La comunicazione
Michel Serres

29.10.2022

Il testo che segue è l' Introduzione  al testo di Michel Serres, La comunicazione, edito da Meltemi


Introduzione


La rete di comunicazione: Penelope

Prima di essere sedotta da Zeus sotto forma di un serpente, e di concepire con lui Dioniso, Persefone, lasciata da Demetra nella grotta di Ciana, aveva cominciato una tessitura su cui sarebbe stato rappresentato l’intero universo.
(Dai racconti orfici)

Immaginiamo, disegnato in uno spazio di rappresentazione, un diagramma di rete. Esso è formato, per un dato istante (perché vedremo ampiamente che esso rappresenta uno stato qualsiasi di una situazione in movimento), da una pluralità di punti (vertici) collegati tra loro da una pluralità di ramificazioni (percorsi). Ogni punto rappresenta una tesi o un elemento effettivamente definibile di un dato insieme empirico. Ogni percorso rappresenta un legame o relazione tra due o più tesi, o un flusso di determinazione1 tra due o più elementi di questa situazione empirica. 

Per definizione, nessun punto è privilegiato rispetto ad un altro, nessuno è univocamente subordinato all’uno o all’altro; hanno ognuno la propria potenza (eventualmente variabile nel tempo), o la propria zona d’influenza, o ancora la propria forza determinante originale. E, di conseguenza, anche se alcuni possono essere identici tra loro, sono, in generale, tutti diversi.

Lo stesso, per i percorsi che trasportano rispettivamente flussi di determinazioni diversi e variabili nel tempo. Infine, esiste una reciprocità profonda tra i vertici e i percorsi, o, se si vuole, una dualità. Un vertice può essere visto come l’intersezione di due o più percorsi (una tesi può costituirsi come l’intersezione di una molteplicità di relazioni, o un elemento di situazione può nascere tutto a un tratto dalla confluenza di più determinazioni); correlativamente, un percorso può essere visto come una determinazione costituita a partire dalla corrispondenza di due vertici prestabiliti (qualsiasi relazione tra due tesi, interazione di due situazioni, ecc.). Si tratta quindi di una rete la cui differenziazione interna è massimizzata a piacere, di un diagramma il più possibile irregolare. Una rete regolare con vertici identici e percorsi concomitanti, o paralleli, o normali tra loro ed equivalenti sarebbe un caso particolare di questa rete “scalena”2. O, se si vuole, data una rete regolare, basta differenziare i suoi vertici e i suoi percorsi, farli variare quel tanto che occorre per ottenere il modello che proponiamo. D’altra parte, pensiamo che si tratti della rappresentazione formale d’una situazione mobile, cioè di una situazione che varia globalmente nel tempo; per esempio, se un punto o vertice della rete cambia bruscamente di posto (come una pedina di una certa importanza – re, regina, cavallo, ecc. – su una scacchiera), l’intera rete si trasforma in una nuova rete in cui la rispettiva situazione dei punti è differente come lo è la varietà dei percorsi. Ragioniamo ora in maniera astratta su questo modello e, in ogni fase del ragionamento, confrontiamolo con l’argomentazione dialettica tradizionale:


1. Date due tesi, o due elementi di situazione, cioè due vertici, l’argomentazione dialettica postula che esista uno e un solo percorso per andare dall’uno all’altro; questo percorso è “logicamente” necessario e passa attraverso il singolo punto dell’antitesi o della situazione opposta. In questo senso, il ragionamento dialettico è unilineare e caratterizzato dall’unicità e dalla semplicità del percorso, dall’univocità del flusso di determinazione che esso porta. Al contrario, il modello precedente è caratterizzato dalla pluralità e complessità dei percorsi di mediazione: in quest’ultimo, si vede chiaramente che esistono, se non tanti percorsi quanti se ne vuole per andare da un vertice all’altro, almeno un numero molto elevato, purché il numero di vertici sia finito.

È, infatti, abbastanza chiaro che questo percorso può passare attraverso quanti punti vogliamo e, in particolare, attraverso tutti. Non ce n’è quindi nessuno che sia “logicamente” necessario: il più breve, cioè il corto circuito tra i due punti in questione, può eventualmente essere più difficile o meno interessante (meno praticabile) di ogni altro più lungo, ma portatore di maggiore determinazione, momentaneamente aperto per questa o quella ragione3.

