La svolta del Tecnocene
Giorgio Grossi
23.04.2023

Il testo che segue è tratto dall'introduzione del volume di Giorgio Grossi, La svolta del Tecnocene, edito da Ombrecorte.


LA SVOLTA DEL TECNOCENE


1. Il III millennio non è iniziato bene, malgrado la fine repentina del Secolo breve e le promesse seducenti di un mondo ormai globalizzato, individualizzato e interconnesso: l’attentato alle Torri gemelle (2001), la crisi dei subprime con la grande flessione economico-finanziaria (2007-2008), la pandemia mondiale del Covid-19 (2019-2022) e la guerra in Ucraina (2022-2023), la crisi climatica e ambientale sempre più dirompente, le migrazioni crescenti e le morti conseguenti, i reiterati conflitti religiosi, etnici e politici, e molto altro hanno svelato l’equivoco del mito della post-modernità e delle sue “magnifiche sorti e progressive” mostrando per l’ennesima volta l’altra faccia del “progresso” umanista e ora anche forse “post-umano”. Tanto che la rivendicazione plurisecolare della già discutibile centralità del soggetto antropomorfo nell’universo si sta sempre più acriticamente trasformando mediante la sostituzione del famoso (anche se controverso) detto cartesiano “Cogito ergo sum” con quello altrettanto problematico di “Homo Deus” denunciato da Harari alcuni anni fa.

L’obiettivo di questo libro di conseguenza è quello di avviare un progetto di analisi critica dell’attuale rivoluzione digitale perché il futuro dei Sapiens può essere auspicabile e condivisibile solo se si ridefinisce il ciclo esistenziale e il modello di vita di questa specie, così da correggere e trasformare le vecchie e nuove illusioni “umaniste” senza cadere nell’illusione distorta di un futuro “umanoide”. Infatti, il mito di un “mondo migliore” nasconde quasi sempre l’idea che il progresso sia indipendente dai valori e dagli interessi messi in campo per svilupparlo, mentre sono proprio questi che ne definiscono la forma e il significato, cioè il fondamento bio-esistenziale del nostro percorso coevolutivo nel bene come nel male, nel giusto come nello sbagliato. Così, ad esempio, la convinzione che tutti gli essere umani sono sì “uguali” ma nel contempo “diversi” rappresenta l’affermazione di principi e di interessi evoluti e modificati sulla base di un processo storico non solo migliorativo ma soprattutto emancipativo. Lo stesso vale per la centralità e la tutela del lavoro, la parità di genere, il diritto all’impegno sociale e politico, la partecipazione democratica, e così via.

Quindi è necessario contrastare e respingere l’automazione e la cyborgizzazione dilaganti che si stanno sempre più diffondendo, anche se sappiamo che tale posizione critica è per sua stessa “natura” variabile, controversiale e storicamente connotata. Di conseguenza, si può affermare che la verità – comunque intesa e definita – non esiste in questo mondo, se non a partire da bisogni, cognizioni e convinzioni che sono inevitabilmente (ma fortunatamente) sempre parziali, contendibili e denegabili, e perciò sempre modificabili. Perciò, il cosiddetto “mondo del pressappoco” contrapposto da Koyré al “mondo della precisione” non è solo il passato ma anche il futuro della specie (malgrado le dilaganti ideologie tecno-informatiche); la precisione della conoscenza e l’automazione della società stessa sono sempre espressione di scelte non neutrali, ma interessate e spesso prevaricanti e quindi tendenzialmente accompagnate anche da forme di disumanizzazione; la rivoluzione politica, culturale e scientista, è dotata di senso finché non diventa un “nuovo ordine costituito”, “una tappa conclusiva” di un processo “lineare” e “deterministico”; il cambiamento è quindi innaturale e oppressivo se non permette l’adeguamento degli standard di vita dei suoi attori in quanto consapevoli della loro variabilità e della loro imperfezione ma anche della loro connotazione bio-sociale e collettiva.

