La logica in Deleuze: dalle parole di Carroll ai corpi di Bacon
Ilaria Dipace

17.06.2024

Gilles Deleuze scorge nel soggetto cristallizzato una contrazione degli istanti, il bloccarsi del loro fluire in un concetto di presente di cui il passato e il futuro non siano che il riflesso. In tutto il suo percorso dalla Logica del senso1 alla Logica della sensazione2 è evidente il suo impegno nel limitare questi processi selettivi nei confronti del divenire. Il mondo delle cose, dei corpi o del linguaggio se categorizzato in soggetti e oggetti è sempre un prodotto che ha comportato una mutilazione. La destrutturazione dell’”'io” diviene così centrale nella sua filosofia, in quanto pratica necessaria per liberare il potenziale vitale dall’ ipostatizzazione delle identità.

La trasfigurazione che Francis Bacon sottopone al corpo dipinto, collegata al disfacimento che Lewis Carroll fa subire al personaggio di Alice attraverso l’uso di verbi all'infinito, fa emergere l'esistenza di un “senza fondo” di forze soffocate che sottendono al processo di identificazione. Deleuze considera l’identità come un risultato conseguente a una gerarchizzazione di tali forze: una di esse assume un ruolo predominante rispetto alle altre nella guida verso un risultato definito: il dato. Così, il divenire, superando ogni possibilità di gerarchia, supera ogni possibilità di determinazione identitaria. Alice ne è costantemente sottoposta (per esempio nel suo crescere e rimpicciolire), in un procedere simultaneo in più sensi, non unidirezionale, che dilania il soggetto. È come se il suo personaggio costituisse una singolarità priva di ordine e centro trovandosi immerso in continue variazioni e modulazioni. Tutto è giocato a livello della superficie e della sua fragilità, è là che inveniamo la logica di un senso da ritrovare, laddove quella classica viene sconvolta.

Questo sconvolgimento è il risultato di una considerazione della conoscenza come connessa al corpo e ai suoi modi di essere “affetto” dal “fuori”, motivo per cui colpisce sia il corpo dipinto nei quadri di Bacon, sia le avventure vissute da Alice attraverso il linguaggio di Carroll. Il conoscere intellettuale e l’esperire sensibile (e di conseguenza i corpi e le parole) sono strettamente intrecciati, senza che vi sia una diretta subordinazione di uno all’altro.

Si perde il concetto di errore tanto come mancata adesione del pensiero a un reale materiale ad esso esterno, quanto come influenza dell’esterno su un procedimento che, se restasse interamente interno al pensiero, sarebbe di una regolarità tale da giungere sempre a verità certe. All’immagine del buon pensatore, conseguente a quella della natura del pensiero come affine al vero, se ne sostituisce una di un pensiero avente i propri presupposti residenti in un “fuori” che apra al paradosso: il suo dominio non si trova infatti in ciò che è esclusivamente razionale. La buona volontà non ha un ruolo nell'atto originario di un pensare concepito come avventura dell'involontario.

Non si procede dunque per la scoperta di verità, siano queste interne o esterrne, ma per produzione di senso e solo conseguentemente di verità. Il senso è determinato da un ritmo che lega gli elementi che il pensiero attraversa, costituendo un percorso senza meta o direzione stabilita. Esso è dunque, prima di prendere consistenza e diventare ritmo, un “non senso”.

Gli oggetti che occupano il mondo necessitano di soggetti, in un rapporto soggetto-oggetto stabilizzato, in cui l’unità del tutto e la prevedibilità del movimento delle parti è dato tanto da leggi meccaniche di causa-effetto del mondo oggettivo, quanto dalla prospettiva unificante di un soggetto esterno che guarda. Anche questo è un procedere ritmico, ma trattasi di un ritmo esclusivamente meccanico. Un modo di guardare non meccanico, non razionale e non personale è intensivo e permette di cogliere l’evento, cioè qualcosa di non inquadrabile negli schemi già dati.