Da quel momento in poi, il percorso unico (o l’insieme dei percorsi selezionati) scelto dalla teoria, dalla decisione, dalla storia – o da qualsiasi evoluzione di una situazione in movimento – viene eletto tra gli altri possibili percorsi, determinato entro una distribuzione che può essere aleatoria. La rigida necessità di un’unica mediazione è sostituita dalla selezione di una mediazione tra le altre. Questo è un vantaggio notevole, cioè un’approssimazione più fine delle situazioni reali, la cui complessità è spesso dovuta al gran numero delle mediazioni praticabili di diritto; e questo vantaggio è dovuto alla superiorità di un modello tabulare su un modello lineare, o ancora al fatto che un ragionamento a più entrate e a connessioni multiple è più ricco e più flessibile di una catena lineare di ragioni, qualunque sia la forza di questa catena, deduzione, determinazione, opposizione, ecc.

In particolare, l’argomentazione dialettica diventa un caso ristretto di questa rete tabulare generale: per ritrovarla, è sufficiente omogeneizzare la rete e ritagliare su di essa una singola sequenza con un flusso determinante fisso, oppure proiettarla su una singola linea. Ad ogni modo, lo si ritrova come caso particolare, proiettato da un punto di vista ristretto. C’è dunque una pluralizzazione e una generalizzazione della sequenza dialettica, con un passaggio, a livello del modello formale, dalla linea allo spazio: il modello cambia dimensione; mentre invece l’argomentazione dialettica credeva di aver reso più flessibili e generalizzati tutti i ragionamenti precedenti facendo della linea retta una linea spezzata: per quanto la linea possa essere spezzata, e possa esserlo molte volte, essa resta tuttavia nella sua dimensione4.

2. Dalla linearità alla “tabularità”, il numero delle mediazioni possibili si arricchisce e, queste ultime, sono rese più flessibili. Non c’è più uno e un solo percorso, ce ne sono un dato numero o una distribuzione probabile. Ma, d’altra parte, oltre alla finezza delle differenziazioni apportate alle connessioni tra due o più tesi (o elementi di una situazione reale), il modello proposto offre la possibilità di differenziare, non più il numero, ma la natura e la forza di queste connessioni. L’argomentazione dialettica, per esempio, porta con sé nella sua linearità solo un tipo univoco di determinazione, negazione, opposizione, superamento, la cui forza esiste, certo, ma non è valutata5. È per questo che il nostro modello, in diritto, non è in nessun modo riducibile a una complessa tessitura di sequenze dialettiche multiple: questa tessitura è solo un caso particolare. Infatti, non introduce, nella multilinearità dei suoi percorsi, la plurivocità dei tipi di relazioni e la valutazione della loro forza rispettiva, eventualmente differenziata. Al contrario, ogni percorso, che rappresenta una relazione o una corrispondenza in generale, porta un dato flusso di un’azione o reazione qualsiasi: causalità, deduzione, analogia, reversibilità, influenza, contraddizione, ecc., ognuna quantificabile nel suo genere, almeno in diritto. E, d’altra parte, ognuno di questi flussi può essere, eventualmente, reso reciproco su un unico e medesimo percorso, cosa che nessuna sequenza dialettica può prevedere: due vertici possono, infatti, mantenere tra di loro relazioni di causalità reciproca, di influenza reversibile, di azione e relazione equivalente, oppure di azioni di ritorno (il feed-back dei cibernetici). Infine, un dato vertice può ricevere più determinazioni alla volta (o essere la loro fonte), ciascuna diversa per natura, ciascuna differenziata per forza, o per quantità d’azione. All’univocità dell’opposizione si sostituisce dunque la differenziazione dei tipi e delle quantità di determinazione, in cui ogni vertice è l’estremità o la fonte di una pluralità: l’argomentazione dialettica si trova dunque qui generalizzata per ciò che concerne la sua forza o il suo dinamismo di determinazione.