La critica perciò diventa il fondamento e il presupposto di una esistenza non interamente oggettivata e predefinita, sia essa immaginata come “la citta del Sole” o come “il mondo dei Robot”, in quanto è sempre la conseguenza di un percorso coevolutivo che assume significato solo nell’ambivalenza continua e nella metamorfosi, consapevole e inevitabile, del ciclo vitale medesimo. Quindi, non c’è ordine senza conflitto, non c’è cultura senza differenza, non c’è certezza senza dubbio, non c’è esattezza senza approssimazione, non c’è razionalità senza emotività, non c’è significato senza consapevolezza, non c’è vita senza morte, e così via.

Naturalmente, ciò non vuol dire che tutto è intercambiabile e mutuabile – l’omeostasi della vita organica è sempre in funzione per garantire la replicabilità della specie e il suo continuo riequilibrio in funzione dell’adattamento -, ma che il processo coevolutivo, anche nel III millennio digitale, non deve escludere nulla, non può ipostatizzare nulla, non rende le soluzioni irrevocabili perché la validità, l’organizzazione e il significato dell’esistenza bio-tecno-sociale dei Sapiens hanno una dimensione sempre performativa e non solo ripetitiva. Tale peculiarità che è attiva e autoriflessiva rende il percorso evolutivo stesso qualcosa di vincolante ma nel contempo di trasgressivo, qualcosa di attraente ma anche di deprimente, insomma lo trasforma comunque in una esperienza di vita che si riesce a realizzare solo attraverso una propria metamorfosi soggettiva e consapevole, anche se inevitabilmente connotata sia in positivo che in negativo. E’ in questa prospettiva che occorre oggi affrontare la questione della svolta iperevolutiva del Tecnocene e chiedersi se essa rappresenta una nuova era o l’inizio dell’estinzione dei Sapiens medesimi.

2. Non basta tuttavia solo denunciare o tentare di negoziare lo stato-di-cose presente come si sta facendo sempre più nell’ultimo decennio, illudendosi di mettere in campo il “buon senso” culturale e scientifico per frenare gli eccessi e gli errori. Né sono sufficienti le leggi di tutela della privacy – la quale ormai tende, come è noto, a scomparire – o i vincoli etici evocati di volta in volta, ad esempio, per contrastare l’eugenetica, le nanotecnologie sanitarie e la robotica assistenziale. Occorre piuttosto avanzare delle soluzioni realmente alternative, in grado non solo di contenere ma soprattutto di convertire e trasformare le nuove strategie di vita che stanno emergendo attraverso la progressiva informatizzazione dell’esistenza messa. Inoltre, l’impasse più rilevante è quello che riguarda soprattutto la scienze umane e sociali sempre più incapaci di cambiare i propri criteri di analisi e i modelli interpretativi per analizzare e criticare tale mutamento epocale e quindi per mettere in campo nuovi strumenti di azione e trasformazione in grado di riformulare il nostro percorso bio-sociale e coevolutivo.

Del resto i Sapiens, se lo vogliono, possono farlo, come è già accaduto nel corso dei secoli, anche se, ovviamente, in forme non sempre adeguate e convincenti. In passato tuttavia si potevano sempre correggere gli eccessi e contrastare le anomalie della metafisica, della mitologia, del razionalismo, dell’industrializzazione, del colonialismo, del totalitarismo, del consumismo, del neoliberismo e così via, in quanto la riproduzione bio-sociale era prevalentemente un processo organico costruito e modificato socialmente. Oggi però il rischio è che i “ritorni acceleranti” della singolarità tecno-esistenziale prodotta dalla rivoluzione dell’IA possano rendere impercorribile il cambiamento sociale futuro perché diventerà incomprensibile e quindi inintelleggibile per i Sapiens medesimi se non verranno introdotti limiti, riconfigurazioni e alternative allo sviluppo automatizzato del percorso evolutivo medesimo. La stessa “teoria del conflitto”, una delle elaborazioni socio-politiche dei processi sociali più capace di praticare una visione ambivalente e metamorfica dell’esistenza stessa nel corso della storia dei Sapiens, finirebbe per essere progressivamente svuotata e accantonata perché in contraddizione con il nuovo teorema della digitalizzazione ipostatizzata che mira a bypassare lo “scontro” per legittimare l’upgrading automatico, univoco, asettico e neutrale.

