Il rischio di fare pasticci
Viola Brancatella
05.01.2023
Il testo che segue è un estratto dal terzo capitolo del volume di Viola Brancatella, Il rischio di fare pasticci, edito da Ombrecorte


Capitolo terzo

Il nome non coincide con la cosa che esso designa


Il linguaggio tra rigore e immaginazione

Leggendo l’opera di Bateson e ancor più i metaloghi si entra in contatto con un linguaggio che interroga se stesso, che è strumento e allo stesso tempo oggetto della ricerca e della comunicazione.

Il continuo ricorso alla poesia, agli aneddoti e al linguaggio metaforico applicato con rigore e al rigore delle sue ricerche scientifiche colloca Bateson tra gli autori di confine del Novecento, che cercano di “uscire dalle proprie tautologie1”.

In virtù della sua avversione verso il dualismo cartesiano tra mente e materia, res cogitans e res extensa, Bateson ha cercato un linguaggio comune, una lingua franca che incarni “un monismo, una concezione unificata del mondo che consentisse tanto la precisione della scienza quanto un’attenzione sistematica a nozioni che gli scienziati spesso escludono2”.

Come spiega sua figlia Mary Catherine in Dove gli angeli esitano, nel tentativo di descrivere la struttura che connette, ossia “l’operante impalcatura della vita”, Bateson

[...] era giunto alla strategia della ridefinizione, che consisteva nel prendere parole come “amore” o “saggezza”, “mente”, o “sacro” – parole cioè indicanti faccende che i non materialisti considerano importanti e che gli scienziati ritengono spesso inaccessibili allo studio – e nel ridefinirle ricorrendo agli strumenti concettuali della cibernetica. Nei suoi scritti, i termini tecnici si trovano accanto alle parole della lingua ordinaria, molto meno solenni ma spesso ridefinite in modo insolito3.

L’uso di parole prese in prestito al mondo della poesia e dei sentimenti, spiega Mary Catherine, fa da contraltare alle parole che i fisici hanno estrapolato dal linguaggio comune a fini scientifici, come “forza”, “energia” o “massa”, o all’uso che facciamo oggigiorno nel linguaggio corrente delle parole “resistenza” e “resilienza”, provenienti dal mondo dell’elettronica.

Termini come “mente” e “mentale” prima di Bateson erano, infatti, banditi dal linguaggio scientifico, ma servono all’autore perché sono evocativi e ricordano al lettore che le parole sono strumenti di comunicazione soggetti a cambiamenti e a diverse interpretazioni a seconda dell’uso che se ne fa, cioè sono “a ben vedere oggetto di passione”4.

Bateson cerca di giungere “a una teoria dell’azione nel mondo vivente, a un’etica cibernetica5” giocando con il linguaggio e con le categorie che rappresenta ed evoca, e, come autore, incarna, recepisce, anticipa e interpreta alcuni movimenti del pensiero occidentale a lui contemporanei, come la svolta riflessiva e interpretativa delle scienze sociali, il costruttivismo e la cibernetica, di cui la sua scrittura è intrisa.


La metascrittura densa

Nell’ambito del dibattito che si è svolto negli anni Settanta del secolo scorso sul rapporto tra antropologia e scrittura, l’antropologo Clifford Geertz6, capostipite della scuola interpretativa, cita spesso gli scritti di Bateson come esempi di “descrizione densa”.

La descrizione densa, dall’inglese thick description, risale al filosofo inglese Gilbert Ryle ed è stata usata da Geertz per distinguerla dalla “descrizione esigua”. L’assunto di base è che la descrizione – e la descrizione etnologica in particolare – è sempre un’interpretazione di colui che scrive: chi scrive e de-scrive è impregnato, anche senza saperlo, di presupposti personali e culturali che intervengono nella narrazione e assumono i tratti di una “foresta di simboli” piena di significati nella quale siamo tutti immersi.