3. E poiché un vertice può dunque essere plurideterminato (e, con variazioni quantitative, sottodeterminato, sovradeterminato, ecc.), cioè rappresentabile da una intersezione o confluenza di linee o azioni tutte diverse, o addirittura opposte relativamente o rigorosamente (causalità, indipendenza, condizione, contraddizione, analogia, alterità, ecc.), non si può postulare l’equivalenza – cioè l’equipotenza – di ciascuno di essi, sia che venga considerato come estremità che come origine, alla ricezione o all’origine. Di conseguenza, questa rete è piuttosto facilmente paragonabile a una specie di scacchiera: su quest’ultima, esistono delle pedine con potere equivalente in diritto, ma il cui potere attuale è variabile secondo la loro situazione reciproca in un dato momento, tenuto conto della disposizione complessiva dei pezzi e della loro complessa distribuzione rispetto alla rete di gioco opposta; ma esistono anche pedine con potere diverso (re, regina, torre, cavallo…) che sono fonti (o ricezioni) di determinazioni differenziate, per definizione o natura, secondo dati percorsi (linee, diagonali, colonne, percorsi spezzati…), ma il cui potere dipende anche (come quello delle pedine equipotenti) dalla loro situazione e distribuzione temporanea.

Sulla scacchiera, come qui, esistono dunque delle determinazioni differenziate in natura, in quantità di flusso, in direzione, e correlativamente elementi determinanti (o determinati) differenziati in natura e in situazione. Tutto avviene allora come se la mia rete fosse un insieme complicato e in costante evoluzione, che rappresenta una situazione instabile di potere che distribuisce finemente le sue armi o argomentazioni in uno spazio a maglie irregolari. L’argomentazione dialettica è allora quel caso povero e singolarmente ristretto di una continua lotta secondo una direzione costante, anche se spezzata, tra due pedine uniche ed equipotenti, cioè tra due elementi separati da una distanza data e costante secondo una direzione privilegiata, che entrano in conflitto aperto nel momento determinato in cui uno di essi raggiunge l’equipotenza attraverso l’intermediazione del lavoro e della cultura (il che mostra curiosamente che esso non vede nel gioco dell’altro), terminando questo conflitto con la presa di possesso di un punto privilegiato (e che è un vicolo cieco, il che spezza la sequenza lineare) occupato dal predecessore, sconfitto. Il caso è così povero che possiamo immaginare un paradigma solo nella generalità della vita biologica, nel gioco muscolare di lotta mortale tra due avversari, dominante e dominato, in un momento egualmente forti e ugualmente armati, un momento scelto nell’indebolimento del primo e nell’accrescimento del secondo: il Padrone e lo Schiavo.

Più generalmente, qui, una rete differenziata e instabile di potere si mescola con un’altra rete di potere, instabile e differenziata (distanza abolita), e ciò in tutte le direzioni dello spazio. Una strategia complessa – che rende plurali i combattenti, che differenzia la loro forza (due Curiazi prevalgono rispettivamente su due Orazi, ma, con l’inganno un Orazio vale tre Curiazi), che varia la loro rispettiva situazione nel tempo e che può così massimizzare un potere attraverso la variazione della situazione (come l’ultimo Orazio) – rimpiazza la lotta mortale biologica, l’infinità degli stratagemmi possibili sostituisce l’unico stratagemma dello scontro mortale, il grossolano stratagemma del coraggio che conquista la vita per aver per aver mostrato disprezzo verso la morte.

4. Ma, prima di proseguire su questo punto, osserviamo che il modello di rete riflette un nuovo elemento di situazione che sfugge all’argomentazione dialettica. Infatti, la differenziazione pluralista e l’irregolarità della distribuzione spaziale dei vertici e dei percorsi permettono di concepire (e di sperimentare) associazioni locali e momentanee di punti e di legami particolari, che formano una famiglia ben definita e disegnata di potere determinante originale. In altri termini, è possibile suddividere la totalità della rete dei sottoinsiemi limitati, localmente ben organizzati, in modo che i loro elementi siano più naturalmente riferibili a quella parte rispetto alla totalità (anche se a buon diritto siano sempre riferibili a essa).

