Il lavoro fisico è una morte quotidiana.
Lavorare è mettere il suo proprio essere, anima e carne, nel circuito della materia inerte, farne un intermediario fra uno stato ed un altro stato di un frammento di materia, farne uno strumento. Il lavoratore fa del suo corpo e della sua anima un’appendice dell’utensile che egli maneggia. I movimenti del corpo e l’attenzione dello spirito sono funzione delle esigenze dell’utensile, che è esso stesso adattato alla materia del lavoro.
La morte e il lavoro sono cose di necessità e non di scelta. L’universo non si dà all’uomo nel nutrimento e nel calore che se l’uomo si dà all’universo nel lavoro. Ma la morte e il lavoro possono essere subiti con rivolta o con consenso. Essi possono essere subiti nella loro nuda verità o rivestiti di menzogna.
Il lavoro fa violenza alla natura umana. Talvolta c’è sovrabbondanza di forze giovanili che vogliono spendersi e non vi trovano il loro impiego; talvolta c’è esaurimento, e la volontà deve incessantemente supplire, al prezzo di una tensione molto dolorosa, all’insufficienza dell’energia fisica; ci sono mille preoccupazioni, problemi, angosce, mille desideri, mille curiosità che portano il pensiero altrove; la monotonia causa disgusto; e il tempo pesa di un peso quasi intollerabile.
Il pensiero umano domina il tempo e percorre incessantemente, in maniera rapida, il passato e l’avvenire varcando qualsivoglia intervallo; ma colui che lavora è sottomesso al tempo alla maniera della materia inerte che varca un istante dopo l’altro. È, per là, soprattutto che il lavoro fa violenza alla natura umana. Ecco perché i lavoratori esprimono la sofferenza del lavoro tramite l’espressione «trovare il tempo lungo» 1.
Il consenso alla morte, quando la morte è presente e vista nella sua nudità, è uno strappo supremo, istantaneo, da ciò che ciascuno chiama “me”. Il consenso al lavoro è meno violento. Ma là dove è completo, esso si rinnova ciascun mattino lungo tutta un’esistenza umana, giorno dopo giorno, e ciascun giorno esso dura fino alla sera, e ricomincia l’indomani, e si prolunga spesso fino alla morte. Ciascun mattino il lavoratore consente al lavoro per quel giorno là e per tutta la vita intera. Egli vi consente, che sia triste o felice, preoccupato o avido di divertimento, affaticato o debordante di energia.
Immediatamente dopo il consenso alla morte, il consenso alla legge che rende il lavoro indispensabile alla conservazione della vita è l’atto più perfetto di obbedienza che sia dato all’uomo di compiere.
Pertanto, le altre attività umane, comando degli uomini, elaborazione di piani tecnici, arte, scienza, filosofia, e così di seguito, sono tutte inferiori al lavoro fisico in significato spirituale.
È facile definire il posto che deve occupare il lavoro fisico in una vita sociale ben ordinata. Deve esserne il centro spirituale.