Per Geertz la cultura è un testo e l’antropologo la interpreta con i suoi strumenti concettuali:

[...] non si tratta di oltrepassare la soglia dei fenomeni per cogliere la verità in un luogo come l’inconscio strutturale; si tratta di “sfogliare” uno ad uno i significati stratificati la cui trama (texture) costituisce il testo (text) della cultura7.

Per spiegare la descrizione densa, Geertz usa una similitudine e la potenzialità simbolica del linguaggio viene paragonata alle diverse interpretazioni possibili della contrazione della palpebra dell’occhio.

Se un individuo strizza l’occhio, infatti, chi lo guarda può interpretare quel gesto in diversi modi: come un tic involontario oppure come un segnale di intesa con un’altra persona, un segno di ammiccamento o di malessere, oppure un gioco con un bambino e così via. Il gesto diventa un segno e l’interpretazione dipende, non solo dal fatto in sé (cioè l’azione di strizzare l’occhio), ma anche e soprattutto dal giudizio e dall’opinione di chi guarda, poiché il segno è simbolo e la narrazione è costruzione di una lettura.

Per spiegare meglio questo concetto, Geertz cita una frase attribuita a Max Weber che si adatta molto bene al pensiero di Bateson e al suo modo di vedere le cose: “l’uomo è un animale sospeso tra ragnatele di significati che egli stesso ha tessuto”.

La similitudine dello strizzare l’occhio ricorda chiaramente il concetto di frame, la cornice meta-comunicativa di Bateson, che ha aperto la strada al meta-pensare non solo come attività rivolta al pensiero ma anche alla scrittura.

La scrittura dei metaloghi di Bateson, infatti, è metascrittura densa, cioè, mentre narra, si accorge di come sta narrando, si interroga sui presupposti e sulle conseguenze del narrare, poiché è consapevole dell’imprescindibilità del punto di vista di chi narra. Il metalogo, infatti, “sottrae evidenza all’oggetto per dare visibilità allo sguardo”8, mettendo in risalto la relazione tra concetti e mettendo al centro del discorso il come piuttosto che il cosa.

La descrizione densa che Geertz proponeva per la scrittura etnologica Bateson l’ha impressa molti anni prima nella sua monografia Naven e si è spinto oltre con i metaloghi, grazie all’uso della forma dialogica.

L’uso del dialogo in Bateson diventa scrittura e ri-scrittura della scienza, avvicinandosi all’uso che ne faceva Socrate nei dialoghi di Platone, ma con una sostanziale differenza: per Socrate la conoscenza era insita nell’uomo e la maieutica estrapolava la verità da chiunque, anche dove sembrava esserci una tabula rasa; per Bateson, invece, la conoscenza non è nell’uomo, ma è nella relazione, e la verità assoluta è inconoscibile anche per i filosofi.

Padre e figlia, nei metaloghi, infatti, sanno che cadere nella trappola del rigorismo è un rischio consueto e spesso si trovano in pasticci apparentemente senza uscita. La strategia per sbrogliare la matassa di parole e di idee in cui si sono incastrati – suggerisce Bateson - è ripartire dall’inizio, ripercorrere i ragionamenti già fatti, mettere in discussione il procedere della comunicazione e ricominciare a “giocare contro i cubi”.


La mappa è nel territorio

Quindi esercitati fin d’ora a dire a ogni rappresentazione che ti colpisca per la sua asprezza: “sei soltanto una rappresentazione, non sei affatto ciò che sembri in apparenza”. Epitteto

Intorno agli anni Quaranta del Novecento si sono stabilite le premesse dell’approccio costruttivista, che considera la conoscenza un processo di rappresentazione della realtà scaturente dall’applicazione delle strutture cognitive di colui che osserva.

Tra i primi esponenti di questa corrente, in quegli anni operava in Svizzera lo psicologo Jean Piaget9, che fu il primo a parlare di costruzione della realtà e rivoluzionò la psicologia infantile.

Per il costruttivismo, ripreso da buona parte degli studiosi di epistemologia del Novecento, incluso Bateson, il processo conoscitivo è soggettivista e perciò la conoscenza è intesa come costruzione attiva da parte del soggetto.