La relazione tra le parole smette di seguire quella tra le cose cristallizzate così come si possono rinvenire nel mondo comunemente esperibile e diviene rapporto di superficie dettato da un nuovo senso. Esso non si riduce alle sole espressioni né agli stati di cose: rappresenta una dimensione più profonda e fluida che permea il reale. Le parole fungono da veicolo per il senso: è in esse che esso vive, ma ha origine al di là delle parole, nel continuo divenire che abbraccia la complessità e il molteplice.

Una direzione definita porta a un linguaggio, a una descrizione di un mondo che pone la sua attenzione verso le forme e il loro susseguirsi cronologico e sequenziale dal passato verso il futuro, dalla causa verso il suo effetto. Questo è il senso legato a una prospettiva del presente, in cui le forme sono immobilizzate e solo successivamente fatte muovere verso il passato che erano e il futuro che saranno, con un movimento astratto da un’esperienza oggettivata e continuamente riaggiunto alle forme statiche di tale esperienza per mezzo di un abitudinario modo di guardare alle cose. Si creano nuovi significati se l’attenzione non è più posta sulle forme, ma sul passaggio, sul divenire. Non vi è più il passato e il futuro di una forma presente: il passato e il futuro fluiscono uno nell’altro in modo paradossale e il presente è proprio ciò che viene evitato. Il crescere di Alice è paradossalmente al contempo il suo divenire più grande (di quanto non era) e più piccola (di quanto sarà). Le relazioni tra le forze non sono mai di causa-effetto e dunque anticipabili. Ogni interazione comporta la produzione di nuove forze e nuove relazioni che generano a loro volta la produzione del senso di un sistema linguistico.

Già nell’empirismo il pensiero e l'essere iniziano il loro processo di identificazione a partire da relazioni esterne, la capacità di cogliere rapporti differenti diviene cruciale per oltrepassare il mondo comune. Poiché la variazione delle relazioni definisce quella dei termini nel loro significato a livello sia epistemologico che ontologico, un mondo dato è conseguenza di un’abitudine alla conservazione di determinate relazioni stesse. L’agire pratico e il modo di essere “affetti” rientra in queste modalità relazionali e quindi nel nostro conoscere il mondo.

Deleuze compie un passo ulteriore: i rapporti non si limitano a congiungere punti con schemi loro propri, facendo sì che a connessioni determinate corrispondano determinate strutture differenziate solo dal modo di rapportarsi delle parti. Sono le linee stesse a creare gli elementi nel loro connettersi: l’incontro tra linee forma il punto laddove il rapporto tra queste, la sua consistenza e l’intensità che si produce sono tali da poter dare origine a un elemento cristallizzato portatore a sua volta di tutto un insieme di possibili relazioni in base alle quali si verranno poi a determinare soggetti e oggetti. Il pensiero puro ha sempre a che fare con un movimento, l’intensità diviene, però, il concetto chiave, sostituendo quello di estensione.

La percezione ordinaria, che ripercorre un procedimento meccanico, rinvia parti ad altre parti, che poi la logica tradizionale ragionando per insiemi riunisce in concetti. Nel momento in cui si cessa di ragionare per insiemi, la totalità non è più un’inclusione di sottoinsiemi, ma congiunzione e disgiunzione di eterogenei. Il corpo non è mai un semplice involucro dell’io, una macchina che trasporta un soggetto in linea di principio cartesianamente da esso separabile. Esso è immerso in un continuo processo di produzione di relazioni. Le interazioni corporee, i gesti e i movimenti, sono modi con cui il corpo costruisce connessioni. Esse andranno a formare delle abitudini che plasmeranno non solo il nostro modo di vivere e di agire nel mondo, ma anche quello di pensare e parlare. Nel corpo sono infatti inscritte una pluralità di forze che forniscono il potenziale per sempre nuove possibilità: quello in divenire, ripreso da Bacon, è attraversato da questo flusso, così come quello del linguaggio in Lewis Carroll è attraversato dal “non senso”.