Organizzandosi in parti, questi elementi formano una famiglia con un potere determinante locale più forte che se sommassimo semplicemente il loro rispettivo potere determinante. Con ciò, si definiscono dei raggruppamenti locali fortemente organizzati che possono coesistere con altri raggruppamenti di quel tipo, e interferire tra loro in modo complicato, e li si distingue dall’insieme totale della rete. Questa distinzione del locale e della totalità, dell’insieme e del sottoinsieme è abbastanza evidente nei modelli di gioco: dama, scacchi o semplici giochi di carte dove una certa distribuzione forma una distribuzione totale delle carte, composta da elementi diversi, potendo questo o quell’elemento raggrupparsi eventualmente per tre, quattro o cinque… in associazioni particolari (tris, poker, full…) con un potere determinante più forte della somma dei poteri di ogni elemento.

Possono dunque esistere delle totalità locali all’interno dell’insieme, sempre differenziate tra loro e aventi tra loro relazioni tanto numerose quanto gli elementi stessi. Nello spazio delle stelle si possono disegnare costellazioni locali, associazioni galattiche, sistemi planetari e così via. È abbastanza chiaro che l’argomentazione dialettica è troppo debole per separare il locale dal globale, e promuove, inoltre, solo delle totalità molto difficili da definire con rigore. Dal momento che sappiamo, ormai, che una tesi (o un elemento di situazione) può avere questo o quel peso a seconda che si riferisca a sé stessa, a questo o a quel sottoinsieme locale, o alla totalità della rete in cui è inserita, l’argomentazione dialettica è incapace di raffinare la sua analisi oltre la coppia totalità-contraddizione, essendo l’una un momento dell’altra e viceversa. Di conseguenza, una volta di più, raffinando e complicando il modello, ci avviciniamo alla realtà generalizzando la tecnica metodica. Possiamo verificare a nostro piacimento che una data situazione storica è meglio approssimata da una tecnica che dall’altra. La nozione di una pluralità di sotto-totalità originarie è evidentemente essenziale: dà luogo a un approccio più fine rispetto alle grossolane tesi evenemenziali o della legislazione globale, dell’atomismo epistemologico o dell’enciclopedismo deduttivo.

5. Il diagramma di rete raffigura una situazione – teorica o reale – attraverso la diffusione spaziale e la distribuzione di tesi o di eventi. All’interno di questa diffusione, di questa distribuzione, ci sono scambi di situazioni, variazioni nel flusso di determinazione, raggruppamenti di sottoinsiemi locali, ecc., scambi, variazioni e raggruppamenti che avvengono sia nello spazio (da cui la differenziazione della rete in un dato momento) sia nel tempo. Esiste dunque, se così si può dire, una trasformazione, un’evoluzione globale della situazione in uno spazio-tempo. Da questa trasformazione, è per lo meno possibile affermare qualcosa che sfugge, in generale, a qualsiasi altro metodo di comprensione. Riprendiamo ancora una volta il paradigma della situazione di GIOCO. Su una scacchiera, si assiste a una lotta di due reti differenziate e differenti, attraverso una fine compenetrazione di queste due reti. Nello spazio-tempo del gioco, c’è trasformazione di ogni rete, ciascuna per sé e ciascuna secondo la trasformazione dell’altra.

La situazione generale è dunque di una mobilità molto complessa, di una fluidità tale che è praticamente impossibile prevedere ciò che succederà dopo due mosse. Si dirà allora che è impensabile porre leggi in previsione dell’evoluzione di una situazione reale di una fluidità ancora maggiore di quella che si incontra sulla scacchiera. A questo risponderemo che è almeno possibile distinguere due tipi di situazione che la rete di gioco rende evidenti, così come le situazioni storiche in movimento, o ancora le evoluzioni di tutti i tipi che riguardano le storie delle conoscenze. Esistono infatti situazioni globali preparatorie sottodeterminate (e anche a volte, al limite, indeterminate) e situazioni globali decisive sovradeterminate (e a volte, al limite, “pandeterminate”).