In quegli stessi anni, avevano preso forma gli appuntamenti con le Macy Conferences, in cui circolavano la cibernetica e la teoria dei tipi logici, e a cui presero parte, oltre a Gregory Bateson, il matematico Norbert Wiener, che diede il la alla prima cibernetica, il neurofisiologo Warren Sturgis McCulloch, il matematico John von Neumann, l’antropologa Margaret Mead e altri ancora.

Della cosiddetta seconda cibernetica più esplicitamente costruttivista, elaborata negli anni Sessanta, fa parte la generazione successiva di studiosi composta da Ernst Von Glasersfeld10 (costruttivismo radicale), Clifford James Geertz (antropologia interpretativa), Harold Garfinkel11 (etnometodologia), Heinz von Foerster12 (costruttivismo radicale), Humberto Maturana e il suo allievo e collega Francisco Varela13 (neurofenomenologia), il cui pensiero presenta notevoli affinità con quello elaborato da Bateson, soprattutto nel superamento filosofico del dualismo e nello studio degli ecosistemi come sistemi di relazioni.

Le affinità di Bateson con i temi del costruttivismo di prima e seconda generazione sono molte e sono disseminate nelle sue pagine e nei suoi seminari.

Nella Second Conference on Mental Health in Asia and Pacific tenutasi all’East Center alle Hawaii nel 1969, riportata in Verso un’ecologia della mente, infatti, Bateson parla di conoscenza, e quindi epistemologia, come costruzione.

Per cominciare, vorrei fare con voi un piccolo esperimento. Alzi la mano chi crede di vedermi. Vedo molte mani alzate... quindi ne deduco che la pazzia ama stare in compagnia.

Naturalmente voi non vedete ‘realmente’ me: quello che ‘vedete’ è un mucchio di informazioni su di me, che voi sintetizzate in un’immagine visiva di me. Voi vi costruite quell’immagine. La proposizione “Io vedo te” o “Tu vedi me” è una proposizione che contiene in sé ciò che chiamo “epistemologia”14.

Questa affermazione ricorda un altro passo significativo di Bateson tratto da Dove gli angeli esitano che fa riferimento alla rappresentazione come costruzione:

Quando dirigo i miei occhi verso quello che penso sia un albero, ricevo un’immagine di qualcosa di verde. Ma questa immagine non è “all’esterno”. Crederlo è già una forma di superstizione, perché l’immagine è una creazione mia, prodotto di molte circostanze, compresi i miei preconcetti15.

Nella scrittura di Bateson, il costruttivismo è il presupposto di ogni discorso: il linguaggio è consapevole della sua temporaneità, riflette sul suo ruolo, si smentisce continuamente ed è consapevole delle sue possibilità espressive e dei suoi limiti.

Nella prosa di Bateson, e in particolare in quella dei metaloghi, troviamo parentesi, puntini di sospensione, interiezioni tipiche del parlato e perifrasi come “una specie di”, che svelano una posizione epistemologica molto chiara.

La vaghezza, che è tipica dell’arte e del linguaggio simbolico dei poeti, per Bateson è uno dei modi per avvicinarsi a quel territorio imperscrutabile che è il mondo della Creatura.

Mi avevano affidato una classe di medici freschi di laurea, appena introdotti alla psichiatria. Erano sopravvissuti a otto anni di curriculum medico in cui avevano dovuto imparare ogni cosa. Ora si trovavano faccia a faccia con un tal Bateson. Parlai loro della cultura balinese e della vita delle famiglie americane, e alla fine della prima lezione uno di loro venne da me, dicendomi che aveva qualcosa da chiedere; era evidente che non aveva osato fare quella domanda in classe. Alla fine si decise: “Vuole davvero che impariamo quello che ci sta dicendo?”

E io: “Non lo so. Naturalmente non avrete mai a che fare con un balinese”.

Disse: “O è una specie di esempio?”

Risposi: “Sì, credo proprio che sia una specie di esempio. C’è di mezzo un principio”16.

