29.09.2024
Cercherò ora di sviluppare e chiarire ulteriormente queste affermazioni. Già all’inizio degli anni ’80, ma con un’accelerazione fortissima man mano che siamo enrati nel XXI secolo, i popoli ex-coloniali, che all’inizio avevano inserito la loro narrativa in quella marxista, muovendosi, con una certa autonomia, fra l’URSS e la Cina di Mao, hanno riscoperto il valore delle loro tradizioni : oggi la storia ritorna non come il progresso inarrestabile dei valori occidentali, ma come il ritorno, la rinascita di tradizioni soprattutto religiose che riaffermano la loro validità e la loro identità di contro all’Occidente. Anche qui, non dobbiamo fermarci alla preoccupata e giustificatissima constatazione che questo significa una messa in discussione dei valori liberal-democratici; dobbiamo guardare lucidamente ai fatti. L’Iran, La Cina il mondo islamico, l’India in varie forme hanno conosciuto questo fenomeno di “regresso”; ma sarebbe miope ed è miopia tutta occidentale leggere questo fenomeno solo come qualcosa di “reazionario”, interpretarlo solo secondo la categoria della decadenza. Gli aspetti “reazionari” sono l’altra faccia di modernizzazioni nuove, che non si basano più sull’annullamento della tradizione, ma anzi fanno leva su di essa. Si pensi, in questo senso, all’impressionante caso della Turchia, dove alla modernizzazione occidentalizzante e leninista dell’ Atatürk è succeduta quella neoislamica e sempre più tradizionalista di Erdogan. In tutti questi casi, non assistiamo semplicemente a un “tornare indietro”, ma (spesso, non sempre) a quei fenomeni che Merleau-Ponty qualificava come Stiftung, istituzione, volendo intendere che il nuovo è sempre anche una ripresa e una rinascita, che ogni rivoluzione riveste anche i panni del passato (Marx del 18 Brumaio). Ovvio che questo configuri un concetto di storia come coesistenza di tempi diversi, come, sulla scia di Braudel, già aveva visto Chakhrabarty in Decolonizzare l’Europa; ovvio che in questo modello di storia, come base non deterministica, entri l’elemento terrestre e biologico, che non è mai fagocitato da quello culturale; e che la diversità delle culture sia anche un saper rispondere in modi infinitamente diversi all’ambiente, che non viene (secondo il modello più tipicamente occidentale) dominato, ma ripreso e rispettato nella sua autonomia e diversità (come proponeva già il modello geografico di Vidal de La Blache).
Con queste ultime affermazioni, mi sono venuto avvicinando a prospettare quale possa essere la risposta dell’Occidente alla sfida che gli viene lanciata dai nuovi popoli – e qui dovremmo sottolineare di nuovo, come di passaggio abbiamo appena fatto, che questo momento storico di caos e guerre è cruciale perché in questo confronto ne va della democrazia; infatti, nella giusta rivendicazione delle loro diversità e tradizioni e autonomia dall’occidente buona parte dei nuovi popoli negano dell’Occidente anche un aspetto che pure è irrinunciabile per lo sviluppo delle loro esigenze della liberazione: appunto, la democrazia. Buona parte di queste realtà sono totalitarismi segnati da pesanti settarismi religiosi, ignari delle problematiche dei diritti ecc. Tornando al tema della ripetizione congiunta all’innovazione, si potrebbe dire che questi paesi hanno operato una ripresa di loro valori tradizionali coniugandoli agli aspetti peggiori della modernizzazione occidentale. Infatti, ad esempio, l’impero ottomano tradizionale, così come tante società premoderne, non era democratico, ma non aveva certo sviluppato gli aspetti di dispotismo moderno tipicamente occidentali che conosce oggi la Turchia con Erdogan. In un certo senso, quindi, in questo confronto con l’altro da sé l’Occidente si trova come messo di fronte a un suo specchio tragicamente deformante, dove ciò che rivendica la sua alterità assoluta assume i tratti di ciò che vuol combattere… Nel confrontarsi con coloro che stanno assumendo l’egemonia, dopo essere stati per secoli delle prede, l’Occidente ha dunque ancora delle carte da giocare, dei valori da difendere e da insegnare, non indicando nell’altro semplicemente la reazione e il passatismo, ma invitandolo a una ripresa delle sue tradizioni che sia più vera e non sia una versione in gran parte deformata di valori occidentali ad essa esterni. L’Occidente non ha solo il volto dell’universalismo astratto e imperialistico, quello che si è espresso anche in tempi recentissimi con i tentativi di imporre la democrazia con le armi; la nostra modernizzazione – secondo un paradosso assai felice e fecondo – non si sviluppa secondo un modello unico: fin dall’inizio alla linea del progresso necessario e gerarchizzante alla Hegel e alla Condorcet accoppia una visione della storia che procede lateralmente e per ripetizioni (come fu enunciato genialmente dal nostro Vico, e ripreso nel XX secolo da Auerbach e da Merleau-Ponty); questa visione oppone alla superiorità del più progredito sul “selvaggio” la coesistenza dei diversi, che si arricchiscono reciprocamente proprio grazie alla loro diversità, secondo il modello goethiano della traduzione, che di nuovo conduce a Auerbach e a Merleau-Ponty. Su tutto questo, entrerò più in dettaglio nel prossimo pezzo.