Durante un certo ciclo temporale, c’è un avvicinamento lento e probabilitario di una rete di gioco da parte dell’altra; là, regnano la sottodeterminazione e le regole del caso; al limite, si potrebbe dire che, in certi giochi, è assolutamente indifferente (indeterminazione) cominciare facendo avanzare questa o quella pedina. Man mano che il tempo passa, lo spazio di compenetrazione dei due giochi diventa sempre più strutturato, e tutto avviene come se il concetto di determinazione fosse progressivamente riempito. Avranno luogo certe mosse, di media determinazione per ciò che riguarda l’insieme, poi altre di determinazione sempre più forte, fino alla mossa assolutamente decisiva dove, in seno al sottoinsieme locale PRINCIPALE, la partita finisce con lo scacco matto. Quest’ultima mossa è il limite superiore della sovradeterminazione, come la prima era il limite inferiore della sottodeterminazione.

Il modello proposto permette dunque di graduare la determinazione in uno spazio-tempo, dal massimo probabile alla necessità univoca; ma, oltre a ciò, permette anche di variare sul gradiente stesso di questa graduazione. Infatti, si può passare dal probabile al decisivo, dal preparatorio alla maturità, più o meno velocemente: date queste o quelle mosse di partenza, si può arrivare allo “scacco matto” in cinque, quattro, tre mosse. Il riempimento progressivo del concetto di determinazione può essere fulmineo, più o meno accelerato, veloce, ritardato, lento e, al limite, nullo: esistono dei casi, infatti, in cui si va dall’indeterminazione iniziale a una nuova indeterminazione finale, attraverso una situazione globale lunga quanto si vuole, e, come si dice, il risultato è nullo. In altri termini, la pendenza del progresso storico verso una distribuzione decisiva può essere nulla, media, forte, asintotica verso l’alto, e così via: si arriva più o meno velocemente a una crisi che ristruttura localmente o, se è decisiva, globalmente, una situazione storica o un insieme di conoscenze. Per ottenere lo stesso risultato, si sarebbe potuto prendere l’esempio di una rete elettrica complessa con resistenze variabili, autoinduzioni, capacità, ecc., tutte differenti e mostrare che è possibile manipolarla in n modi fino a trovare il cortocircuito sovradeterminato.

Non è dunque tanto la prima distinzione tra due tipi di situazione, preparatoria e decisiva, ad essere interessante, quanto i molteplici modi in cui la situazione complessiva passa (o, a volte, non passa) dall’uno all’altro. Sembra qui di avere in mano le due estremità di una catena rotta da lungo tempo dai filosofi della storia; da una parte, c’è un’imprevedibilità essenziale nel pluralismo infinito degli eventi; dall’altra, c’è una legislazione sovrana e un concatenamento rigoroso dei momenti di una sequenza. È come se, da un lato, una distribuzione spaziale complessa non potesse essere mobilitata in modo organizzato, tenendo conto di tutto, ma si perdesse nelle sottili differenziazioni della sincronia; e, dall’altro, una legge non potesse essere ottenuta che per selezione arbitraria dei momenti decisivi di una diacronia, proiettata su una linea scheletrica, riuscendo a prendere in considerazione solo un numero minimo di cose. Pertanto, o si rimane in una filosofia dell’aleatorio, o ci si attiene a povere leggi con determinazione univoca e fissa.

Il gioco tra queste due “visioni” sarà infinito quanto lo si vorrà: il pluralista ha il diritto di far notare al dialettico la povertà delle sue strutture, e l’errore sempre ricorrente della sua prospettiva (e, se la storia delle scienze mostra qualcosa, mostra almeno quanto l’araldo o il dogmatico del futuro sia sempre sconfessato, in quanto ignora il fatto che la matematica mostra che non si possono prevedere più di due mosse). Fatta esperienza e senza più ritegno, il dialettico trasforma le sue leggi in leggi d’adattamento, cioè accetta la trasformazione come tale, e si indebolisce diventando evenemenziale lungo la sequenza temporale, come il pluralista è rimasto nella distribuzione spazializzata. Tenere le due estremità della catena consiste nel comprendere come una data trasformazione passa da probabilistica a sovradeterminata: invece di scegliere arbitrariamente una sequenza di determinazioni fisse ed equipotenti, bisogna aprire da una parte la determinazione fissa in pluralità di sottodeterminazioni possibili, e dall’altra la sua univocità in sovradeterminazione. Pertanto, un processo reale non saprebbe svilupparsi altrimenti (se non variando finemente questa legge) che tra due limiti (debole e forte) di determinazioni, e, nel caso più semplice, dalla probabilità alla sovradeterminazione, da uno stato statisticamente distribuito a un nodo decisivo, da una situazione aleatoria di gioco a una mossa necessitata (e necessitante). O piuttosto, è la legge del ciclo elementare d’un processo: questa legge elementare sostiene che una situazione generale si trasforma sempre in modo tale da passare dalla probabilità alla sovradeterminazione.