Il cambiamento di scenario in cui ci troviamo si presenta infatti tutt’altro che rassicurante: mentre il Coronavirus attacca e ferisce l’umanità intera e le guerre locali o internazionali si moltiplicano, mandiamo su pianeti extraterrestri robot e dispositivi cibernetici alla ricerca di forme di vita o per organizzare viaggi turistici o per garantirci una futura esistenza alternativa. Inoltre, poiché le nostre democrazie sono in crisi, i GAFA - le grandi imprese digitali che prosperano con i Biga Data raccolti continuativamente dalle nostre vite, siano esse offline o online - collaborano tra di loro a inquinare il dibattito pubblico e le scadenze elettorali usando le profilazioni online, i chatbot e le fake news, proclamando la “democrazia elettronica” ma di fatto praticando la “democrazia della sorveglianza”. Come pure il “sacco del pianeta” incrementa e non riduce la povertà, mentre la “società dello spettacolo” nella sua ultima versione “virtuale” (Metaverso) immagina un mondo di uguali individualizzati e soddisfatti, quando invece di fatto aumentano le disuguaglianze economiche, sanitarie, culturali e ambientali che non si combattono con le app, la domotica, i device indossabili e la robotica ma con una visione politica (ed etica) dell’esistenza stessa, che tende invece sempre più a scomparire.

[…]

Perciò, l’interrogativo di fondo da cui partire per cercare di uscire dalla situazione in cui ci troviamo sempre più immersi, non è tanto relativo all’ipotesi che l’IA possa avere o meno una “coscienza bio-semiotica” ma è soprattutto collegato alla capacità dei Sapiens di correggere tutte le distorsioni esistenziali prodotte nel corso della modernità antropotecnica, sapendo che la nuova fase della rivoluzione digitale non sarà in grado di risolverle veramente ma solo di aggravarle. Infatti, il problema che abbiamo di fronte non è soltanto se il trans-post-umano si imporrà definitivamente come nuovo connotato di specie (con l’avvento del Tecnocene) ma in particolare se riusciremo a cambiare veramente la nostra bio-tecno-sfera per smontare il mito degenerativo di un progresso sempre più accelerato (e oggi anche “artificializzato”) che però non risolve affatto i nostri problemi esistenziali e il nostro destino bio-sociale.

A conferma di ciò, sia pure in percentuale minoritaria e ancora con modalità poco incisive, si stanno già elaborando altre concezioni culturali, altre interpretazioni, altre formulazioni e pratiche diffuse nelle nostre comunità terrestri che stanno cercando di modificare questo stato di cose, al fine di mettere al centro dell’esistenza bio-tecno-sociale nuovi valori e differenti prospettive coevolutive. Si tratta di anteporre soprattutto la cognizione riflessiva, la coscienza etica e l’impegno politico come precondizioni di ogni processo di informatizzazione; inoltre, devono essere diffusi e consolidati i percorsi di emancipazione, l’agency performativa, la critica dello stato-di-cose ipostatizzato al fine di arrivare a riformulare una vita democratica e cosmocratica mediante la messa in atto di nuovi principi esistenziali non conculcabili né delegabili alla cibernetica autosufficiente.

