scaturirono non a caso riviste importanti: “La Politica” e poi “Iride”, grazie a Giovanni Mari, ancora oggi presente e di grande rilievo nel campo della ricerca filosofica nazionale e internazionale.
I decenni successivi, sintetizzo brutalmente..., sono stati di ripiegamento generalizzato. Firenze ha dismesso presto i suoi abiti editoriali, salvo poche eccezioni comunque di qualità. L'università si è restituita ad una dimensione di autoconservazione nei modi abituali, il che non ha però sempre voluto dire un indebolimento dei suoi contenuti, anche se la distanza con la città è tornata a essere ben netta. Non sono tuttavia mancati tentativi, più o meno riusciti, di dare voce a delle presenze significative. Mi viene in mente la sezione locale della Società Filosofica Italiana, con le sue attività in ogni caso di rilievo, e su un altro piano la formazione di associazioni culturali di ampio respiro, comprensive anche di un'attenzione felice ad aspetti essenziali della filosofia contemporanea. Penso soprattutto al Gruppo di Quinto Alto, che a partire dal 1990 ha assicurato dei programmi annuali di incontri con studiosi assai importanti in relazione con le varie articolazioni della ricerca filosofica più avanzata, vicina appunto a noi, ai nostri tempi. Ecco, proprio questo Gruppo (insieme al realizzarsi di un tessuto di librerie estremamente vivace e ovviamente aperto all'esterno anche sotto la veste di luogo di ospitalità per scrittori, autori di testi di carattere saggistico-filosofico), mi sembra da menzionare per il suo valere come una sorta di coalizione di teste, di vicende intellettuali, di interessi che pare raffigurarsi pure in forma di modello (di progettazione e di attuazione) per coloro che possono aver desiderio di riarticolare e portare un po' più avanti la presenza della ricerca filosofica a Firenze, senza presunzioni di segno autoreferenziale e intimamente narcisistico (del narcisismo peggiore: magari quello che spinge un po' scioccamente ad occupare, a qualsiasi costo..., qualche spazio nelle sezioni locali dei giornali cosiddetti “nazionali”). Non è un caso, tornando alle associazioni (anche a quelle più legate alle sperimentazioni poetico-letterarie e generalmente artistiche), che proprio da esse siano arrivati con anticipo stimoli decisivi per affrontare passo dopo passo tutto ciò che su un piano ovviamente filosofico (quello che qui interessa) metteva in discussione la dogmatica dominante di questi ultimi decenni, quella che Mark Fisher ha esemplarmente rappresentato nel suo Realismo capitalista. Penso in questo caso alla restituzione sempre molto ben calibrata di sviluppi importanti, tra gli altri, del pensiero post-strutturalista, del discorso del post-umano, del confronto con progressioni essenziali della ricerca scientifica, delle ragioni della ripresa d'interesse nei confronti di un pensiero critico-radicale di matrice “nostra”, italiana. Alla realizzazione di tutto questo hanno concorso tante energie: di ricercatori, insegnanti, semplici cultori del sapere filosofico, capaci di ridare presenza ad un'impresa di pensiero costitutivamente ribelle, nei luoghi appunto più impensati. Non so: l'apparizione di uno studioso “maledetto” da quasi tutti, da coloro che si accomodano sempre con grande disinvoltura all'ombra dei pregiudizi e dei costrutti di potere, in una libreria storica del centro fiorentino oppure l'accoglienza sempre sorridente, nei luoghi più diversi, alle manifestazioni, in una città purtroppo freneticamente turisticizzata, di un pensiero libero e criticamente affermativo (della possibilità del nuovo). Certo, aveva forse ragione Simmel, in apertura del Novecento, a raffigurare Firenze come una “terra” di difficile accettazione rispetto a ciò che ha la pretesa, di fatto azzardata, di ricominciare da capo ma ciò non toglie che l'espressione del suo “sentimento dell'esistenza”, fortemente “unitaria”, possa lasciare spazio a un po' di coraggio in più, indispensabile per accorgersi delle crepe che si presentano ormai sempre più spesso in edifici culturali che sembravano pienamente bastare, in passato, a se stessi.
Questo testo è tratto da Kiki Franceschi, Tous le rèves du monde. Luoghi e percorsi nel vissuto di un’artista contemporanea, Altralinea Edizioni, Firenze 2020.