6. È indispensabile ritornare allora sulle nozioni tradizionali di causa, condizione, effetto, ecc., insomma a quella teoria così frequentemente analizzata dai filosofi classici e sulla quale i contemporanei sono così stranamente silenziosi: la teoria della causalità. Consideriamo una qualunque suddivisione della nostra rete: si vede immediatamente che un flusso su uno (o più) percorsi non definiti può andare da un vertice qualsiasi a un altro (o da più a più) in un tempo indeterminato: dipende dai ritardi che subirà6. Questo tempo può essere infinito, finito – molto lungo, molto breve – al limite nullo. È quindi possibile concepire una causa senza effetto – una comunicazione che si perde, una causa perduta – o una causa contemporanea al suo effetto7. Ma la pluralità delle connessioni che uniscono i vertici impone ovviamente l’idea di una retroazione, cioè la ripercussione immediata dell’effetto sulla causa, o meglio la retroazione del vertice-ricezione sul vertice-fonte. Il flusso causale non è più causale, poiché la causalità non è più irreversibile: chi vuole influenzare è improvvisamente influenzato dal risultato della propria influenza. Per parlare secondo altri modelli, ci sono, tra i due poli, correnti di induzione, isteresi, interferenze, e dunque tempi variabili che possono essere infinitamente brevi, effetti di feed-back o di ritorno alla fonte. Bisogna dunque applicare la struttura del complicato, in tutte le sue determinazioni, alla nozione di causalità, e definire dei tipi di causalità semi-cicliche. Questa teoria della causalità semi-ciclica ha applicazioni estremamente numerose e varie. Ha il vantaggio di rompere l’irreversibilità logica della conseguenza e l’irreversibilità temporale della sequenza: la fonte e la ricezione sono allo stesso tempo effetto e causa.

Ecco, descritte rapidamente, le caratteristiche principali di questa rete. È facile vedere che essa costituisce una struttura filosofica astratta dai modelli multipli. Se diamo ai suoi elementi, vertici, percorsi, flussi di comunicazione, ecc., un certo contenuto determinato, può diventare un metodo che può essere efficacemente mobilitato. Per convincersi di ciò, è sufficiente assicurarsi che possa essere riempito o da contenuti puri o da contenuti empirici: e, infatti, può essere una matematica, una teoria dei grafici, una topologia combinatoria, una teoria degli schemi, al suo limite di purezza; può diventare, al suo limite di applicazione, un eccellente organon di comprensione storica. Questo è possibile solo perché rompe definitivamente la linearità dei concetti tradizionali: la complessità non è più un ostacolo alla conoscenza o, peggio, un giudizio descrittivo, ma è il miglior coadiuvante del sapere e dell’esperienza.

Gennaio 1964



1 Quando diciamo determinazione, intendiamo la relazione o l’azione in generale: può essere un’analogia, una deduzione, un’influenza, un’opposizione, una reazione e così via.
2 Caso generale – Caso particolare
3 Questa indeterminatezza del percorso è la condizione dello stratagemma.
4 Questa dimensione è per lo più temporale. Da ciò il grande problema filosofico della tradizione: logica o temporalità? Il modello qui analizzato rompe questa alternativa tra la conseguenza e la sequenza.
5 Questa forza non è quantificata, perché è sempre considerata globalmente determinante: è quindi sempre approssimativamente massimizzata. Eppure, l’esperienza dimostra che ci sono delle soglie al di sotto delle quali una forza contraria non determina niente. La natura antitetica dell’antitesi non è sufficiente: questo è noto ai dialettici.
6 Questa nozione di ritardo nella comunicazione è una nozione cruciale che sarà sviluppata indipendentemente altrove.
7 Inoltre, un flusso di comunicazione può essere transitivo o intransitivo.

© Michel Serres, La comunicazione, Meltemi 2022