Paura
Vincenzo Scalia

05.11.2022

Sin dagli albori dello Stato moderno, la paura si è connotata come l’elemento fondativo della politica. Allo scopo di assicurarsi l’incolumità fisica, la protezione dei propri beni, la tutela della sfera privata, che gli esseri umani, secondo il paradigma delineato da Thomas Hobbes (1980), danno vita all’entità statuale. Al pactum unionis, ovvero un’unione utlitaristica, posticcia, finalizzata alla sopravvivenza, fa seguito il pactum subiectionis, vale a dire l’assoggetamento ad un’autorità terza, deputata a governare e a neutralizzare i conflitti che minacciano la sopravvivenza della società, in particolare la libertà parametrata sugli scambi di mercato. Dall’impianto hobbesiano scaturisce l’istituzione delle forze di polizia, intese come apparato centralizzato che assicura il mantenimento dell’ordine pubblico all’interno, e dell’esercito, deputato a neutralizzare le minacce esterne.

La narrazione hobbesiana, in realtà, ha il fiato corto, che la porta ad arenarsi su due scogli aguzzi : il primo concerne i meccanismi di autoriproduzione del potere: se è vero che lo Stato si fonda sulla paura e sull’insicurezza dei suoi cittadini, come notava Bobbio (1993), è evidente che utilizzerà sempre questa risorsa allo scopo di legittimarsi e perpetrarsi. Il passaggio dall’homo homini lupus all’homo sacer agambeniano (Agamben, 1993), in questo contesto, costituisce una tappa quasi scontata. Il potere non può permettersi di includere tutte le soggettività che attraversano lo spazio sociale su cui insiste, né scomporsi ripartendo le sue prerogative tra i membri della società, pena il ritorno allo stato di natura. Di conseguenza, la soglia di legittimazione del potere statuale, si arresta, parafrasando Henri Lefevbre (1978), sulla soglia dell’anormalità o su quella, all’esterno, del nemico di turno. In secondo luogo, il primo aspetto va messo in relazione con l’asimmetricità delle formazioni sociali.

La società moderna e contemporanea non si è mai caratterizzata per essere un’entità compatta e omogenea, in particolare sul piano delle risorse materiali e simboliche, oltre che per la produzione di senso. Conflitti sociali, culturali e politici, attraversano costantemente il corpo sociale, incarnandosi nella rappresentazione, nella produzione e nella circolazione di discorsi e pratiche mirate a rappresentare la società come uno spazio in constante pericolo, minacciata da nemici interni ed esterni da affrontare attraverso il dispiegamento di dispositivi repressivi. Siamo di fronte al processo di produzione delle paure, che Stanley Cohen (1971), definiva come panico morale. Si tratta della percezione e della rappresentazione di specifici individui e gruppi sociali come una minaccia da parte della società affluente, che giustifica così la messa in atto di strumenti di controllo atti a neutralizzare la minaccia, ma che si rivelano a lungo termine penalizzanti per l’esercizio delle libertà fondamentali. A questo scopo, si mobilitano gli apparati ideologici e repressivi, secondo uno schema che viene messo in atto nei periodi in cui le lacerazioni esistenti all’interno del tessuto sociale si manifestano in maniera ancora più acuta. Il prodotto finale consiste quasi sempre nel limitare le libertà e i diritti fondamentali, che viene giustificato dalla presenza delle cosiddette classi pericolose (Chevallier, 1977) che vengono artatamente stigmatizzate e colpevolizzate.

Il decreto 434 bis, varato dal governo appena insediatosi, definisce i rave come una minaccia all’ordine pubblico, alla salute e all’incolumità pubblica secondo lo schema hobbesiano-agambeniano che abbiamo appena delineato. La coalizione governativa in carica risulta perfettamente consapevole del fatto di godere del consenso di non più di un quarto degli Italiani, oltre che di essere attraversata da pesanti divisioni interne. Se proviamo ad uscire dall’ambito della politique politcienne, si apre ai nostri occhi uno scenario drammatico, con le conseguenze della pandemia e della guerra in Ucraina che si traducono nell’aggravamento della crisi economica, in seguito al quale le condizioni di vita di strati sempre più vasti della popolazione si deteriorano progressivamente.

La compagine governativa attuale non dispone di risorse quali l’ autorevolezza o i margini di manovra necessari a fronteggiare questo contesto critico, anche perché l’agenda economica non può che seguire la linea già tracciata dal governo precedente, sotto la stretta tutela della tecnocrazia neo-liberista. In questa cornice, il ricorso alla paura, intesa come panico morale, si trasforma nella soluzione principale, oltre che più comoda, che la coalizione governativa può mettere in atto. Il ricorso alla legge e all’ordine, all’interno, serve a ricucire e puntellare le divisioni e le rivalità della maggioranza di governo. All’esterno, serve a rassicurare l’opinione pubblica che il governo “sta facendo qualcosa”, attraverso il varo di un pacchetto di politiche penali repressive, in cui rientra anche la riproposizione dell’ergastolo ostativo, agendo come una vera e propria cortina fumogena che copre i vuoti progettuali e programmatici del governo. Inoltre, il riferimento a raduni di più di 50 persone, apre la strada alla repressione futura di eventuali riunioni e manifestazioni di natura politica.

I rave non sono mai degenerati in risse, morti, atti di vandalismo, danneggiamenti, saccheggi, scontri violenti. Tuttavia, basta lo sgombero di un raduno “illegale” a Modena per avere il prestesto di varare un decreto che parte dall’individuazione di una nuova categoria di criminali, ovvero i ravers, per introdurre la reclusione da 3 a 6 anni per chi organizza tali raduni e pene minori per i partecipanti. Si tratta di un immaginario in parte collodiano in parte deamicisiano, in cui i Franti di turno trascinano i poveri Garrone sprovveduti alla perdizione, facendoli ballare, ubriacare e drogare, finendo per produrre un’umanità minacciosa che assale la proprietà privata e minaccia l’incolumità della gente, magari invogliandola ad unirsi al rave party. Siamo davanti ad un’aperta violazione dell’articolo 17 della Carta costituzionale, che consenta di riunirsi pacificamente e senz’armi senza alcun limite. Contemporaneamente, l’assembramento dei neofascisti a Predappio viene liquidato con lo status di manifestazione folcloristica. Siamo contrari a questo governo, e non per motivi di natura pregiudiziale. Misure come il decreto anti-rave mostrano come questa coalizione, all’autoritarismo congenito, somma insipienza e malafede. E della malafede, non dei ravers, abbiamo paura.


BIBLIOGRAFIA

Agamben, G. (1993), Homo sacer. Il potere e la nuda vita, Torino: Bollati Boringhieri.

Bobbio, N. (1993), Il futuro delle democrazie, Torino: Einaudi.

Chevallier, L. (1977), Classi laboriose e classi pericolose a Parigi nel XVIII secolo, Milano: Mondadori.

Cohen, S. (1971), Folkdevils and moral panic, London: Routledge.

Hobbes, T. (1980), Leviathan, London: Penguin.

Lefevbre, H. (1978), Lo Stato moderno, Bari: Dedalo.