Di conseguenza, questi orientamenti e progetti esistenziali alternativi (e altri che si possono sviluppare e costruire a partire da alcune esperienze finora minoritarie) non devono essere “negoziabili” all’interno della rivoluzione digitale in corso perché rappresentano l’unica strada davvero intelligente per cercare di raggiungere un cambiamento bio-tecno-sociale dotato di senso e politicamente connotato, che non riproduca o peggiori gli squilibri e le incoerenze finora segnate da un certo tipo di coevoluzione che ormai non è più in grado di promuovere un mondo favorevole e vivibile per tutti i suoi abitanti e per il loro ambiente.

La situazione della “terra di mezzo” in cui ci troviamo – uno spazio bio-sociale intermedio in cui si cerca una via di uscita dal futuro predeterminato - è dunque decisiva e strategica perché occorre non solo contenere e contrastare la iperevoluzione cibernetica e tecno-informatica ma soprattutto diventa necessario emanciparsi finalmente tutti dalle degenerazioni prodotte nel corso della storia, delle civiltà e della modernità ai danni degli stessi Sapiens. E ciò perché connotati bio-sociali come cognizione, coscienza, valori e aspirazioni sono gli ingredienti che ci hanno permesso soprattutto di dare senso esistenziale alla nostra vita quotidiana, al di là della mera riproduzione e relative pulsioni adattive e riproduttive. Ma questo sarà possibile, proprio in una fase di trasformazione algoritmica e digitale come quella attuale, solo partendo dalla convinzione che il ciclo esistenziale e le forme di sociazione non sono né immutabili né univoche, e che questo “modo di essere” non è mai definitivo e che quindi sono modificabili le pratiche egoiste e strumentali, vecchie e nuove, che noi stessi abbiamo alimentato nel corso della nostra storia sempre più “involutiva”. Naturalmente questa nuova prospettiva non ha nulla di scontato e di incontrovertibile, ma questi limiti non devono essere superati da una nuova “narrazione” scientista, trans-capitalista e post-umana perché gli ostacoli al cambiamento bio-sociale stanno sempre dentro di noi e solo noi li possiamo rimuovere se accettiamo la nostra costitutiva imperfezione e ambivalenza

Allora, l’interrogativo principale da cui partire per mettere in campo questa nuova prospettiva esistenziale è il seguente: come deve essere questa nuova sociazione del III millennio? In primo luogo, non dobbiamo annullare l’idea di “società” – tratto identitario della specie - ma dobbiamo ripensarla in modo da guidare meglio la metamorfosi delle peculiarità della vita dei Sapiens in un contesto sempre più contaminato da entità tecno-informatiche. E’ necessario perciò costruire un nuovo tipo di “convivenza sociabile” capace di migliorare l’esistenza dei suoi membri al fine di implementare comunque valori e sentimenti, cognizioni ed emozioni, conflitti e interazioni, valori politici e principi etici per non farsi completamente debiologizzare e digitalizzare. Si tratta insomma di definire e praticare una nuova tessitura del ciclo vitale che estende il campo della socializzazione antropomorfa all’intero habitat esistenziale, al fine di includere l’insieme allargato e contaminato di tutte le componenti che lo devono caratterizzare: specie organiche, materie inorganiche, bio-sfera e info-sfera, prodotti tecno-informatici, entità robotiche, concrezioni naturali e ambientali, ecc. che coinvolgono ormai l’intero cosmo nel percorso esistenziale delle specie animali e quindi anche della nostra.

Non più dunque soltanto una nuova forma di società tradizionale o moderna ma una diversa tipologia di sociazione esplicitamente alternativa al modello dominante che è oggi sempre più caratterizzato dall’intreccio tra capitalismo cognitivo, tecno-scientismo e “silicolonizzazione” del mondo bio-sociale. In sintesi, occorre smontare e rimontare l’idea stessa di “esistenza in società” per adeguarla alle trasformazioni in atto, sapendo però che la sociazione in sé – specificità della nostra evoluzione biologica - va comunque difesa e conservata anche se contaminata dalle nuove pratiche (e relative ideologie) che sono all’origine del suo evidente declino.


© Giorgio Grossi, La svolta del Tecnocene, Ombrecorte 2023