La parola vaga e allusiva non pretende di trovare il significato, ma i significati possibili, accogliendo il limite come presupposto e convivendo con l’incommensurabilità delle cose del mondo.

Per spiegare la differenza tra la rappresentazione e l’oggetto rappresentato, Bateson si rifà al pensiero del filosofo e matematico Alfred Korzybski, il quale ha espresso questa distinzione nelle seguenti frasi, più volte riprese da Bateson: “La mappa non è il territorio”17 e “il nome non coincide con la cosa che esso designa”18.

Per comprendere appieno il senso di rottura di questa posizione filosofica rispetto all’epistemologia dell’epoca, è necessario ricordare che, per buona parte del Novecento, nelle scienze dure e nelle scienze molli la rappresentazione e l’oggetto rappresentato hanno coinciso, così come l’interpretazione e l’oggetto interpretato.

La mappa e il territorio di Bateson, per l’appunto, esprimono la relazione tra i due elementi fondamentali dell’atto di conoscere: la costruzione della rappresentazione della realtà (da parte di chi osserva) e la realtà stessa (l’oggetto della rappresentazione).

Bateson spiega questo passaggio in Mente e natura:

Ma in termini più astratti la proposizione di Korzybski asserisce che sempre quando c’è pensiero o percezione oppure comunicazione sulla percezione vi è una trasformazione, una codificazione, tra la cosa comunicata, la Ding an sich, e la sua comunicazione. Soprattutto, la relazione tra la comunicazione e la misteriosa cosa comunicata tende ad avere la natura di una classificazione, di un’assegnazione della cosa a una classe. Dare un nome è sempre un classificare e tracciare una mappa è essenzialmente lo stesso che dare un nome19.

Per Bateson il mondo esterno è inconoscibile fino in fondo, perché l’essere umano è immerso nel contesto che cerca di conoscere (la mappa è nel territorio), ma l’esigenza di creare rappresentazioni e dividere il mondo in categorie è una tendenza naturale del genere umano e fa parte dei processi di adattamento e di apprendimento.

I processi della percezione sono inaccessibili; solo i prodotti sono consci e, ovviamente, sono i prodotti ad essere necessari. I due fatti generali – primo, che non sono conscio del processo di formazione delle immagini che vedo consciamente, e, secondo, che in questi processi inconsci io uso tutta una gamma di presupposti che vanno a integrarsi nell’immagine compiuta – sono, per me, il principio dell’epistemologia empirica20.

La mappa è, e sempre sarà, solo una costruzione mentale, una riduzione della complessità, un’esigenza naturale della Creatura per quella che Bateson chiama la “finalità cosciente”, cioè la spinta innata nell’uomo a costruire scopi e fini verso cui dirigersi teleologicamente.

[...] l’uomo commette l’errore di pensare in modo finalizzato e trascura la natura sistemica del mondo con cui deve vedersela. Questo fenomeno è detto, in psicologia ‘proiezione’. L’uomo, in fin dei conti, ha agito secondo quanto pensava fosse sensato, e ora si trova nei guai: non si rende sufficientemente conto di ciò che lo ha cacciato nei guai e sente che ciò che gli è accaduto è in qualche modo ingiusto. Non riesce ancora a vedersi come parte del sistema in cui accadono i guai, e allora dà la colpa al resto del sistema oppure a se stesso21.

Il metalogo, come espressione verbale di questa doppia tendenza, nel suo andamento dialogico riesce a rendere la finitezza degli strumenti umani e a portare avanti la ricerca, mentre mette in discussione la struttura e lascia intravedere il territorio.

Bateson sembra voler dire che scienza e arte, rigore e immaginazione sono insiti nella natura del genere umano e sono destinati a convivere, perché entrambi servono al progredire del pensiero della specie e contribuiscono alla ricerca, anche se da punti di vista contrastanti.

[...]