Nelle opere di Bacon, Deleuze riscopre il requisito fondamentale di un impatto che coinvolga sia il corpo che la mente e questo grazie alla sua straordinaria abilità nel rappresentare la sensazione pura. Essa, colpendo direttamente il sistema nervoso, evita che entrino in gioco interpretazioni precostituite. Ciò permette di allontanarsi tanto dai clichés che risiedono in noi quanto dai processi narrativi le cui dinamiche sono già strutturate. Colpisce come il pittore irlandese schivi il figurativo, ingabbiando le figure, isolandole e facendo venire meno un’interazione spaziale, evitando così che si inneschino connessioni causali tra oggetti rappresentati nell’estensione di uno spazio geometrico. Questa impossibilità di sviluppare una storia spinge il pensiero a non seguire rotte già definite, ma a costruire nuove strade in intensità. Bacon si rende interlocutore perfetto in una conversazione filosofica con Deleuze grazie alla sua tendenza a procedere verso l’emersione di teste e del loro contorcersi, di grida, che portano verso l’indiscernibilità tra uomo e animale, ma soprattutto allontanandosi da rappresentazioni di identità e di volti espressivi.

Nei quadri del pittore irlandese non viene infatti rappresentata una scena che provoca terrore, bensì il grido. L’atto di gridare manifesta le forze interne al corpo, non è conseguenza esclusiva di ciò che è dato in un “fuori”: è il risultato dell’incontro tra le forze che investono il corpo e tale “fuori”, è una fuga del corpo da se stesso, scatenata dallo shock che il “fuori” provoca.

La sensazione mantiene uno statuto di logica, non rinuncia all'armonia e al ritmo che abbracciano sia il razionale che l'irrazionale. Questo suo esprimersi avviene logicamente, partendo dal caos di una condizione iniziale di schizzi su tela per dar vita a un nuovo ordine. La fase pre-pittorica caratterizzata dal caos, cioè quella del “diagramma”, annulla le limitazioni del possibile: tutto può accadere laddove vengono disfatti i clichés presenti tanto nella nostra testa, quanto nelle geometrie di una tela mai completamente sgombra. Il ruolo dell'artista è quello di liberarla a partire da un caos iniziale, consentendo alla vivacità dei corpi di emergere prima di divenire figura. L'arte è così un mezzo di esplorazione filosofica, tramite il conflitto tra un’esistenza come spettacolo dai ruoli definiti e quella dimensione delle forze implicite nello spettatore, nel corpo dipinto e nella scena causa esterna del grido, scena rifuggita, non dipinta nel suo essere pura copia descrittiva del mondo oggettivato. L’arte è così un ponte tra sensazione e pensiero e il conflitto diviene il ritmo del suo attraversamento senza direzione.

La logica come ritmo, la concettualizzazione di temporalità differenti, la descrizione come successiva a una trasfigurazione, il rapporto soggetto-oggetto come prodotto secondario sono tutti elementi di un pensiero che ha la necessità dell’incontro (contingente) con artisti come Francis Bacon e scrittori come Lewis Carroll per essere innescato. Per

comprendere l’opera deleuziana bisogna rendere operative tutte le facoltà, non solo quella intellettiva, e cogliere come il “fuori” della filosofia (in questo caso l’arte e la letteratura), produca non solo in linea teorica, ma nella stessa pratica filosofica, quegli affetti necessari per nuovi sguardi prospettici sul mondo e la vita.



1 G. Deleuze, Logica del senso, trad. it. A. Verdiglione, Feltrinelli, Milano, 2022.

2 G. Deleuze, Francis Bacon. Logica della sensazione, trad. it. S. Verdicchio, Saggi, Macerata, 2023.