1 Alberto Sobrero, Ho eretto una statua per ridere. L’antropologia di Pier Paolo Pasolini, Cisu, Roma 2015, p. 17.
2 Bateson e Bateson, Dove gli angeli esitano, cit., p. 19.
3 Ivi, p. 20.
4 Ivi, p. 21.
5 Ivi, p. 22.
6 Considerato il padre dell’antropologia interpretativa, Clifford James Geertz (1926-2006) si è posto criticamente verso l’approccio etnografico strutturalista di Lévi-Strauss e verso la tradizione sociologica britannica, opponendosi alla consueta oggettivazione dei soggetti e delle culture “altre”. Per Geertz la cultura è un testo da interpretare e “non si tratta di oltrepassare la soglia dei fenomeni per cogliere la verità in un luogo come l’inconscio strutturale; si tratta di ‘sfogliare’ uno ad uno i significati stratificati la cui trama (texture) costituisce il testo (text) della cultura” (Fabietti, Storia dell’antropologia, cit., p. 235).
7 Ibidem.
8 Vincenzo Padiglione, Due paradossi e un autore. Bateson e la svolta riflessiva, in Alessio Cotugno e Giovanni Di Cesare (a cura di), Territorio Bateson, Meltemi, Roma 2001, p. 105.
9 Lo psicologo svizzero Jean Piaget (1896-1980) considerato il creatore dell’“epistemologia genetica”, ha ideato una teoria sullo sviluppo dell’intelligenza infantile che spiega l’evolversi del pensiero nel bambino alla luce della necessità dell’organismo di adattarsi all’ambiente circostante.
10 Ernst Von Glasersfeld (1917-2010) è lo psicologo statunitense a cui si deve la definizione del metodo del costruttivismo radicale, così spiegato dall’autore in Radical constructivism: A way of knowing and learning (1995): “Che cos’è il costruttivismo radicale? È un approccio non-convenzionale al problema della conoscenza e del conoscere. Parte dall’assunto che la conoscenza, indipendentemente da come venga definita, sta nella testa delle persone, e che il soggetto pensante non ha alternativa: può solo costruire ciò che sa sulla base della sua stessa esperienza. Ciò che noi capiamo dell’esperienza costituisce l’unico mondo in cui sappiamo di vivere” (p. 25).
11 Al sociologo statunitense Harold Garfinkel (1917-2011) si deve l’insieme di teorie e metodi di analisi chiamati etnometodologia: per “etno” si intende l’identità culturale, non riferita soltanto alla derivazione geografica del soggetto, ma anche all’appartenenza a settori, aree o gruppi i cui membri condividono valori, modelli comportamentali, culturali e semantici.
12 Heinz von Foerster (1911-2002) è stato un fisico, filosofo e accademico austriaco, pioniere nel campo della cibernetica e dell’intelligenza artificiale, noto anche per i suoi studi sull’epistemologia e sul costruttivismo psicologico. Il costruttivismo radicale che ha teorizzato lo ha portato ad affermare che la realtà in cui viviamo è il frutto della rappresentazione di relazioni e di percezioni personali.
13 In Autopoiesi e cognizione: la realizzazione del vivente (Autopoiesis and Cognition: The Realization of the Living) (1980) gli autori Humberto Maturana e Francisco Varela riprendono il concetto batesoniano di retroazione e sviluppano il concetto di sistema autopoietico, applicabile a tutti gli eco-sistemi (sistemi viventi) intesi come sistemi che si auto-rigenerano e si auto-organizzano continuamente in base ai feedback con l’ambiente, modificandosi e al tempo stesso conservando la propria identità.
14 Bateson, Verso un’ecologia della mente, cit., p. 521.
15 Bateson e Bateson, Dove gli angeli esitano, cit., p. 87.
16 Bateson, “Questo è un gioco”, cit., p. 112.
17 Bateson, Mente e natura, cit., p. 47.
18 Ivi, p. 106.
19 Ivi, pp. 47-48.
20 Ivi, p. 50.
21 Bateson, Verso un’ecologia della mente, cit., p. 476.


© Viola Brancatella, Il rischio di fare pasticci, Ombrecorte 2022